Dopo aver dedicato due inchieste alla crisi socio-sanitaria, l’impegno di ‘TUTTI europa ventitrenta’  nel documentare l’impatto del coronavirus prosegue all’interno della categoria “Sanità”. Gli articoli qui contenuti sono da considerarsi la naturale prosecuzione delle inchieste finora dedicate alla pandemia.

 

La pandemia da Covid-19 è un evento senza precedenti anche per il suo carattere globale. Eppure questo virus che ci ha colpiti tutti ha avuto un impatto particolarmente duro su alcune fasce di popolazione. Tra queste possiamo annoverare gli stranieri che risiedono nel nostro Paese, e in particolar modo coloro che si trovano sprovvisti del permesso di soggiorno. Abbiamo cercato di capire meglio alcune delle problematiche affrontate dalla popolazione straniera che vive in Italia insieme ad un esperto che da anni si impegna assiduamente per garantire che venga rispettata l’universalità del diritto alla salute: il professor Foad Aodi, fondatore di AMSI (Associazione medici di origine straniera in Italia) e UMEM (Unione Medica Euro

Il Prof. Foad Aodi, presidente AMSI

Mediterranea), nonché membro del registro esperti Fnomceo (Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri).

 

Prof. Aodi, quali sono state le difficoltà maggiori per la popolazione straniera durante la pandemia?

La pandemia ha seriamente compromesso la salute, l’economia e gli equilibri familiari di tutti coloro che vivono in Italia. La popolazione straniera ha in più una problematica di barriera linguistica e quindi di comunicazione corretta su che cosa fare. Questo è stato vero soprattutto all’inizio dell’emergenza sanitaria, quando il quadro generale era molto più incerto. Gli stranieri che contraevano il virus hanno fatto molta fatica ad avere informazioni chiare sulle modalità dell’isolamento fiduciario e sui medicinali da prendere, qualche famiglia ha avuto difficoltà a comunicare con i medici. Tanti mi hanno dato il numero del proprio medico e mi hanno dato il compito di contattarlo al posto loro per avere informazioni chiare. Anche per questo motivo le pagine social delle associazioni che ho fondato sono state sempre molto attive durante la pandemia: abbiamo fatto numerose dirette Facebook ad esempio, cercando di rispondere alle domande che ci ponevano i pazienti stranieri alla ricerca di chiarimenti.

 

Immagino che questa difficoltà di comunicazione abbia avuto anche ricadute sul piano psicologico…

Certo, infatti come AMSI abbiamo istituito subito uno sportello psicologico. I dati che abbiamo raccolto non sono stati affatto incoraggianti: abbiamo registrato un aumento del 30% dell’ansia, della depressione e degli attacchi di panico. La paura di

La pandemia colpisce tutti –  Foto di Xavier Donat via Flickr

essere contagiati dal coronavirus all’inizio era quasi una psicosi, soprattutto per le famiglie migranti con maggiori difficoltà linguistiche.

 

Ci sono state significative percentuali di contagio nella popolazione migrante?

Stando alle nostre statistiche, all’inizio le percentuali di contagiati all’interno della popolazione migrante erano molto basse, poi quando il virus ha cominciato a diffondersi maggiormente nella popolazione generale si è arrivati a raggiungere il 5-6% sul numero totale di migranti. Sono numeri inferiori alla media europea che si attesta intorno al 7%.

 

All’inizio della pandemia Lei ha proposto l’istituzione di una tessera prevenzione Covid per i migranti irregolari. Di che cosa si trattava e quale esito ha avuto questa sua iniziativa?

La tessera prevenzione Covid voleva tutelare gli immigrati irregolari che a causa del Covid-19 si fossero trovati ad avere necessità di assistenza sanitaria, purtroppo non è stata bene accolta, probabilmente anche per ragioni politiche. Qualsiasi iniziativa che si prova a fare per i migranti sembra che vada a discapito degli italiani, ma non è così: fare prevenzione all’interno della popolazione migrante significa più tutela per la popolazione italiana, perché l’unica vera prevenzione è quella che si fa a 360o. Purtroppo alcune volte la questione dei migranti irregolari viene guardata solo in ottica amministrativa, ma dal punto di vista della salute non c’è differenza tra chi ha il permesso di soggiorno e chi non ce l’ha. Siamo medici, abbiamo sempre rifiutato l’etichetta di medici-spie. C’è chi ha provato a strumentalizzare la pandemia dicendo che erano i migranti a portare il virus, ma allora a maggior ragione sarebbe servito qualcosa per incoraggiarli ad andare in ospedale. La tessera di prevenzione aveva come obiettivo l’uscita dalla clandestinità e dalla paura. Il successo di iniziative come gli ambulatori AMSI per stranieri, dove si sono arrivate a registrare più di 700 visite al mese, dimostra la necessità di spazi dove si possa richiedere assistenza sanitaria, superando la paura di presentarsi nelle strutture pubbliche e le difficoltà linguistiche.

