L’anticiclone africano Caronte tropicalizza le nostre notti insonni e sudaticce. La ragazzina palestinese da Gaza scrive delle notti e delle giornate roventi senza aria condizionata, con l’acqua razionata, cibo e medicine come promessa, l’avanzata di malattie che sembravano dimenticate come la poliomielite. Nel frattempo, Israele, sembra un altro mondo ma sta a due passi, una manciata di chilometri di terra di nessuno violata nell’ottobre 2023, si prepara all’ennesima guerra nell’ennesima simulazione di compostezza.

Le scuole estive e i mezzi pubblici funzionano, Tel Aviv macina attività giorno e notte, le spiagge sono affollate, lo spazio aereo è aperto. Gli abitanti del nord sono stati ricollocati al centro per paura dei lanci dal Libano. A tutelare tutto e tutti lo schieramento dei missili antimissile dal significativo nome di Arrow. A incrociare nei mari da Cipro a Haifa, la US Navy rafforzata dal sommergibile nucleare USS George. Una macchina dalla potenza distruttiva enorme, tale da incutere timore persino nei bellicosi Guardiani della Rivoluzione. Che però, da solerti rivoluzionari, possono tentare il gioco d’azzardo e sfidarla con l’assalto a Israele.

Israele: il bastione americano e della democrazia occidentale nel Medio Oriente sempre rovente. Sempre affetto dall’anticiclone torrido che, dai deserti arabici e persiani, soffia il vento della tempesta. Il vento caldo soffoca il respiro, fa boccheggiare. Occorre resistere, guai a lasciare sguarnito il fortino, qui si gioca la partita degli ultimi ottanta anni, tanti più o meno sono quelli trascorsi dal 1948 al 2024.

Come si arriva a questa situazione? Una serie estenuante di botte e risposte, di azioni e reazioni. Il diritto internazionale da manuale spiega, e parzialmente giustifica, l’uso della forza in determinate circostanze. Se uno stato è minacciato ha diritto alla difesa ed anche alla ritorsione fino alla rappresaglia. Israele fu minacciato da Hamas per la sanguinosa incursione di ottobre 2023, maturò il diritto alla risposta. Il punto in discussione è sulla portata della risposta. I numeri sono impietosi: dopo 40.000 vittime palestinesi, nella contabilità figurano anche donne e bambini, la risposta è ancora incompleta, a stare alle decisioni del Governo di Gerusalemme.

La campagna di Gaza continua. Fino a quando? La principale critica mossa da Washington a Gerusalemme è che non si intravede la soluzione per il dopo. Quale assetto dare a Gaza che non sia quello evocato dalla destra estrema di una nuova colonizzazione? A chi affidare l’inevitabile ricostruzione e l’avvio del buon governo?

Il Governo Netanyahu è diviso al suo interno, fra un certo pragmatismo del Primo Ministro e del Ministro della Difesa, quest’ultimo pressato dai militari, e la furia biblica di alcuni Ministri. Questi ultimi minacciano di dimettersi a fronte di qualsiasi compromesso con Hamas che ne legittimi lo status di controparte. Gli ostaggi sono la pedina minore del gioco al rialzo, imbastito di principi non negoziabili. Svanisce peraltro la speranza di ritrovarli tutti vivi. Dopo mesi di cattività in condizioni estreme, anche le persone più dure possono cedere agli stenti. I precedenti non mancano.

Lo scenario oggi è di una guerra generalizzata. Da nord gli Hezbollah con i lanci di ordigni, dalla Striscia la minaccia ancora incombente di Hamas e Jihad. Da lontano quelle di Iran e degli Houthi in Yemen. A fare barriera alla formidabile armata di nemici è la flotta americana integrata dagli aerei, in parte alloggiati sulle portaerei, in parte nelle basi amiche dei paesi arabi del Golfo.

Quando scoppierà il conflitto regionale e con quale portata, è l’interrogativo del giorno. Noi in Europa stiamo a guardare. Si pensi alla nostra fragilità, complici i meccanismi decisionali dell’Unione. Fino all’autunno non avremo la prossima Commissione, malgrado che abbiamo nominato la nuova e vecchia Presidente alla sua guida. Fino all’autunno non si insedia il nuovo Presidente del Consiglio europeo. Fino all’autunno non siede il nuovo Parlamento europeo con la nuova e vecchia Presidente.

La Francia ha votato da tempo alle legislative, continua a non avere il nuovo Governo. Le Olimpiadi di Parigi hanno imposto non la tregua bellica ma la pausa decisionale all’Eliseo. E dire che la Francia è il perno dell’autonomia strategica europea.

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