Lo scorso 10 settembre è stato un giorno di lavoro piuttosto intenso a Strasburgo. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha infatti tenuto nella stessa giornata una udienza solenne alla presenza di giudici provenienti dalle giurisdizioni superiori degli Stati parti della Convenzione ed anche un seminario di studi sulla rule of law e la giustizia nell’era digitale. L’evento, tradizionalmente si è tenuto sempre in gennaio, ma quest’anno esso è stato posposto a settembre nella speranza (compiutasi) di poterlo tenere in presenza.

Insomma, una specie di inaugurazione dell’anno giudiziario in differita.

Foto di Gerd Altmann da Pixabay

Questa cerimonia è da sempre l’occasione per un bilancio del funzionamento del sistema della Corte e il giovane presidente, l’islandese Robert Spano (non ancora cinquantenne), non si è lasciato sfuggire l’opportunità di offrire agli astanti e a tutti noi alcune importanti notazioni.

La prima, sul miglioramento dell’organizzazione della Corte, che egli ha volentieri ricondotto al cosiddetto processo di Interlaken, una iniziativa di riforma del sistema della Corte proposta dagli Stati parti della Convenzione, che, per la verità, ha spesso suscitato non poche critiche, specie da parte di coloro che l’hanno vista come un tentativo degli Stati stessi di ridimensionare il ruolo stesso della Corte.

Spano ha, diplomaticamente, posto invece l’accento sugli effetti positivi dell’iniziativa sulla rivalutazione del ruolo dei giudici nazionali e sullo snellimento delle procedure per i ricorsi alla Corte. Non ha però omesso di ricordare (ed è stata questa la sua seconda notazione) come il rilancio del ruolo della Corte europea vada al di là delle problematiche organizzative, sottolineando come la rule of law, e, in particolare l’indipendenza del potere giudiziario all’interno degli Stati parti della Convenzione, rappresenti oggi più che mai la conditio sine qua non ed anche la guida più sicura per una efficiente protezione dei diritti umani in Europa e nel mondo.

Foto di Gerd Altmann da Pixabay

Un discorso prudente, ma equilibrato, dunque, senza reticenze né fughe in avanti. Che dà la misura di come la Corte, pur in un contesto assai complicato, caratterizzato dalle nuove possibilità liberticide della società digitale e dai ritorni di fiamma del mai sopito sovranismo, possa e debba tenere dritta la barra della sua difficile navigazione avendo, appunto, come guida la stella polare della rule of law.