 

Dal punto di vista dei vaccini com’è la situazione?

Ovviamente non ci sono differenze tra cittadini italiani tout court, cittadini italiani di origine straniera o cittadini di origine straniera con permesso di soggiorno. Sul fronte dei migranti irregolari la situazione purtroppo non è chiara: c’è una sorta di partita di ping pong e si tratta ovviamente di una operazione strumentale. Ha destato molte perplessità una frase pronunciata dall’ex commissario straordinario per l’emergenza Covid Domenico Arcuri durante il programma tv di Lucia Annunziata che lascia intendere che il vaccino verrà somministrato solo ai migranti regolari. Ma per arrivare a una immunità di gregge del 75% dobbiamo vaccinare tutti.

 

I medici stranieri sono parte integrante del “Sistema salute” italiano – Foto di JAFAR AHMED via Unsplash

In quanto presidente AMSI, Lei ritiene che la crisi sanitaria che stiamo attraversando possa servire come stimolo per integrare meglio l’apporto dei medici stranieri nel “Sistema Salute” del nostro Paese?

I medici di origine straniera hanno combattuto contro il Covid esattamente come i medici italiani, e sono in 18 ad aver perso la vita nel corso della crisi sanitaria. L’emergenza coronavirus ha fatto capire a tutti gli schieramenti politici, nessuno escluso, che la battaglia che stiamo conducendo a favore dei professionisti della sanità di origine straniera è positiva. Inoltre ha reso chiaro ad alcuni sindacati e ai medici dalla mentalità, per così dire, un po’ chiusa, che con la fondazione di AMSI nel 2000 non abbiamo mai avuto intenzione di separarci dai colleghi italiani come invece era stato sospettato. Abbiamo purtroppo potuto constatare la carenza di personale medico e di infermieri, nonché la mancanza di un contributo effettivo da parte della politica per far fronte a queste lacune. Durante la pandemia è stato inoltre chiaro che l’AMSI è impegnato in prima linea per  migliorare la sanità italiana, per il diritto alla salute di tutti e più in generale per i diritti umani. Accetto frequentemente interviste con testate di paesi stranieri come la Libia e l’Egitto per mostrare la qualità della sanità italiana e dei professionisti che ne fanno parte. Questo è importante perché purtroppo l’Italia è stata molto criticata all’estero per la gestione  dei primi mesi della pandemia, durante i quali è stata assente un’adeguata organizzazione che prevedesse, ad esempio, il coinvolgimento dei medici di famiglia.

 

Cosa servirebbe adesso per uscire dalla crisi sanitaria?

Bisognerebbe che le forze politiche fossero davvero unite e compatte, perché finora le divisioni tra partiti hanno solamente danneggiato il Servizio Sanitario Nazionale. La politica deve rimanere fuori dalla sanità, bisogna saper guardare oltre agli interessi particolari di un determinato sindacato, di una determinata associazione o addirittura di un singolo. E poi bisognerebbe riflettere seriamente sulla frammentazione provocata dai diversi sistemi sanitari regionali, elemento che rispetto ad altri Paesi mette l’Italia in una posizione di evidente svantaggio. Dove è in gioco la vita delle persone le decisioni devono essere prese a livello nazionale, in modo unitario e compatto. Inoltre mi permetto di aggiungere che la confusione e la paura della popolazione sono state spesso peggiorate da informazioni contraddittorie, date con superficialità da colleghi che talvolta sono intervenuti a sproposito. Medici e scienziati non dovrebbero fare dichiarazioni che hanno il sapore di strumentalizzazioni politiche, perché danneggiano il messaggio sincero che deve essere dato alla popolazione.