Ogni tanto compare sulla stampa qualche notizia, in genere allarmistica, sulla presenza del radon nel nostro Paese, poi più nulla. Né l’opinione pubblica, né le istituzioni si preoccupano di capire meglio caratteristiche e problematiche del radon. Eppure il nostro è un Paese con una significativa presenza del gas radioattivo, soprattutto in alcune regioni. Il recente Dgls 101/2020 introduce normative più stringenti sia per i posti di lavoro, sia, per la prima volta, anche per le abitazioni. Esprimiamo l’auspicio, anche alla luce delle esperienze maturate sul campo, che sia dedicata una maggiore attenzione al monitoraggio del radon nel prossimo futuro anche per corrispondere ad alcuni dei SDG di Agenda 2030.
Cenni Storici
Durante il XVI secolo si rilevò che nelle miniere metallifere nei Monti Erz, poste fra la Sassonia e la Boemia, si riscontrava un alto numero di morti per malattie polmonari; non si conosceva a quel tempo la causa di tali patologie. Successivamente Paracelso, il grande medico e filosofo svizzero, intuì che quei decessi fossero dovuti ad esalazioni nel sottosuolo ed ipotizzò l’esistenza di un “mala metallorum”. Nell’Ottocento gli studi ripresero, mentre le miniere venivano sfruttate per ricavare la pecblenda (da cui si ricavano radio ed uranio) e le morti continuavano; nel 1879 due medici tedeschi, Harting ed Hesse, furono i primi a comprendere che la gran parte dei minatori morti in quella zona erano affetti da cancro al polmone. Nel 1921 Margaret Uhlig ipotizzò per la prima volta che vi fosse una correlazione fra le emanazioni del radio e l’insorgenza del cancro al polmone. Invece altri autori propendevano per altre cause (polvere tossiche, contaminanti a base di arsenico) ed in effetti fino alla fine degli anni Cinquanta il ruolo cancerogenico del radon non era stato universalmente accertato.
Il problema nasceva dal fatto che si vedevano i risultati (le affezioni polmonari), ma non se ne conosceva ancora con certezza la causa. Solo nei primi anni del Novecento, grazie agli studi sulla misteriosa “chimica dei fantasmi”, com’era allora chiamata la radiochimica, realizzati dei coniugi Curie, da Rutherford e da Dorn, si comprese che il radio emetteva una radiazione composta anche da un gas inerte radioattivo. Al gas, prodotto dal decadimento del radio, all’inizio denominato semplicemente “emanazione del radio”, furono dati vari nomi fino a che, dal 1925, esso assunse il nome di radon ed i suoi prodotti di decadimento furono chiamati più recentemente “progenie del radon”. D’altra parte, pur se era nota fra gli scienziati la pericolosità delle radiazioni ionizzanti, per molti anni si pensò che, in quantità ritenute modeste, prodotti con radon o radio potessero addirittura essere utili per la salute. Comparvero così in commercio acque minerali, dentifrici, farmaci, contraccettivi contenenti radio o radon e si moltiplicarono gli impieghi in medicina, per esempio per trattamenti dermatologici o per combattere alcuni casi di tumore (con radon incapsulato in sedi d’oro), negli anni Trenta si realizzò un metodo di trattamento con radon (e successivamente con il radio) di affezioni auricolari. Addirittura ancora oggi in alcuni paesi sono suggerite cure termali a base di acque ricche di radon.
In effetti però l’attenzione sulle problematiche poste dall’eccessiva presenza di radon fu focalizzata in seguito al lavoro di Hultqvist del 1956 su 225 case in Svezia ed ai successivi numerosi studi in USA, nel Regno Unito, in Canada (14.000 case) ed in vari altri paesi. L’UNSCEAR (Ente per lo studio degli effetti delle radiazioni delle Nazioni Unite) ha promosso negli anni Ottanta numerosi studi in vari paesi che hanno mostrato un vasto range di concentrazione di radon nelle abitazioni, compreso fra pochi Bq/m3 fino a centomila Bq/m3 . In particolare si dimostrò che la causa principale era dovuta all’emanazione dal suolo, piuttosto che al contributo dovuto ai materiali di costruzione.
