La piena occupazione. Sembra una favola propinata a Pinocchio dal Gatto e la Volpe, eppure è esistita in Italia. Non solo. È esistita per i giornalisti, ora al centro del buco nero, del disastro disoccupazione e precariato, una delle peggiori piaghe dei lavoratori italiani.

Giornalisti, la testata de Il Giorno Online

La testata de Il Giorno Online

Era il giugno del 1990 e il vostro cronista lavorava come giornalista parlamentare nella redazione romana de Il Giorno. Scoppiò un singolare caso. Il redattore capo mi domandò: «Hai un amico, che vuole venire a lavorare qui questa estate?». Fui incredulo: «Come!?». Spiegò: «Cerco un giornalista professionista per le sostituzioni estive ma non trovo nessuno. Ho anche cercato nella lista dei disoccupati. Ma non ci sono disoccupati a Roma…!». Cercò ancora. Alla fine trovò una giovane giornalista da poco disoccupata. Entrò come sostituta estiva e dopo qualche tempo fu assunta in pianta stabile per scrivere di economia, il settore che seguiva.

Incredibile, era un altro mondo, una favola persino impensabile adesso. Oggi i giornali chiudono. L’ultimo a cessare le pubblicazioni è stato La Gazzetta del Mezzogiorno, lo storico e principale quotidiano della Puglia, una testata con quasi 150 anni di vita alle spalle. Dal 2 agosto non è più in edicola dopo tre anni di tribolate vicende, ma non è spenta la speranza. Sul sito Internet del quotidiano è lanciato l’auspicio ai lettori: «Arrivederci».

È finita la meravigliosa stagione degli anni ‘Settanta e ‘Ottanta. Negli anni ‘Settanta sotto la spinta della contestazione studentesca del 1968 e di quella sindacale del 1969 fiorirono tante nuove testate (come la Repubblica). Anche i giornali paludati della borghesia italiana come Il Corriere della Sera cambiarono rotta. S’imposero due necessità:1) intercettare i nuovi lettori, 2) raccogliere le lotte dei giornalisti per democratizzare le testate.

Giornalisti, La redazione de La Gazzetta del Mezzogiorno

Redazione de La Gazzetta del Mezzogiorno

Negli anni ‘Ottanta andò ancora meglio: l’economia italiana tirava alla grande (la concorrenza cinese non aveva ancora distrutto una parte dell’industria nazionale), quasi un nuovo boom. Esplosero le vendite di copie e nacquero tanti nuovi giornali. Corriere e Repubblica duellavano per il podio di primo giornale italiano su punte di 600.000, 700.000 copie vendute al giorno. Da allora il crollo delle vendite è stato continuo, catastrofico, inarrestabile. Il quotidiano di via Solferino è sprofondato nei primi mesi del 2021 ad appena 230.000 copie vendute al giorno.

E attenzione: non solo  la cifra è solo quasi un terzo di quella di oltre 30 anni fa, ma comprende perfino le copie digitali (inesistenti negli anni ‘Ottanta) oltre a quelle cartacee. Il Corriere, pur in picchiata, è rimasto il primo giornale italiano. Alla Repubblica è andata ben peggio: è sempre al secondo posto in classifica, ma è collassata appena a 170.000 copie. Le altre pubblicazioni, con rare eccezioni, navigano in acque ancora peggiori. C’è stata una enorme frana: le copie sono sprofondate di circa il 70% rispetto a quelle di una volta. Stessa sorte ha subito la pubblicità. In particolare c’è stata una “mattanza” soprattutto dei settimanali: o sono spariti o sono ridotti ai minimi termini come L’Espresso e Panorama.

Un disastro. I motivi? Tanti: l’avvento di Internet ha sottratto lettori e i giornali non hanno saputo rispondere alla crisi. Hanno dato una risposta tardiva e inadeguata al cambio dei costumi, alla sfida della riconversione in pubblicazioni online. Gli editori hanno investito poco o nulla. Perfino i grandi gruppi editoriali hanno visto quasi bloccarsi le rotative. Le grandi famiglie imprenditoriali italiane (Agnelli-Elkann, Berlusconi, De Benedetti, Monti-Rifser, Caltagirone) hanno visto i loro giornali perdere quota. Pure le televisioni (Rai, Mediaset, La7, Sky) sono “in rosso” e perdono ascoltatori.

