Dove erano i nostri genitori quel 25 aprile del ‘45?
Il 25 aprile 1945 rappresenta la vittoria della resistenza sull’occupazione straniera ed è una delle feste nazionali più importanti, se non addirittura la più importante dopo la festa della repubblica e celebrandola testimoniamo una nuova Italia, una Italia risorta, che ha riconquistato la propria dignità. In quel 1945 un insieme di paesi, cittadine e città in festa, una Italia festosa e piena di dolori, che può da un lato salutare la libertà e i soldati tornati dalla guerra e dall’altro migliaia di famiglie non saranno più le stesse perché tanti non sarebbero tornati.
Noi non c’eravamo però possiamo immaginare lo stupore e la gioia di quelle ore. I giornali titolavano a tutta pagina che l’Italia era libera, la radio trasmetteva i proclami e si sentiva la voce di Sandro Pertini, indimenticato partigiano e Presidente della Repubblica, quel 25 Aprile, comunicare da Milano, ultima roccaforte della Repubblica Sociale e dei Nazisti, lo sciopero generale: «Cittadini, lavoratori! Sciopero generale contro l’occupazione tedesca, contro la guerra fascista, per la salvezza delle nostre terre, delle nostre case, delle nostre officine. Come a Genova e a Torino, ponete i tedeschi di fronte al dilemma: arrendersi o perire.»
In effetti eravamo “quasi” liberi, mancava ancora del tempo per esserlo veramente, ma già le piazze e le vie si riempivano di gente, incredula forse, in festa. In effetti dopo 20 anni di dittatura l’artefice stava fuggendo verso la Valtellina e qualcuno dei nostri nonni lo bloccò all’altezza del lago di Como, ma solo il 28 aprile si mise fine completamente a quella orrenda parte della nostra storia. Dovevano passare ancora alcuni mesi perché con un atto atroce gli Stati Uniti d’America mettessero praticamente fine alla guerra, nello stesso momento mettendo fine a migliaia di vite in due diversi momenti di un agosto maledetto.
In effetti prima di Milano il CLNAI aveva indetto scioperi e insurrezioni anche in altre città del nord Italia, a Bologna che era libera dal 21 aprile e a Genova, liberata dal 23 aprile, ma rimanevano comunque occupate dalle forze nazifasciste. Milano restava un caso a sé, era il simbolo dell’occupazione, essendo la sede del comando nazifascista la sua caduta rappresentava la sconfitta di quel potere, la fine dell’occupazione, conclusa nel sangue e nel dolore di migliaia di cittadini inermi. Me ne parlarono i miei nonni, che vivevano a Milano, tanti anni dopo e il figlio, quello che sarebbe divenuto mio padre, in campo di concentramento in Austria e di cui non avevano notizie.
Ognuno di noi ha i ricordi che i genitori gli hanno trasmesso, la fame, la miseria, la disperazione che dà la cieca paura. Io sono del 1954 e mia madre mi raccontava che a Roma c’era la borsa nera, e si facevano delle lotte per accaparrarsi le bucce delle fave e dei piselli per poter fare una minestra. Spesso poi, al suono delle sirene, dovevano correre nei rifugi sotto i palazzi per salvarsi la vita. Ci sono entrato anch’io tanti anni dopo in uno e per terra ancora c’erano delle coperte, qualche panca semidistrutta e ancora si sentiva l’odore del terrore.
Quel giorno di aprile ha voluto dire non solo per l’Italia ma per un mondo intero riprovare a partire dopo una guerra che aveva brutalizzato i confini, le vite e le menti di milioni di persone, l’essere umano in generale.
E, sembra assurdo ma purtroppo non lo è, in questi giorni da due mesi ancora invasioni, bombardamenti, morti innocenti, giovani soldati mandati allo sbaraglio, famiglie distrutte e bimbe rese orfane…noi festeggiamo la nostra liberazione ma non è così e soprattutto, non dimentichiamolo, seppur sommersi dalle notizie che arrivano dall’Ucraina, la guerra è presente in tante parti del mondo e forse colpevolmente la sentiamo meno vicina.
Per ricordare questa data mi sono ispirato a un brano, pubblicato nel 2011, di un immenso poeta, che con gli occhi di bambino, all’epoca aveva cinque anni, vive la cosa, in uno sperduto paesino dell’Appennino toscano, dove era sfollato con la famiglia e il padre in guerra. Francesco Guccini così ricorda e canta:
“Se la guerra è finita perché ti si annebbia di pianto
Questo giorno di aprile
Ma il paese è in festa e saluta i soldati tornati
Mentre mandrie di nuvole pigre dormono sul campanile
Ed ognuno ritorna alla vita come i fiori nei prati”
Poi guarda in se stesso e ricorda:
“E la Russia è una favola bianca che conosci a memoria
E che sogni ogni notte stringendo la sua lettera breve
Le cicogne sospese nell’aria, il suo viso bagnato di neve”
Guardandosi intorno per strada, con la manina in quella della madre, con passi incerti vede:
“E l’Italia cantando ormai libera allaga le strade
Sventolando nel cielo bandiere impazzite di luce
E tua madre prendendoti in braccio, piangendo sorride
Mentre attorno qualcuno una storia o una vita ricuce”
Un anno dopo circa è ancora più felice, perché il papà è tornato:
“E’ domenica e in bici con lui hai più anni e respiri l’odore
Delle sue sigarette e del fiume che morde il pontile
Si dipinge d’azzurro o di fumo ogni vago timore
In un giorno di aprile”
E ancora:
“E l’Italia è una donna che balla sui tetti di Roma
Nell’amara dolcezza dei film dove cantan la vita
Ed un papa si affaccia e accarezza i bambini e la luna”
Buon 25 Aprile a tutti, ma senza dimenticare mai tutti i popoli che ancora oggi dopo e durante questi quasi ottanta anni continuano a combattere per la loro libertà.
Foto di apertura libera da Pixabay