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L’1 maggio 2021 gli Stati Uniti hanno iniziato ufficialmente il ritiro dei propri soldati dall’Afghanistan e con esso le speranze di pace nell’area potrebbero vanificarsi dopo un lungo conflitto che ha visto protagonisti per 20 anni gli USA e gli alleati NATO faccia a faccia contro le azioni dei talebani e del terrorismo internazionale islamico, impiegando ingenti forze umane e materiali per tentare di rendere Kabul un luogo adeguato agli standard internazionali di democrazia e libertà.

La grande ripartenza terminerà entro l’11 settembre, data simbolica del 20mo anniversario degli attentati del 2001 e dovrebbe concludersi un periodo storico tra i più sanguinosi del nostro secolo attuale in aree dove il terrorismo della Jihad islamica ha posto le basi.

Emergono nel frattempo a Kabul le paure per il riverbero di violenze, minacce, violazioni dei diritti umani da parte dei gruppi talebani che potrebbero riconquistare potere, nuovi adepti e terreno sul campo e rendere così i risultati parziali di tale conflitto annullati.

Nel frattempo, mentre il governo afghano e i talebani si sono incontrati in Qatar per discutere di un piano di pace per il Paese, i talebani sono arrivati a Nerkh, nella provincia di Maidan Wardak, a 30 km da Kabul. Tale avanzata formata da gruppi armati improvvisati di studenti coranici, si caratterizza come una seria minaccia nel caso in cui le forze governative non impieghino adeguate attrezzatture belliche e uomini per fronteggiare gli antagonisti.

Bisogna precisare che gli USA non lasceranno completamente sguarnito l’Afghanistan e riguardo alla tutela della sicurezza collettiva il ruolo degli americani potrebbe minimizzarsi alla presenza in Kabul di propri consiglieri militari, eventuali truppe, al fine di garantire un maggior spazio di manovra per i Paesi interessati a preservare l’area.

La Casa Bianca riconosce che il conflitto afghano ha determinato un deficit per la spesa pubblica americana e la perdita di soldati statunitensi in azioni di combattimento con l’obiettivo di sradicare il terrorismo jihadista, al fine di ostacolare una ulteriore diffusione di tale fenomeno oltre i confini afghani e tutelare anche la popolazione dal radicalismo talebano; quindi l’exit strategy decisa da Washington potrebbe rappresentare l’opportunità per gli USA di far coinvolgere indirettamente nella gestione della sicurezza di Kabul altri Stati come Russia e Cina, per impegnare questi ultimi in Afghanistan e farli così disimpegnare da altre aree come il Medio Oriente o la Libia.

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Occorre sottolineare che proprio la minaccia dei talebani e dei jihadisti non riguarda solo l’Afghanistan e sorge quindi la necessità che gli Stati limitrofi a Kabul possano intervenire prima che la sicurezza di tale area geopolitica venga ulteriormente compromessa.

È possibile inoltre riscontrare che proprio in Asia Centrale non mancano episodi di terrorismo e sia Mosca che Pechino hanno sempre esternato alla comunità internazionale preoccupazioni in merito alla diffusione dei gruppi terroristici di Daesh (ISIS) e Al Qaeda, tanto che hanno contribuito alla lotta comune contro la barbarie del fondamentalismo islamico.

Intanto l’Asia Centrale, territorio nel quale alcuni Stati sono sottoposti all’influenza politica e commerciale della Russia e della Cina, a volte soffre la precarietà derivante da crisi economiche o politiche interne ai Paesi.

Il 30 Aprile 2021 è sorta una disputa sui diritti sulla terra e sull’acqua tra il Kirghizistan e Tagikistan che a seguito di combattimenti ha causato almeno sedici morti e 20.000 sfollati, rendendo quindi l’equilibrio di entrambi i Paesi attraente al terrorismo islamico.

Dall’Asia Centrale, infatti provengono gran parte dei terroristi che combattono nei maggiori teatri bellici del mondo.

A riprova di tale questione a titolo esemplificativo è possibile ricordare come due dei tre attentatori suicidi che bombardarono l’aeroporto internazionale di Istanbul nel giugno 2016 erano cittadini del Kirghizistan e dell’Uzbekistan ed il gruppo jihadista siriano Hayat Tahrir al-Sham (HTS) da anni controlla la provincia di Idlib con due fazioni uzbeke sotto la sua influenza.

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Un elemento rilevante alla base di questo recente aumento di jihadisti dell’Asia centrale è stata l’emigrazione di massa avvenuta in tutta la regione, creando nuovi giovani vocati alla radicalizzazione. Inoltre, i progressi delle tecnologie della comunicazione hanno contribuito a esporre sempre di più la popolazione dell’Asia Centrale verso contenuti online radicali, con la costituzione di moderne reti jihadiste sempre più sofisticate.

Tra la crescita economica stagnante, l’aumento della popolazione e la vicinanza ai punti critici del mondo, la lotta contro ogni forma di radicalizzazione è ora una sfida importante per i governi di Paesi come Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan.

È possibile quindi riscontrare che proprio la mancanza di sicurezza dell’Afghanistan, con un effetto domino, potrebbe incrementare il potenziale del terrorismo internazionale nelle aree limitrofe dell’Asia Centrale e determinare nuovi disequilibri nella sicurezza collettiva, ma solo l’intervento mirato di tutta la comunità internazionale e non soltanto l’azione degli USA e della NATO potrebbe prevenire future escalation di attentati e nuovi pericoli per il mondo.