a cura di

Rodolfo Ruocco

Il supplente Draghi

Un preside chiede un supplente quando non trova un professore titolare di cattedra. Sergio Mattarella lo scorso febbraio chiamò Mario Draghi perché non riusciva a trovare un presidente del Consiglio capace di affrontare l’emergenza Covid. Draghi supplente ha assolto all’incarico affidatogli dal presidente della Repubblica: ha formato un governo di unità nazionale, la navigazione è travagliata ma va avanti.

Draghi, 73 anni, romano di stile britannico, è uno strano centauro. È un esterno alla politica, è un tecnico, un economista, un banchiere. Non è mai stato eletto in Parlamento, non proviene dalle file di un partito anche se era vicino alla sinistra Dc, corrente De Mita (negli anni Ottanta era nello staff del ministro dell’Economia Goria assieme a Tabacci, ora sottosegretario alla presidenza del Consiglio).

Draghi è un supplente, è il risultato della debolezza dei partiti e del debilitato sistema politico italiano. Eppure è diventato presidente del Consiglio. È difficilissimo orizzontarsi, eppure Draghi supplente si orizzonta, e abbastanza bene, nel labirinto politico italiano. Sta portando a casa risultati positivi su più fronti. È stimato in Europa e negli Stati Uniti, i sondaggi gli danno un’alta fiducia tra gli italiani.

Certo soprattutto grillini e leghisti, fino a poco tempo fa decisi sovranisti, non hanno perso del tutto i tratti populisti. Su molti temi fanno “ballare” il governo ma il presidente del Consiglio finora l’ha sempre spuntata. 

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