No, la transizione ecologica ed energetica in Europa non è morta. Chi lo sostiene vuole accontentare i sovranisti di ogni latitudine. Ma è un inganno. E quanto può durare ? In Europa ci sono tanti e tali strumenti vigenti sul Green Deal che sostenere la morte di un percorso di lungo periodo è una presa in giro. Si, la politica ha le sue regole perverse che possono fare tutto e il contrario di tutto. Ma basta un capo di governo (pro-tempore) a decidere che il cambiamento climatico è una panzana ? Basta un’alleanza tra pari di uno stesso schieramento a stabilire il dietro front rispetto a fenomeni che hanno cambiato la fisionomia del pianeta ? E sempre più la cambieranno, perché l’ingiustizia climatica è un’ ingiustizia generale.

Le falle di una strategia

L’Europa ha fatto quanto le era consentito, in un certo momento storico, per arrestare il declino ambientale. Ha corso troppo ? Si, in un certo senso e lo avevamo detto. Ora, il rallentamento delle politiche di sostenibilità ambientale è un dato di fatto. Dietro ci sono pressioni politiche, economiche e sociali e gli impegni presi dalle forze politiche per il secondo mandato di Ursula von der Leyen. Si arretra, ma bisogna riprendersi per andare avanti. Il primo banco di prova dei rallentamenti sono state le decisioni prese a livello nazionale. Hanno fatto da base per lo scenario europeo. Chi le la prese ? Chi difende la Nazione (sic !)e tutto quello che ci sta dentro. Peggio dell’era delle Signorie e dei Granducati. Le Nazioni esistono, ma hanno mai sentito economisti come Joseph Stiglitz che vedono la transizione ecologica come unica occasione di innovazione tecnologica e creazione di lavoro ? La revisione delle normative sulla finanza sostenibile, l’aumento dei sussidi nazionali alle fonti inquinanti e altro, hanno frenato in maniera evidente la decarbonizzazione.  Si sperimentano nuove soluzioni tecnologiche come la cattura della CO2 o carburanti eco, ma la qualità ambientale e della vita degli europei non migliora. L’Europa è  in lite con se stessa. Ha accumulato falle. Bisogna ripararle. Assistiamo a iniziative sconvolgenti all’interno di un Unione tra Stati, con Paesi come Polonia, Bulgaria, Romania che hanno in corso azioni legali contro la Commissione. Sono Paesi dipendenti dal carbone e vedono minacciato il proprio potenziale industriale. Ma vogliono restare dove sono ? Città tossiche, alluvioni, smottamenti, bollette energetiche insostenibili  non toccano quei cittadini ? L’approccio dei governi (pro-tempore) al cambiamento climatico è dei più conservatori. Antepone lo status quo a qualsiasi innovazione, alla ricerca di sistemi e metodi alternativi alla produzione di beni e servizi. Si agita la perdita di posti di lavoro, la regressione di settori portanti dell’economia e il risultato non può che essere l’opposizione a strategie basate su ricerca, sperimentazioni, acquisto di materie prime pregiate. La vicenda dell’auto elettrica è sicuramente illuminante. Il progetto è considerato dannoso per l’industria automobilistica europea. Ma non tutto resterà così. Non sarà il 2035, ma dopo – più che prima – qualcosa bisognerà fare.

Nuovi strumenti 

Ci sono Paesi, tra cui l’Italia, che hanno ritirato l’impegno a cessare i finanziamenti ai progetti legati ai combustibili fossili. Secondo un rapporto del Joint Research Centre (JRC) dei 154 obiettivi del Green Deal del 2019, solo 32 sono considerati in linea. Tutti gli altri sono o stagnanti o privi di dati. L’ Agenzia europea dell’ambiente ha detto che ci sono stati progressi, ma l’Unione è “fuori strada” su molti indicatori per il 2030. L’Ue ha ridotto la dipendenza dal gas russo (dal 40 al 10 %) anche in conseguenza della guerra in Ucraina, ma le disuguaglianze tra Paesi restano e proprio perché le strutture produttive dipendono dai combustibili fossili. Non ci giro intorno: decretare l’insuccesso totale di un Piano ambizioso e competitivo, concepito per i prossimi 50 anni, è avventato. Tra i buoni correttivi per il Green Deal c’è sicuramente il Clean industrial deal approvato a inizio 2025. Un pacchetto per togliere “freni alle imprese” per soluzioni compatibili con l’ambiente, la salute, la rigenerazione urbana, la competitività. Chi aveva propagandato l’insana idea che transizione verde e sostenibilità fossero a costo zero si ricrederà. Si faranno passi avanti sui prezzi dell’energia, sulla mobilità, sull’accesso alle energie rinnovabili, sulla creazione di posti di lavoro di qualità. Sono già stati pubblicati bandi per 3,4 miliardi di euro a supporto di tecnologie a zero emissioni. Il programma LIFE fino al 2027 ha stanziato 2,3 miliardi di euro e l’Horizon Europe ha una dotazione di  636 milioni per progetti su clima, energia e mobilità. Il cambiamento climatico accompagna la nostre vite. È il fantasma che aspetta di essere catturato da un ghostbuster forte e robusto. Il Green Deal lo è. Resta il cuore della politica europea sul clima, ma il suo successo è legato alla capacità di accelerarne l’attuazione, modificandolo con intelligenza e tempestività quando ce ne bisogno. Soprattutto perché quelli che sono contrari vivono l’oggi in un carpe diem che finge di ignorare i drammi del pianeta malato. Le fondamenta ci sono, l’ Europa ha l’ambizione di non restare a guardare. No, la partita è aperta e si può vincere.