Gli studi condotti sulle radiazioni ionizzanti hanno permesso di comprendere che i danni più importanti da esse indotti sono quelli provocati a livello del DNA, che è il materiale genetico delle cellule, presente nei cromosomi che, a loro volta, sono i componenti fondamentali del nucleo cellulare ed hanno il compito di trasmettere le informazioni durante il processo di riproduzione. Sia gli effetti diretti, sia gli effetti indiretti sono di natura probabilistica (a meno di grandi esposizioni per incidenti come a Chernobyl o Fukushima). Le radiazioni ionizzanti sono in grado, ad alte dosi, di indurre quasi tutti i tipi di cancro nell’uomo. In particolare per il radon (per il quale le concentrazioni sono in genere modeste) i problemi per la salute umana derivano dall’inalazione o ingestione del gas e della sua progenie, mentrel’irradiazione esterna delle particelle alfa emesse non provoca effetti significativi, essendo tali particelle fermate prima di giungere alla pelle. Numerosi studi hanno confermato che il radon ceda gran parte della sua energia nelle prime vie aeree (apparato naso-faringeo e trachea) e soprattutto nella regione polmonare, in particolare nell’area dei bronchi, tanto che l’WHO (Organizzazione mondiale per la Salute) ha classificato il radon come la seconda causa di cancro ai polmoni, dopo il fumo delle sigarette, per molti paesi, fra cui l’Italia.
Per l’Italia Sciocchetti ed altri hanno individuato un valor medio di concentrazione del radon nelle abitazioni di 77 Bq/m3 (unità di misura che esprime l’attività radioattiva nell’aria), mentre la situazione rilevata dall’APAT più recentemente con un’ampia indagine sulle abitazioni nel periodo ’89-’97, arrivò ad indicare un valore medio di 70 Bq/m3; valore relativamente elevato rispetto alla media mondiale valutata pari a circa 40 Bq/m3 e a quella europea di circa 59 Bq/m3. Inoltre è stata rilevata una situazione molto diversificata fra le varie regioni, come si evince in Fig. 1.
Fig. 1 Valori delle concentrazioni medie regionali di Radon in Italia ottenute dai monitoraggi ISS e ISPRA svolti negli anni ’80 e ’90.
Il radon e le sue caratteristiche
Il radon è un elemento appartenente al gruppo dei gas nobili della Tavola periodica (Z = 86) ed è un gas incolore, inodore ed insapore, che, in condizioni normali, non reagisce chimicamente con altre sostanze. Esso è presente in natura in tre forme isotopiche: 222Rn (radon), che deriva dalla serie di decadimento dell‘ 238U (la cui abbondanza naturale -cioè la percentuale dell’isotopo presente in natura rispetto al 100% dell’elemento- è 99,265%) ed è il più significativo per il calcolo della dose individuale, il suo tempo di emivita è di 3,83 giorni; 219Rn (actinion) che deriva dalla serie dell’ 235U ed ha tempo di emivita di 3,96 secondi, e 220Rn (toron) che deriva dalla serie del 232Th ed ha emivita di 55,6 secondi. Gli effetti degli ultimi due isotopi (per la loro brevissima emivita e per ragioni chimiche e fisiche) possono essere considerati trascurabili per l’impatto sull’uomo; pertanto, nel seguito, quando si parlerà di radon ci si riferirà all’isotopo 222Rn.
L’uranio è presente soprattutto nelle arenarie ricche di scisti (in particolare quelli contenenti materia organica) e nelle rocce ignee ricche di silice (magma acido) ed in particolare nella parte di magma che tende a cristallizzarsi per ultima. Per tale ragione le aree vulcaniche, quali, in Italia, varie zone del Viterbese o dei Castelli Romani o dell’area vesuviana, hanno una significativa concentrazione di uranio nel sottosuolo. In generale si può dire che rocce con basso punto di fusione, quali il granito o il tufo, hanno un maggior contenuto di uranio rispetto a rocce ad elevato punto di fusione, quali il basalto o la diorite.
Come si può riscontrare in Tab. I, il 222Rn è il responsabile di più della metà dell’equivalente di dose annuale (unità di misura che consente di esprimere l’effetto indotto da una radiazione ionizzante incidente su un tessuto biologico in funzione dell’energia trasferita) assunta dalla popolazione a causa del fondo naturale delle radiazioni ionizzanti.
Sorgente di esposizione |
Equivalente di Dose annua (mSv/anno) |
Raggi Cosmici | 0,38 |
Radionuclidi cosmogenici | 0,01 |
Radiazione terrestre (espos. esterna) | 0,46 |
Radiazione terrestre (esp. interna escluso radon) | 0,23 |
Radiazione terrestre (esp. interna dal Rn e progenie) | |
– Inalazione ed ingestione di 222Rn | 1,205 |
– Inalazione di 220Rn | 0,07 |
TOTALE | 2,4 |
Tab. I Equivalente di Dose medio annuo pro capite derivante da sorgenti naturali di radiazioni ionizzanti in zone con fondo naturale normale (dati UNSCEAR 1993).
