Di chi parliamo quando parliamo di giovani? Una definizione delle Nazioni Unite dice che i giovani sono persone tra i 12 e i 24 anni. Lo stesso parametro è adottato, tra gli altri, dalla WHO e dall’OECD, con le dovute eccezioni. Quando ci si riferisce alla popolazione giovane in campo medico, per esempio, non è raro che si arrivi anche a includere persone di 35 anni. È però importante avere chiaro a chi ci si riferisce, per non incorrere nel rischio di ridisegnare in maniera troppo fantasiosa la demografia della nostra società.

Alcune note preliminari sul tema:

  • Un interessante studio sulla popolazione britannica rivela due cose interessanti:
    • Più avanziamo con l’età, più spostiamo in avanti il momento della vita in cui ci si ritiene invecchiati.
    • Tendiamo a definirci giovani, anche se non consideriamo tali le persone della nostra età! (qui per approfondire)
  •  La mia generazione – quella dei millennial, dunque non più tanto giovane dopotutto, stando a quanto espresso sopra – ha aperto la porta a riconsiderare che cosa sia l’età adulta. Di là dalle esperienze singole, le statistiche dicono che diventiamo genitori più tardi, se lo diventiamo, e non consideriamo più il possesso (di una macchina, di una casa, di un ufficio) come un traguardo, privilegiando invece le esperienze. Questo potenzialmente causa un cortocircuito tra «Quanto diventeranno grandi?» si chiedono i genitori boomer, non riconoscendo che i propri figli sono già grandi, solo che adesso l’età adulta significa altro. E come la mettiamo con la Generazione Z che adesso sta, appunto, entrando nella maturità? Che cosa significa questo per loro e come lo percepiremo noi?

Su tale diversa percezione vale forse la pena fare un’altra riflessione, per tornare al tema del coinvolgimento dei giovani nella vita pubblica.

La vita media, in Occidente, si è allungata moltissimo negli ultimi anni. Ma a questa buona notizia si accompagna una crisi di fertilità che ha fatto invece diminuire le nascite, ridisegnando così la piramide di distribuzione delle nostre società e facendo aumentare la pressione sui lavoratori e sui sistemi di previdenza.

In alcuni momenti importanti della storia recente, si è verificata un’incredibile polarizzazione proprio tra le fasce d’età.Un paio di esempi? Il referendum sulla Brexit del 2016 ha visto una distribuzione opposta in base all’età dei voti per exit e remain con più o meno la stessa percentuale di giovani e anziani che sono andati alle urne (tenendo però conto che, naturalmente, i giovani sono in numero minore in termini assoluti).

Dalle analisi delle ultime elezioni presidenziali in USA, sembrerebbe che siano stati proprio gli elettori più giovani a favorire la vittoria di Biden-Harris.

Per curiosità ecco come apparirebbe la distribuzione dei voti, se si tiene in considerazione solo il voto dei giovani:

contrapposizione giovani-anziani,

Qui la fonte: https://bit.ly/35yI5tt

Ma il vero tema non è chi vota meglio o peggio secondo le nostre preferenze politiche. Il tema, a mio avviso, è che una società polarizzata non serve a nessuno e progredisce peggio di una in cui le generazioni si sanno parlare. Nel migliore dei casi accontenterà una parte cagionando risentimento o alienazione nell’altra, con conseguenze non prevedibili. E allora invece importante portare la voce e le istanze di tutti, sul tavolo di discussione, in modo da poter costruire insieme soluzioni che prendano in considerazione esigenze diverse e da poter beneficiare di esperienze e punti di vista variegati.

Aggiungo una precisazione in chiusura: ritengo che la necessità di diversificare i partecipanti alla discussione pubblica, a partire da realtà associative come la nostra, non si applichi solo alla contrapposizione giovani-anziani, ma anche a diversi generi, orientamenti religiosi, sessuali, differenze razziali, di censo, di provenienza geografica, di abilità fisica e mentale e così via.

Mi auguro, dunque, che sapremo muoverci in orizzontale e in verticale per accogliere quante più anime sarà possibile nella nostra rete, e contribuire alla costruzione di una società che sa capire che non esistono soluzioni semplici, ma solo soluzioni condivise.