La ricerca di dati numerici sulla pandemia dell’influenza spagnola degli anni 1918-19 evidenzia molte incertezze. Si stima per la maggiore pandemia del XX secolo tra i 500 e i 600 milioni di contagiati, circa un terzo della popolazione mondiale, all’epoca di circa 1 miliardo e 800 milioni, e un numero di vittime attorno ai 50 milioni. Per l’Italia la stima delle vittime è tra 375.000 e 650.000, su una popolazione del nostro paese allora di circa 36 milioni.
È naturale confrontare questi dati approssimativi con quelli dell’attuale pandemia: in un mondo di quasi 8 miliardi abbiamo ora 200 milioni di contagiati da Covid 19 con più di 4 milioni di vittime. In Italia, su una popolazione di 60 milioni abbiamo 128.000 vittime. Questi dati sono naturalmente provvisori, ma è più di una speranza che i dati finali di contagi e vittime non si discosteranno di molto.
Dunque il Covid 19 di oggi, con una popolazione mondiale quadruplicata rispetto a cento anni fa, ha provocato in cifra assoluta un terzo dei contagi dell’influenza spagnola del 1918-19, e un numero di vittime di meno di un decimo. Il confronto delle vittime in Italia fornisce una forbice assai meno ampia, ma siamo decisamente lontani dalla percentuale di vittime di cento anni fa.
È evidente che a distanza dei cento anni trascorsi tra le due pandemie, molte sono le cause che hanno influito sul forte ridimensionamento delle conseguenze. A prescindere dagli effetti che sulla pandemia spagnola ebbero i postumi della prima guerra mondiale, certamente l’attuale livello di comunicazione globale ha reso molto più facile l’individuazione e la diffusione di mezzi di contenimento, nonché naturalmente il migliore contesto sanitario ha reso possibile una forte riduzione delle vittime.
Siamo ora, ce lo auguriamo, in una fase decisiva della pandemia del Covid 19, fase che apre alla speranza ma che appare ancora critica. Una grande differenza con cento anni fa è costituita dalla presenza e possibilità di diffusione dei vaccini, strumento estensivamente utilizzato e affermato a livello mondiale solo nel corso del XX secolo, portando a risultati quali l’eradicazione dal mondo del vaiolo e il grande ridimensionamento della poliomelite.
È di fondamentale importanza che la fornitura dei vaccini Covid coinvolga tutti i paesi nel mondo, essendo evidente che nessuna pandemia può essere combattuta nell’ottica di un singolo paese o di un singolo continente. La carta del mondo che riporta la percentuale di vaccini somministrati nei singoli paesi mostra enormi sproporzioni che nell’interesse del mondo devono essere corrette. È anche molto importante che i paesi come il nostro, che hanno la fortuna di disporre di sufficienti vaccini gratuiti per tutta la popolazione, ne facciano il miglior uso e diano dunque un esempio al mondo. In molti paesi, incluso il nostro, ci troviamo oggi ad affrontare il problema di come arginare il purtroppo diffuso fenomeno no-vax, anche alimentato dalle posizioni ambigue di alcune forze politiche.
A riguardo degli atteggiamenti di scetticismo nei confronti dei vaccini, mi limito qui a rimandare all’interessante articolo di Lorenzo Bini Smaghi sul Corriere della Sera del 29 luglio. In esso si evidenziano i forti limiti di efficacia dell’argomento sul rapporto rischi-benefici dei vaccini, assai utilizzato nella campagna vaccinale, ma purtroppo spesso impostato in chiave individuale e limitato ai soli aspetti strettamente sanitari.
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