Il radon viene liberato in forma gassosa, a seguito del decadimento naturale del radio, permea dal terreno raggiungendo la superficie. Esso è inoltre fortemente solubile in acqua fredda (la solubilità decresce all’aumentare della temperatura dell’acqua), il che ne facilita il trasporto anche a grandi distanze dal luogo ove è presente l’uranio e dunque il radio. Le concentrazioni di radon nell’aria sono variabili in funzione, oltre che della concentrazione di 238U nel sottosuolo, anche di numerosi parametri fisici o metrologici (geomorfologia del sito, pressione atmosferica, temperatura, umidità, stagione dell’anno). Il radon, liberandosi dal suolo, si mescola rapidamente in senso verticale con l’atmosfera a contatto con il suolo o con l’aria presente nel locale in cui esso entra.
Il radon indoor
Per quanto detto in precedenza è facile comprendere come il maggior problema conseguente alla presenza del radon in natura è relativo alle zone a contatto con il terreno. In situazioni di terreno a contatto con l’atmosfera (radon outdoor), i processi di mescolamento rendono sufficientemente bassa la concentrazione del radon (si stima un valore medio di 3-5 Bq/m3) per cui non vi sono effetti sull’uomo.
Diversa è invece la situazione per i locali chiusi a contatto con il terreno o sotterranei (radon indoor), dove sia il suolo, sia i materiali di costruzione, sia eventualmente l’acqua di uso domestico, forniscono il loro contributo di radon all’aria del locale. In tali situazioni si raggiungono normalmente valori di circa un ordine di grandezza superiore a quelli raggiungibili nei casi outdoor. Chiaramente le sopramenzionate caratteristiche fisiche e metereologiche, aggiunte a quelle costruttive, influiranno su ciascuna situazione particolare esaltando o deprimendo la presenza di radon (vedi Fig. 2). Per esempio un pavimento sconnesso offrirà minor impedimento alla fuoriuscita del gas dal terreno, un locale non aerato favorirà la stagnazione del radon, l’aumento della pressione atmosferica invece ne diminuirà la fuoriuscita. In particolare i due fattori costruttivi principali che influenzano il potenziale ingresso del radon nelle abitazioni sono l’efficacia del collegamento del pavimento al suolo e l’eventuale presenza di aperture e penetrazioni (per esempio per le condotte idriche) che possono facilitare l’ingresso del gas. Particolare cura deve essere posta per le nuove costruzioni (per esempio prevedendo un cuscino d’aria interposto fra pavimento e suolo) e accurati monitoraggi devono interessare le costruzioni già esistenti nelle zone in cui si sospetta una significativa presenza di radon.
Fig. 2 Le principali componenti che influenzano la concentrazione del radon nei locali.
Occupandoci del radon indoor, è bene segnalare anche il fatto intuitivo, ma dimostrato in varie occasioni, che il flusso di fuoriuscita del radon dal terreno verso i locali a contatto con esso è difficilmente prevedibile, poiché numerose circostanze concorrono ad influenzarlo, vi è però un dato costante relativo al fatto che, negli edifici pubblici, durante le ore notturne, sia per le condizioni atmosferiche, sia per le condizioni di utilizzo dei locali (finestre e porte chiuse, scarso o nullo movimento di persone e, soprattutto, aria condizionata spenta o ridotta al minimo), la ventilazione dei locali decresce ed il livello di radon, in genere, tende a salire (a secondo delle configurazioni anche più del 100%). In conclusione è bene segnalare che non è possibile realizzare case o edifici totalmente schermati dal radon, mentre è possibile, pur evitando costi elevati, anche per ottemperare a quanto richiesto dal Dgls 101/2020, effettuare in maniera relativamente semplice il monitoraggio della presenza del radon in edifici già esistenti e quindi intervenire opportunamente o progettare edifici nuovi con caratteristiche tali da minimizzare l’ingresso del radon.
Sistemi di monitoraggio ed azioni di bonifica
Non è questa la sede per scendere nel dettaglio delle richieste della nuova normativa, ricordiamo solo che: è prevista la redazione di un Piano nazionale d’azione per il radon (art. 10); è stato stabilito un nuovo livello di riferimento (più basso di quello precedente) per la concentrazione del radon indoor sia nei luoghi di lavoro, sia nelle abitazioni (art. 12) pari a 300 Bq/m3 che scende a 200 Bq/m3 per le abitazioni nuove dal ’24; sono specificati il campo di applicazione e gli obblighi per gli esercenti (artt. 16 e 17) e previsti gli interventi per il radon nelle abitazioni (art. 19).
