Il 9 maggio, nell’emiciclo del Parlamento europeo a Strasburgo, è stato ufficialmente dato il via alla Conferenza sul futuro dell’Europa. Questo fondamentale forum di discussione, che durerà nove mesi, coinvolge istituzioni UE, Stati membri, associazioni, autorità locali, comuni, regioni al fine di decidere quale direzione dovrà prendere l’Europa nei prossimi anni.

Il Parlamento europeo di Strasburgo – Foto di Moritz D. da Pixabay

Data la rilevanza dell’evento risulta utile comprende, attraverso un’analisi storica, il ruolo fondamentale giocato dai grandi consessi europei per la politica estera italiana, poiché è attraverso essi che il nostro paese rafforza e costituisce la propria identità internazionale.

A tal fine, il presente articolo si prefigura di esaminare tre fondamentali conferenze europee svoltesi a Parigi negli ultimi due secoli, ponendo particolare attenzione a come queste sino state utilizzate dall’azione estera del nostro paese per rafforzare l’interesse nazionale nell’arena internazionale.

 

Parigi 1856, dove nacque l’Italia. 

Un momento di svolta per la storia europea fu la Conferenza di Parigi del 1856, quando l’Italia non esisteva ancora in quanto unità statuale. La Conferenza era stata indetta al fine di gestire il futuro delle relazioni europee dopo la sconfitta Russa in Crimea nel 1854 ad opera dell’alleanza Franco-Britannica intervenuta a sostegno dell’Impero ottomano. Al dì là di importanti decisioni politiche quali la concessione dell’autonomia ai principati danubiani e la Smilitarizzazione del Mar Nero, a Parigi iniziò quel lento processo di isolamento degli imperi Russo ed Austro-ungarico nonché della progressiva ascesa della Francia di Napoleone III.  Tale consesso europeo fu anche lo strumento attraverso il quale il genio di Cavour pose le basi per la prima fase del processo di unificazione italiano. Il Regno Sardo-piemontese aveva infatti preso parte alle operazioni militari contro l’Impero Russo e tale partecipazione aveva permesso a Cavour di sedersi al tavolo della pace con le grandi potenze europee. La delegazione sabauda, pur non ottenendo nell’immediato alcun vantaggio territoriale, riuscì per la prima volta ad internazionalizzare la questione dell’unità italiana. In un’apposita sessione della Conferenza, Cavour e l’Ambasciatore Villamarina presentarono il Regno Sabaudo come tassello fondamentale per la stabilità dell’intero continente europeo e legittimo titolare dell’unificazione italiana attraverso il principio dinastico, evitando così l’aumento di moti rivoluzionari incontrollati nella penisola (si ricordi che i moti che avevano incendiato l’Europa nel 1848 erano iniziati a Palermo). Il Consesso permise inoltre di trovare un beneplacito britannico per una futura guerra d’indipendenza e permise all’Italia d’avvicinarsi alle posizioni di Napoleone III, spianando la strada per i successivi Accordi di Plombières del 1858.

 

I “quattro grandi” alla Conferenza di pace di Parigi (da sinistra a destra: David Lloyd George, Vittorio Emanuele Orlando, Georges Clemenceau, Woodrow Wilson) – Foto di Edward N. Jackson (US Army Signal Corps)

Parigi 1919, una “pace mutilata”

La Conferenza di pace di Parigi del 1919 fu un altro momento chiave nella gestione degli assetti europei. La Conferenza organizzata dagli Stati vincitori della Prima guerra mondiale cambiò radicalmente l’assetto geografico del continente, decretando la dissoluzione di quattro imperi – Austroungarico, tedesco e ottomano più quello Russo già crollato con l’avvio della rivoluzione bolscevica del 1917 – nonché la contemporanea nascita di nuove unità statuali quali Cecoslovacchia e Jugoslavia. A Parigi fu anche avviato per la prima volta un progetto d’istituzionalizzazione delle dinamiche politiche internazionali, particolarmente quelle europee, attraverso la redazione del covenant della Società delle Nazioni.

