Molte interpretazioni gli analisti hanno offerto sui motivi della crisi del blocco comunista che doveva portare al crollo del muro di Berlino, alla fine del patto di Varsavia e dell’Unione Sovietica: il risveglio della Polonia dopo l’elezione al pontificato di Giovanni Paolo II, l’invasione russa dell’Afghanistan, l’attivismo degli Stati Uniti reaganiani, la dissidenza nei Paesi dell’Est Europa (Solidarność, Havel, Solzenicyn, Sacharov), la perestrojka di Michail Gorbacev.

La resa dei conti per il bipolarismo Occidente/URSS può certamente essere individuata in una combinazione di tutti questi fattori, ma la verità, come affermava Antoine de Saint-Exupéry, «non è ciò che è dimostrabile, ma ciò che è ineluttabile», e ineluttabile in questo caso è la fine di un sistema totalitario che confligga troppo a lungo con la libertà.

Tanja Cotoaga, Checkpoint Charly Berlino, Unsplas

Checkpoint Charlie, Berlino, foto di Tanja Cotoaga, Unsplash

Quello che ci interessa ora è però comprendere quale scenario abbia aperto lo squilibrio creatosi all’indomani del 9 novembre 1989. Le relazioni internazionali rimasero sconvolte, sia l’Occidente sia l’Europa dell’Est si trovarono a ridefinire i propri equilibri geopolitici.

Da un lato l’Occidente, attraverso l’iniziativa politica e la penetrazione dei grandi gruppi economici, tendeva, e in larga parte riuscì, ad estendere la propria zona di influenza oltre la vecchia cortina di ferro. Dall’altro la Russia, entità ri-sorta dalla dissoluzione dell’impero sovietico, mirava a contenere la disgregazione, mentre vecchi contrasti sopiti si riaccendevano: l’ansia di libertà dei Paesi dell’Est, l’influenza crescente dell’Islam politico e dei nazionalismi, che avrebbero aperto sanguinose falle nelle repubbliche ex-sovietiche (Georgia, Cecenia, Ucraina). E la contrapposizione tra i due blocchi puntualmente si ripropose.

Il punto di maggiore deflagrazione del confronto fu la guerra jugoslava, durata dal 1991 al 2001 in una serie di differenti conflitti tra le repubbliche federate, una guerra che sotto l’apparenza della rinascita della Grande Serbia nascondeva in realtà la pretesa del vecchio potere titoista di assicurare, con la forza delle armi, l’unità della federazione. Fatalmente le repubbliche secessioniste vennero sostenute dalle potenze occidentali, mentre la Russia sosteneva la Serbia.

Ma questo schema di alleanze si sarebbe ripresentato negli anni a venire, nonostante la politica di appeasement tra USA e Russia attuata da una parte con gli accordi START per la limitazione delle armi strategiche e dall’altra con l’apertura russa agli investimenti occidentali.

Prima pagina dell’Orlando Sentinel, foto di Aidan Bartos, Unsplash

L’Occidente, presunto vincitore, si trovava nella posizione di chi si assume il compito di affermare i valori della libertà e della democrazia – una vecchia convinzione! – in una realtà internazionale post-1989 decisamente instabile. Iniziative militari come la guerra del Golfo, la reazione all’attacco contro le Torri Gemelle con l’invasione dell’Afghanistan, la guerra in Iraq e la dottrina dell’esportazione della democrazia, quindi l’appoggio alle “primavere arabe”, sono gli atti esemplari di questa politica di riaffermazione – con modalità diverse – dell’ordine occidentale.

L’iniziativa del grande capitalismo, la globalizzazione e la delocalizzazione della produzione nei Paesi con un basso costo del lavoro – il più intelligente dei quali, la Cina, saprà far fruttare le conoscenze tecnologiche acquisite per assurgere al rango di grande potenza economica -, la crisi dei mutui subprime e la conseguente recessione mondiale faranno il resto, svelando il volto più inquietante della finanza speculativa.

Una concezione autoritaria della democrazia a est e il persistere di ordinamenti di modello marxista-leninista a Cuba e in diversi Paesi dell’Estremo Oriente (Cina, Laos, Cambogia, Vietnam), insieme a un attivismo diplomatico e a un interventismo economico in Africa e Sud-America, caratterizzeranno l’altro versante del mondo. La diplomazia di Putin, l’autocrate che succederà a Eltsin come figura guida della nuova Russia, tenderà a rinsaldare i tradizionali rapporti dell’ex Unione Sovietica con gli Stati arabi del Medio Oriente, esercitando con equilibrio ora la sua capacità di mediazione ora la forza militare, allacciando fruttuose relazioni con l’Iran e confermando i legami strategici con la Cina, Paese non meno attivo nelle relazioni internazionali.

E, da ultimo ma non ultimo, si staglia – sullo sfondo di un rinnovato conflitto ideologico tra Est e Ovest le cui motivazioni tenteremo di approfondire – la minaccia più imprevedibile e dirompente nel tempo attuale, il terrorismo, sia quello interno agli Stati sia quello internazionale, nel senso più occulto ed estensivo possibile, oggi in grado di minare la convivenza e l’esistenza stessa del genere umano.

Immagine di apertura: Resti del muro di Berlino, foto di Mustang Joe, Flickr