In una torrida estate che brucia i raccolti, desertifica le campagne, arroventa le nostre tranquille città, nell’arsura alimentata dalle solite recite del teatrino politico che si prepara all’agognato agone elettorale… tra strilla e slogan elettorali, promesse e contropromesse di competitor della moderna agorà, donne e uomini che hanno avuto a disposizione una intera legislatura per dare una qualche risposta alle tante difficoltà delle nostre generazioni…Una giovane Donna, nella solitudine di un carcere di provincia, posizionato lontano dalla città, in mezzo alla radura esposta al sole…non ce la fa più a sopportare la sua solitudine, la sua disperazione, l’inquietudine che la accompagna da una vita, una vita breve nella quale ha conosciuto più sconfitte che soddisfazioni, più schiaffi che carezze, più dolore che gioie.
Perché morire in carcere, perché farlo spinti dalla disperazione, perché farlo…nel silenzio di una società intenta ad auto conservarsi?
cosa c’è di tanto insopportabile in quell’angolo di mondo dimenticato, allontanato da ogni crocevia di vite, in cui gli uomini attraversano le strade di ciascuno, talvolta ignorando il semaforo rosso freneticamente intenti ad inseguire il proprio destino, o sfinite dalle corse accasciate sul binario della vita incuranti di esporsi al pericolo di sorella morte…?
C’è l’indifferenza di quanti si trovano per scelta o per dovere a volgere lo sguardo verso questa disperazione ed ingessati nel formalismo del dovere non colgono la sofferenza di vivere: importante applicare rigidamente la regola; ed allora : la certezza della pena vuole che questa donna stia chiusa nella cella, nonostante l’arsura brucia la pelle mescolandosi alla disperazione che corrode l’anima, nessuna speranza neppure quella di guarire, non importa se quel fuoco estivo ti riduce in cenere, ciò che conta è la certezza della pena…in un altro angolo di cella appena raggiunto dalla notizia che anche la ennesima variante del covid lo possiede, Filippo decide di dare pace per sempre al suo tormento e non importa se l’età ha consumato anche le ossa e la malattia si è impadronita della sua mente , ad ottantatré anni, è costretto a restare in cella anche se incompatibile per la malattia, fuori sarebbe un pericolo…! Donatella è una donna che ha sofferto di un male invisibile, il male di vivere…non ha avuto neppure il tempo di sentirsi donna, di scegliere di essere madre, …ha solo conosciuto il tormento interiore….ma dove erano le donne quando ha urlato il suo dolore ?…le donne che gridano alla misoginia contro il richiamo alla cipria quale mezzo di maquillage…perché nel 2022 una donna si infligge la morte quale unico strumento di liberazione dalle sbarre dietro le quali non ha potuto sopportare il dolore della solitudine e della malattia, in cui è stata costretta, da una legge matrigna sposa di uno stato incapace di educare i suoi cittadini, a non scegliere di essere donna per essere solo una detenuta ?
Quante Donatella, quanti Filippo, …ogni giorno nelle carceri muoiono nella indifferenza di tutti, tutti quelli che non sanno dare risposte se non nella ovvietà della cronaca.
Queste morti interrogano la Politica incapace di affrontare il tema del carcere confuso come unico strumento di pena …incapace di leggere con obiettività il compito assegnato dai padri costituenti con la carta costituzionale all’indomani di una guerra che doveva essere l’ultima, incapace di dare risposte alle emergenze perché troppo impegnata a fare calcoli di convenienza; questi morti interrogano l’informazione, per come rappresenta i fatti con la arrogante presunzione della interpretazione della verità che strizza l’occhio al consenso di audience e pubblicità. Un fatto è un fatto e dovrebbe essere raccontato per quello che è e non per quello che appare o peggio per quello che vogliamo appaia…enfatizzato dai dettagli che fanno comodo per esaltare una conclusione voluta e non dovuta.
questi morti interrogano ciascuno di noi che pretendiamo giustizia senza darla, pretendiamo certezza ma deleghiamo agli altri il compito di eliminare dai nostri occhi il disturbo delle responsabilità che ci interrogano: il migrante che sbarca, il rapinatore che spara, il disturbato che violenta, il tradito che si vendica …allora morire in una cella in un carcere qualunque di un giorno d’agosto, dove la calura torrida abbaglia la ragione e soffoca la speranza, diventa un grido che si leva struggente come quello del giudeo sulla croce, del profeta sull’altare, del leone nel deserto…un grido che rivendica il diritto di Esistere…a prescindere
morire in una cella, lontano dal mondo che ha esercitato il ripudio, ci chiede: perché…?! perché degradare la dignità di una donna all’onta del suicidio, perché pretendere che la giustizia coincida con la privazione di ogni dignità, anche quella di star male…perché morire per liberare l’anima dal corpo straziato di chi si è dato solo per ricevere briciole di vita…
si poteva e si doveva fare di più !… si deve e si può con coraggio (quello che è mancato da sempre alla politica…e ancora di più e più colpevolmente è mancato alla ministra presidente della corte costituzionale)…portare fuori ogni detenuto, dargli un lavoro, dargli un alloggio, …chiudere le carceri …educare al rispetto…(dell’altro…della legge …della legalità) !
…almeno Donatella non sarà morta invano !
Foto di apertura di Nicola Giordano da Pixabay