Tale evento rappresentò per l’Italia la consacrazione a ruolo di grande potenza europea attraverso la partecipazione del Primo Ministro Orlando al Consiglio dei Quattro, composto da Lloyd George per l’impero britannico, Clemenceau per la Francia e Wilson per gli Stati Uniti. L’inclusione di Roma in tale circolo ristretto in verità non rispecchiava le effettive capacità economico-militari del paese, ma era un riconoscimento allo sforzo bellico sostenuto. Nonostante l’importante posizione acquisita nel nuovo consesso europeo, i rappresentanti italiani non seppero promuovere efficacemente le due questioni ritenute prioritarie: l’assegnazione del litorale adriatico e quella di nuovi possedimenti coloniali. Come sottolinea un’analisi del diplomatico Mario Luciolli, che partecipò alla Conferenza, l’intransigenza nel sostenere le richieste italiane non era sostenuta da una strategia sufficientemente coerente. Se il Ministro Sonnino privilegiava la puntuale attuazione del Patto di Londra del 1915 il quale (oltre a Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia) prevedeva la cessione all’Italia della Dalmazia, Orlando si faceva portatore delle ferventi richieste nazionaliste per l’annessione della città di Fiume, abitata da italiani però non inclusa nel Patto. L’intransigenza rispetto ad entrambe le tesi non era però accettabile secondo il principio di “autodeterminazione” di Wilson, il quale si appellò direttamente al popolo italiano chiedendo il rispetto dell’autonomia dei popoli slavi. Orlando sentendosi scavalcato da tale interferenza del presidente statunitense, ritirò la delegazione italiana proprio durante la sessione dedicata alla spartizione delle colonie tedesche. La delegazione del nuovo governo Nitti riuscì a strappare solo qualche futura ridefinizione dei confini tra Somalia italiana e Kenya (Oltregiuba) e sul Confine Libico-Ciadiano. La mancata acquisizione dei territori così strenuamente ma incoerentemente rivendicati provocò un forte malessere nell’agitata politica italiana postbellica, generando il mito della “vittoria mutilata”, immediatamente strumentalizzato dal nascente movimento fascista. Con questi presupposti il tentativo del corpo diplomatico, sotto l’esperta guida del segretario generale Contarini, di fare dell’Italia una potenza moderata e mediatrice negli assetti europei risultava particolarmente arduo. Tale difficoltà fu immediatamente dimostrata dall’occupazione D’Annunziana di Fiume (e dalla sua successiva repressione nel “Natale di Sangue” del 1920) nonché dalla incontrollabile politica estera mussoliniana avviata con l’invasione di Corfù del 1923. Bisogna però sottolineare che la diplomazia italiana continuò a proporsi nei consessi internazionali quale elemento di stabilizzazione, come dimostrato dal ruolo chiave nei Patti di Locarno del 1925 o nelle Conferenze sul disarmo navale e sui debiti di guerra tedeschi, sotto l’egida del Ministro Dino Grandi.

 

Parigi 1951, l’integrazione europea

Firma del Trattato di Parigi – Foto di Frances Benjamin Johnston

L’ ultimo dei grandi consessi europei tenuti a Parigi che bisogna menzionare è quello del 1951, che darà il via al processo di integrazione europea attraverso la concretizzazione del Piano Schuman per una Comunità del Carbone e dell’Acciaio (CECA) tra Italia, Francia, Germania federale, Belgio, Olanda e Lussemburgo. Si ricorderà che sempre a Parigi quattro anni prima (1947) l’Italia aveva firmato con le potenze alleate un trattato di pace che le attribuiva lo status di potenza sconfitta. Il Discorso pronunciato da De Gasperi in quella sede descriveva l’Italia come una nazione che se pur traumatizzata dal periodo bellico, era pronta a ritrovare il suo ruolo nella comunità internazionale (attraverso l’ammissione all’ONU) e soprattutto europea. Tale occasione si presentò con l’inizio della trattativa sul progetto d’integrazione europea. L’Italia sin dall’inizio giocava un ruolo di primo piano dovuto alle proposte federaliste concepite nel 1941 a Ventotene dagli antifascisti Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi. Come sottolinea l’Ambasciatore Pietro Calamia, l’azione esterna italiana sotto l’inziale guida del Ministro Sforza seppe sfruttare la forte volontà europeista degli ambienti politici italiani per acquisire nel panorama politico-diplomatico europeo un ruolo che era superiore alle sue effettive capacità materiali.  Lo storico Antonio Varsori puntualizza che l’integrazione dell’Italia nel circuito euro-atlantico permetterà alla nostra classe dirigente di superare quella condizione di “minorità” alla quale la sconfitta militare ci aveva relegato. Va notato che con l’approvazione della CECA, l’Italia ritorna non solo ad essere un tassello fondamentale nell’impianto economico continentale, ma potrà anche svolgere un ruolo chiave nel quadro delle dinamiche dell’emergente Guerra fredda.

Si può quindi affermare che l’attribuzione data all’Italia dal giornale inglese Times nel 1972 quale “cenerentola d’Europa”, ossia incapace di giocare un ruolo determinante nelle dinamiche europee, è del tutto fallace. L’attivismo della nostra politica estera nella prima fase del processo di integrazione può essere osservato attraverso due elementi principali:

In primo luogo, l’effettiva azione della delegazione italiana guidata da Paolo Taviani, mentre De Gasperi affidava al nostro rappresentante in Lussemburgo Emilio Reale il compito di compattare le varie forze politiche europee di ispirazione cristiana in vista dell’approvazione finale dell’accordo. Il risultato di questa incisiva azione italiana sulle negoziazioni le permise di individuare e realizzare alcuni importanti interessi nazionali quali la creazione di un primo embrione di politica sociale europea (Articolo 3 del trattato, “disposizioni economiche e sociali”) seguita dall’integrazione del mercato carbosiderurgico quale strumento di ristrutturazione dell’apparato industriale italiano.

