La rapida e crescente digitalizzazione rischia di produrre una profonda destabilizzazione delle economie e ciò dipenderà dal fatto che, con l’aumentare della potenza dell’IoT, (Internet of things), della robotica, le imprese manifatturiere e dei servizi, ma anche la Pubblica Amministrazione avranno sempre meno bisogno di vaste categorie di lavoratori.
Le trasformazioni tecnologiche in atto rischiano di lasciare indietro un grande numero di persone, soprattutto quelle collegate a lavori ripetitivi e di routine.
Certamente siamo in un tempo migliore per i lavoratori dotati di competenze elevate ed adeguate ai mutamenti in atto, poiché questi lavoratori potranno sfruttare le opportunità insite nelle nuove tecnologie.
Tuttavia, non vi è mai stato un tempo peggiore per chi è dotato di competenze tradizionali poiché competenze digitali, robotica ed altre tecnologie stanno acquisendo queste competenze con una rapidità straordinaria.
Secondo il rapporto The Future of Jobs, realizzato dal World Economic Forum, entro il 2025, si assisterà alla perdita di 85 milioni di posti di lavoro che saranno compensati dall’emergere di nuova occupazione (+97 milioni).
Però la creazione di posti di lavoro sta rallentando, a fronte di un aumento più veloce della perdita di posti di lavoro. Inoltre l’acquisizione di nuove competenze, soprattutto personali (chiamate soft skills, in italiano competenze trasversali) sarà cruciale per i lavoratori e le imprese che vorranno rimanere rilevanti.
I dati forniti dal rapporto mostrano che il processo di digitalizzazione continuerà a un ritmo più veloce del previsto, anche sotto la spinta data dalla pandemia di Covid-19.
La divisione del lavoro tra uomo e robot porterà anche all’emergere di nuove posizioni, che faranno leva soprattutto sulle competenze personali. Le macchine si concentreranno principalmente sull’informazione e l’elaborazione dei dati, sulle mansioni amministrative e sui lavori manuali, usuranti di routine per le posizioni da impiegati e operai.
Contrariamente, i compiti in cui si prevede che il personale manterrà il suo vantaggio competitivo includono la gestione, la consulenza, il processo decisionale, il ragionamento, la comunicazione e l’interazione. Ci sarà un’impennata nella domanda di lavoratori nella green economy, nell’economia dei dati e nell’intelligenza artificiale, oltre a nuovi ruoli nell’ingegneria, nello sviluppo di prodotti.
I lavoratori e le imprese che vorranno continuare ad essere rilevanti nello scenario lavorativo descritto dovranno concentrarsi sullo sviluppo di nuove competenze.
La pandemia ha avuto un impatto enorme su milioni di lavoratori poco qualificati, ma la ripresa deve includere uno sforzo coordinato di riqualificazione da parte delle istituzioni per fornire un apprendimento accessibile in modo che gli individui possano ritornare ad essere una risorsa umana nel lavoro.
Sono necessarie politiche attive per sostenere i percorsi di riqualificazione professionale dei lavoratori con un miglioramento dei sistemi di istruzione e di formazione.
Per quanto riguarda l’Italia, bisogna considerare che a quasi metà della popolazione mancano le competenze digitali. Dall’altra parte ci sono sempre più difficoltà da parte delle imprese a trovare profili specializzati, dotati delle competenze necessarie.
Se questo è lo scenario del prossimo futuro nel mondo e anche nel nostro Paese, la domanda è se avremo ancora bisogno di lavoratori stranieri, dato che anche i lavori che i nostri connazionali da anni non intendono più fare, saranno progressivamente sostituiti da sistemi digitali e automatizzati.
Certo la necessità di riqualificare in ambito digitale potrebbe interessare non solo gli italiani, ma anche i lavoratori stranieri presenti nel Paese. Dall’altra parte sarà necessario integrare i rifugiati che sempre in maggiore numero cercano in Europa e in Italia opportunità di miglioramento della loro vita attraverso una formazione per quelle attività come tornitori, saldatori, posatori, piastrellisti, idraulici, elettricisti, camionisti, allevatori, lavori che non sono più accettati da noi europei.
Rimangono poi i lavori legati all’assistenza familiare, ormai quasi completamente coperti da donne straniere, dell’agricoltura più arretrata e meno meccanizzata di alcune regioni, delle micro imprese edili, spesso con lavoro in nero, che avranno bisogno di personale straniero ancora per un po’ di tempo.
Per i giovani italiani sarà inoltre necessario un forte impegno di orientamento dato che attualmente circa il 60% sceglie la formazione liceale dopo la scuola secondaria di primo grado; quando dall’altra parte le maggiori opportunità di lavoro provengono in ambito tecnico. Anche in questo periodo, secondo UnionCamere il 30% delle offerte di lavoro non trova personale idoneo o interessato e contemporaneamente abbiamo, soprattutto nelle regioni del Sud, tra i più alti tassi di disoccupazione giovanile a livello europeo.
Quindi è urgente che si riduca il disallineamento tra domanda e offerta di lavoro, coinvolgendo sempre più il mondo della scuola, dell’università e quello delle imprese.