La prima cosa importante da fare è quella di avviare rapidamente un’attività di monitoraggio per i locali sotterranei sia nei luoghi di lavoro, sia presso le abitazioni. Per quanto previsto (allegato II alla 101/2020) sono da preferire i sistemi passivi di misurazione integrata a lungo stazionamento con misura effettuata durante l’arco dei 12 mesi; i più diffusi sono quelli che utilizzano rilevatori di opportune materie plastiche in grado di conservare tracce delle radiazioni (per esempio il CR 39). Per il luogo di lavoro è opportuno richiedere l’operatività di un ente autorizzato ad effettuare il monitoraggio; per le abitazioni probabilmente le ASL offriranno kit facili da utilizzare, oppure sarà opportuno rivolgersi a ditte specializzate.
L’obbligo richiede di monitorare tutti i locali sotterranei e alcune Regioni già richiedono il monitoraggio dei locali a piano terreno. Se il monitoraggio indicasse una concentrazione di radon elevata, si può valutare l’opzione di realizzare attività di mitigazione. Queste sono praticabili con opportune azioni di bonifica; in sintesi, sono quattro le tecniche utilizzate per ridurre la concentrazione del radon indoor: la prima è quella della ventilazione del locale e si realizza semplicemente aumentando il flusso di aria immesso dall’esterno per diluire e ricambiare l’aria contaminata. La seconda è la riduzione dell’ingresso del radon e si attua agendo opportunamente sui pavimenti, sigillando cavedii e fessurazioni, riempiendo i condotti che attraversano il pavimento, mettendo in opera ventilazione o trappole nel vespaio sotto il pavimento e ponendo (ove necessario) dei filtri a carbone attivo per l’acqua. La terza riguarda la rimozione delle sorgenti di radon e viene messa in pratica sostituendo i materiali da costruzione impiegati, ove siano ad alta concentrazione di radio o uranio. L’ultima riguarda la mitigazione del radon e della sua progenie utilizzando appositi filtri. In genere l’adozione congiunta delle prime due tecniche riesce ad ottenere ottimi risultati nella mitigazione del radon indoor per i casi in cui si abbia un superamento del livello di azione.
E’ chiaro che le tecniche di mitigazione nei luoghi di lavoro andranno scelte in funzione di vari fattori (livello di concentrazione, fattore d’uso, situazione strutturale, bilancio costo-beneficio, ecc…) e tenendo conto della norma di buon senso, ribadita per altro nel testo della raccomandazione della Commissione Europea, di adottare “provvedimenti semplici ma efficaci volti a ridurre il livello del radon”.
Ovviamente si deciderà di intraprendere azioni di bonifica solo su indicazione dell’esperto di radioprotezione, che terrà conto anche dei fattori di occupazione degli ambienti monitorati. In molti casi potrà essere sufficiente imporre opportune limitazioni del tempo di permanenza degli operatori in una determinata zona, per rispettare il limite di equivalente di dose per la popolazione.
Dalla sintetica trattazione delle problematiche legate alla misurazione della concentrazione del radon in ambienti chiusi, si evince come l’argomento presenta numerosi aspetti di non facile comprensione per persone non specializzate nella materia. D’altra parte la legge indica adempimenti precisi da mettere in opera a carico dei responsabili di “attività lavorative nelle quali la presenza di sorgenti di radiazioni naturali conduce ad un significativo aumento dell’esposizione dei lavoratori o di persone del pubblico”.
Per quanto esposto, sembra opportuno promuovere attività di formazione ed informazione rivolte ai vari soggetti interessati ed anche ai cittadini in generale, per spiegare le problematiche connesse alla presenza del radon negli ambienti di lavoro e nelle abitazioni, per spiegare le normative vigenti e le azioni da intraprendere per il monitoraggio e l’eventuale bonifica, per rendere conto dei rischi e delle azioni volte a minimizzarli. Nella trentennale esperienza nel settore si è avuto modo di riscontrare che seminari rivolti a gruppi di operatori coinvolti nella problematica sono particolarmente efficaci per diffondere con precisione ed accuratezza le informazioni essenziali e per risolvere i dubbi e gli interrogativi che, numerosi, sorgono in un pubblico di non addetti alla radioprotezione, evitando così ingiustificati allarmismi. Infatti non c’è da fomentare paure, invece bisogna rapidamente far eseguire un opportuno monitoraggio della concentrazione del radon nei locali sotterranei o parzialmente interrati e poi decidere gli eventuali interventi necessari.