Il secondo elemento è dato dalla attiva “summit diplomacy” del nostro sistema istituzionale, che vide la penisola protagonista delle riunioni politiche che traghettarono l’integrazione Europea dalla CECA alla più completa Comunità Economica Europea (CEE), seguendo l’indirizzo prefissato da Jean Monnet. Ecco, quindi, che il Ministro degli Esteri Martino divenne il promotore delle Conferenze di Messina del giugno 1955 e di Venezia del maggio 1956, che individuarono l’integrazione economica come strumento decisivo per realizzare l’unione politica del continente, sostenuta da una solida struttura istituzionale. L’incontro tra il vice presidente statunitense Nixon ed il presidente della Repubblica Gronchi diede inoltre all’allargamento della cooperazione economica tra questi paesi dell’Europa occidentale una funzione di deterrenza anti-sovietica. Al contempo Scelba si faceva promotore della proposta di Paul–Henri Spaak sul mercato comune, anche per inserire in una cornice europea il piano italiano di rilancio economico decennale. Nel 1957, a Roma, dopo un’accurata stesura del testo affidata ad esperiti diplomatici quali Roberto Ducci, venivano finalmente firmati i Trattati istitutivi

I plenipotenziari del trattato di Parigi e le loro firme poste in corrispondenza della loro posizione nella fotografia. I primi due in piedi sono i rappresentanti del Regno di Sardegna, Cavour e Villamarina. Il terzo seduto è Lord Clarendon (Gran Bretagna), seguito da Walewski (Francia) – Foto di Yelkrokoyade

della CEE e dell’EURATOM (Agenzia atomica). L’incisiva azione italiana negli anni ’50 aveva permesso di dare particolare rilievo ad aspetti cruciali per il nostro paese quali una politica regionale comunitaria, misure di salvaguardia sociale, l’istituzione di un Fondo sociale e di una Banca europea degli investimenti, che avrebbero permesso di rinforzare il successivo “miracolo” economico italiano. L’approvazione di tali politiche permetteva soprattutto all’Italia di diventare uno dei pilastri portanti delle istituzioni europee, amplificando drasticamente la nostra politica estera.

 

Conclusioni: Diplomatie citoyenne européenne

I tre casi presentati dimostrano come i grandi consessi europei sono impiegati dalla politica estera italiana quale vettore politico-ideologico per ottenere un maggior peso negli assetti internazionali. Questo permette alla nostra diplomazia di raggiungere obbiettivi politici di considerevole portata, che sarebbero altrimenti impossibili da conseguire attraverso azioni puramente unilaterali.

In conclusione, riprendendo le parole pronunciate dal Presidente della Repubblica S. Mattarella alla  XIII Conferenza degli Ambasciatori, possiamo ritenere che oggi «l’Unione Europea rappresenta il primo perimetro dell’azione della nostra diplomazia, della nostra stessa proiezione internazionale. L’Unione non è altro rispetto a noi stessi […] perché attraverso di essa possiamo far emergere la nostra visione del mondo e delle relazioni internazionali».

Sta a noi essere in grado di cogliere al meglio le potenzialità offerte dai consessi continentali per rafforzare i nostri interessi internazionali. Tuttavia, oggi la sola azione istituzionale non è più sufficiente a sostenere la politica estera ma risulta essenziale un ruolo attivo del cittadino, una diplomatie citoyenne, che porti nuova linfa vitale al fondamentale progetto europeo. Quale migliore occasione per incominciare se non la Conferenza sul Futuro dell’Europa?

Il 9 maggio, nell’emiciclo del Parlamento europeo a Strasburgo, è stato ufficialmente dato il via alla Conferenza sul futuro dell’Europa. Questo fondamentale forum di discussione, che durerà nove mesi, coinvolge istituzioni UE, Stati membri, associazioni, autorità locali, comuni, regioni al fine di decidere quale direzione dovrà prendere l’Europa nei prossimi anni.

Data la rilevanza dell’evento risulta utile comprende, attraverso un’analisi storica, il ruolo fondamentale giocato dai grandi consessi europei per la politica estera italiana, poiché è attraverso essi che il nostro paese rafforza e costituisce la propria identità internazionale.

A tal fine, il presente articolo si prefigura di esaminare tre fondamentali conferenze europee svoltesi a Parigi negli ultimi due secoli, ponendo particolare attenzione a come queste sino state utilizzate dall’azione estera del nostro paese per rafforzare l’interesse nazionale nell’arena internazionale.