Giornalisti, Torre Rai di via Teulada

Torre Rai di via Teulada

La nuova frontiera dell’editoria digitale ha deluso le aspettative di rilancio. Sono rari i quotidiani esclusivamente online sopravvissuti al varo. Invece l’emanazione digitale dei giornali classici ha scarsi ricavi e non potrebbe sopravvivere senza gli introiti della versione di carta. La pubblicità è in fuga verso le grandi multinazionali statunitensi che dominano Internet (aggregano e rilanciano i servizi giornalistici della stampa mondiale).

Gli editori hanno risposto male alla crisi: hanno centralizzato i servizi delle varie testate dei gruppi editoriali, hanno tagliato il costo del lavoro, hanno ridotto gli organici. La “medicina” non ha funzionato, la malattia è diventata cronica: le redazioni si sono svuotate, i giornalisti sono stati precarizzati e sottopagati (il discorso vale soprattutto per i giovani e vecchi collaboratori esterni pagati perfino 7-10 euro a pezzo). I redattori sono stati pre pensionati per risparmiare (anche in assenza di una crisi aziendale). I pensionati sono diventati una marea: l’Inpgi (l’Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani) è finito in deficit cronico  e rischia ora la bancarotta.

L’informazione si è impoverita e omologata. La qualità è caduta a picco, così anche la credibilità dei giornali. Di qui l’inarrestabile sfaldamento delle vendite. I governi ci hanno messo il carico da 11. Solo per dirne una: le cosiddette “querele temerarie” intimidiscono editori, direttori e giornalisti soprattutto dei piccoli giornali con scarsi mezzi. La prepotenza della criminalità organizzata (in testa la mafia), di certi politici e di alcuni grandi gruppi imprenditoriali ha grande capacità di penetrazione per imporre i propri interessi.

Testate di giornali

Poi c’è il problema direttori: molte volte sono più attenti alle loro carriere che a salvaguardare le notizie da pubblicare e a difendere il faticoso lavoro dei redattori. Giornali deboli (o addirittura inesistenti) non sono solo un problema editoriale, industriale e occupazionale: sono un brutto biglietto da visita per la democrazia italiana. In questo caso è in gioco la stessa libertà dell’informazione e la vitalità del paese.

A un problema strutturale si devono dare risposte strutturali. I governi e la politica italiana negli ultimi 30 anni (la Seconda e la Terza Repubblica) o non hanno fatto nulla o hanno usato solo dei “pannicelli caldi”. Anche all’estero la crisi dei giornali è un problema grave. La crisi è forte anche negli Stati Uniti ma in quel paese qualche risposta positiva c’è stata. C’è stata una risposta capitalistica: Carlos Slim e Jeff Bezos, due miliardari, hanno salvato e rilanciato il New York Times e il Washington Post con grandi investimenti sul versante dell’online e sull’assunzione di giovani e di capaci giornalisti. Ora i due colossi della stampa americana vendono più di prima e macinano profitti.

Invece nelle piccole testate e in quelle di provincia degli Stati Uniti si è percorsa una strada diversa, dal “basso”. E funziona. Lettori e giornalisti hanno dato vita a delle Fondazioni che editano i giornali salvati per un soffio dalla chiusura. Quella soluzione ha funzionato: le testate passate alle Fondazioni hanno ripreso a vendere, hanno assunto nuovi giornalisti, hanno migliorato l’informazione in chiave locale, hanno una forte presenza con la versione online.

Giornalisti, l'ingresso de Il Messaggero a Roma

L’ingresso de Il Messaggero a Roma

Qualcosa del genere si può sperimentare anche in Italia. È una soluzione strutturale e Mario Draghi punta proprio sulle “riforme strutturali” anche per incassare i fondi europei per la ricostruzione post Covid-19. Il presidente del Consiglio può prevedere un canale del genere per scongiurare la fine della stampa italiana. Draghi può aiutare questa impresa azionando la leva tributaria: può prevedere una esenzione fiscale per le spese d’investimenti e per il costo del lavoro giornalistico. Non sarebbe un fatto inedito. Il governo dà bonus fiscali di tutti i tipi alle imprese e ai cittadini. Se c’è anche un bonus televisori, uno rubinetti, uno terme e condizionatori. Si può varare anche un bonus giornali: un bonus libertà di stampa.

‘TUTTI europa ventitrenta’ si vuole spendere su questa battaglia sia come progetto generale sia come sfida particolare. Vuole studiare la possibilità di trasformare il sito Internet in un giornale online gestito da una Fondazione formata da lettori e giornalisti. Certo la scommessa è difficile ed impegnativa. Varare un giornale o scrivere un libro è difficilissimo perché l’Italia è un paese storicamente di pochi lettori. Ernest Hemingway ironizzava: «Metà degli italiani scrive, l’altra metà non legge».