Dati da tenere sotto controllo, risposte politiche da seguire e valutare. La maggior parte dei Paesi industrializzati sono contro i cambiamenti climatici. Le risposte sono le più disparate e attraversano i sentieri complessi dei governi, dei parlamenti, del mondo del lavoro, del consenso. Essere alla vigilia di una rivoluzione non è facile, non lo è mai stato. Non lo è soprattutto per chi quell’evento ha progettato e intende realizzarlo . La transizione /rivoluzione ecologica richiede in primo luogo soldi. Soldi veri che vanno stanziati- quanto meno previsti- nei bilanci statali, nelle previsioni di spesa delle amministrazioni pubbliche, infine, nelle aziende.

Per restare in  Europa, è noto che lo sforzo maggiore per proteggere il pianeta è nelle mani dei governi. Il Green New Deal e il Next Generation Ue sono i pilastri di un passaggio epocale. Entrambi, a questo punto, dovrebbero essere stati ben compresi e strutturati nei singoli Stati. Dall’Agenzia  internazionale dell’energia (Iea), invece,  è arrivata una deludente risposta per quel che riguarda, appunto, i soldi da investire. Considerando i sostegni fiscali adottati finora dai singoli governi, l’Iea  dice che solo il 2% di questa massa monetaria sta andando alle energie rinnovabili. Continuando così tra due anni le emissioni di CO2 saliranno ancora,  con grave pregiudizio degli obiettivi Onu di sostenibilità al 2030 e al 2050.

Il trend sulle emissioni è negativo e dietro la penuria di investimenti ci sono le lentezze con le quali si muove anche l’industria. Quelle che inquinano e che ricevono i fondi dei vari piani pubblici. Le risorse finanziarie messe in questa specie di  conto energia green sono 16 trilioni di dollari  investiti prevalentemente da quando è scoppiata la pandemia. Un arco temporale, tutto sommato,  breve, sebbene la maggior parte dei governi avesse dichiarato il proprio impegno sui  mutamenti  climatici almeno dal 2015  Conferenza Onu di Parigi.

“Da quando è scoppiata la crisi del Covid-19 molti governi hanno speso molte parole sull’importanza di ricostruire meglio per un futuro più pulito, ma molti di loro devono ancora far seguire fatti concreti alle loro parole “ha spiegato Fatih Birol, il direttore esecutivo della Iea. Sulle rinnovabili si continua ad investire solo una piccola frazione dei bilanci statali. Lo scenario tracciato attraverso il Sustainable Recovery Tracker della Iea ripropone, in fondo, una profonda dicotomia tra Paesi ricchi e Paesi poveri. I primi, dicevamo, sono gli attori principali  nella lotta al climate change,  ma i secondi soffrono per cause anche più vaste: siccità, desertificazione, migrazione, povertà alimentare.

Cosa fare ? La tenacia con la quale i giovani in tutto il mondo criticano i governi per le loro azioni lente ,assume i contorni di una mobilitazione per una maggiore e più veloce spesa sullo sviluppo sostenibile. Bisogna fare presto, trovare risorse adeguate e non perdersi in rinvii e propaganda. Mettere in dubbio la reale volontà dei governi di arrestare il degrado del pianeta sarebbe  eccessivo. Ma considerando i dati  forniti dall’Iea, i mezzi impegni scaturiti dal G20 sul clima di Napoli e che il primo obiettivo di riduzione delle emissioni nocive è tra poco più di nove anni, se ne conclude che la transizione/rivoluzione avanza a scartamento ridotto. Magari saranno i giovani a far inserire la marcia veloce.