La archiviazione, senza il raggiungimento del quorum, dei referendum dell’ otto e nove giugno, consente serenamente e senza il vincolo del caso specifico, di riflettere sull’istituto della consultazione referendaria. La nostra Carta costituzionale regolamenta detta consultazione, con gli articoli 75 (referendum abrogativo) e 138(referendum confermativo di una legge che modifica la Costituzione). A ben vedere, si tratta di due istituti diversi, ma entrambi chiamati ad operare in presenza di una insufficienza del Parlamento.
Nella ipotesi abrogativa, quando una legge appare non più conforme alla volontà popolare e le Camere non hanno ritenuto di intervenire modificandola. Nel secondo caso, quando una legge costituzionale, di modifica alla Carta, non ha raggiunto la maggioranza dei due terzi dei voti espressi dai membri delle Camere.

In entrambi i casi si tratta di una attività surrogatoria che chiama i cittadini ad esprimersi.
La più rilevante differenza tra le due consultazioni è costituita dal quorum di validità, che è richiesto solo nel caso del referendum abrogativo, regolato dall’articolo 75, mentre non è previsto per quello confermativo, evidentemente perché il vaglio di “interesse” della legge è già stato operato dal dibattito parlamentare, che ha portato alla approvazione della legge costituzionale, anche se non con la maggioranza dei due terzi dei voti.

Nella altra ipotesi, quella del referendum abrogativo, non essendovi un dibattito previo, l’interesse e la rilevanza della consultazione (fermo ogni preliminare controllo della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale) sono misurate dal raggiungimento del quorum, costituito dalla maggioranza degli elettori aventi diritto al voto (compresi quelli iscritti all’Aire). Da questa prima riflessione emerge, senza la contemplazione di alcun caso concreto, che la astensione è una scelta legittima dell’elettore, che manifesta, in tal modo, il suo disinteresse al tema proposto dai promotori del referendum.

Il secondo rilievo deve essere operato in merito ai numeri proposti dall’articolo 75 in relazione alle firme richieste per la proposizione del referendum ad opera dei cittadini (nessun rilievo sul referendum promosso dei cinque Consigli regionali). I numeri richiesti dalla Costituzione, nel 1948, vanno, a mio avviso, rivisti per due ordini di fattori: la popolazione è notevolmente aumentata; la complessità della raccolta delle firme si è ridotta per via delle nuove tecnologie (firma elettronica) e possibilità di autenticazione da parte di una pletora di soggetti (invero non tutti competenti).


Questi rilievi impongono una rivalutazione del tema referendario, in particolare di quello abrogativo. Deve essere, infatti, considerato che tutti gli ultimi referendum abrogativi ( ad eccezione di quello sull’acqua pubblica, riempito di suggestioni talvolta improprie) non hanno raggiunto il quorum, con l’ulteriore effetto della disaffezione dei cittadini ad un importante istituto democratico di cui non si deve abusare. È necessario ricordare che alcune consultazioni referendarie hanno compiuto una vera e propria rivoluzione nel Paese. I referendum sui sistemi elettorali voluti da Mario Segni, contro tutti gli apparati politici, all’inizio degli anni Novanta hanno imposto il ripensamento del sistema elettorale e ci hanno regalato la elezione diretta dei sindaci che ha consentito il rinnovamento programmato per molte città.

In conclusione, per evitare che l’istituto del referendum abrogativo vada nel disinteresse, perché avvertito come una inutile dispersione di denaro pubblico e’ necessario ripensarlo rivedendo i numeri, i tempi ed i controlli.