La campagna intorno a Limoges è bella, riposante, tra verdi colline ondulate.
Un sabato, il 10 giugno 1944, c’era un bel sole caldo, e da Limoges numerose persone avevano preso il tram o la bicicletta per andare a Oradour-sur-Glane, un borgo rurale molto grazioso, situato ad una ventina di chilometri, con numerosi caffé, ristoranti e e botteghe. Si veniva qui anche per far scorta di cibo, non facile da trovare a Limoges col razionamento.
La giornata procedeva serenamente quando una colonna di tre sezioni della 3a compagnia del reggimento corazzato Der Führer, parte della divisione Waffen SS Das Reich, agli ordini del capitano Kahn entrò in Oradour. Nei giorni precedenti queste truppe avevano già massacrato numerosi abitanti nel settore di Montauban e Tulle (qui il 9 giugno avevano impiccato 99 ostaggi) in rappresaglia ad azioni di resistenza. Dopo il 6 giugno e lo Sbarco, la Resistenza francese ostacolava l’avanzata delle truppe tedesche stanziate nel Sud della Francia e che avevano ricevuto l’ordine di raggiungere la Normandia.
Verso le 13 la compagnia di circa 200 uomini si avvicina a Oradour e accerchia il borgo. Gli abitanti ricevono l’ordine di riunirsi sulla piazza in cui si tenevano le fiere. Le persone che non sono in grado di spostarsi vengono freddamente uccise. Poi donne e bambini vengono portati in chiesa e saranno assassinati, arsi vivi in questo luogo sacro. Marguerite Rouffanches riuscirà nonostante le ferite ad uscire da una finestra e a nascondersi poco distante, i soccorsi la ritroveranno 24 ore più tardi. Gli uomini invece verranno condotti nei fienili scelti dalle truppe che appena ricevuto l’ordine dal capitano li colpiranno con le mitragliatrici. Robert Hébras si salvò. Ferito, ma protetto dai corpi dei morti, si accorse che i Tedeschi li stavano ricoprendo di paglia per bruciarli. Il suo corpo venne raggiunto dalle fiamme, con grande coraggio riuscì a fuggire e a mettersi in salvo. Oggi ha 97 anni, ha scritto un libro e continua a testimoniare l’orrore vissuto.
Le case ormai deserte sono saccheggiate ed incendiate.
Solo in serata una parte delle truppe si sposta a pochi chilometri al luogo previsto per l’accantonamento (Saint Junien), gli altri rimangono di custodia al borgo devastato. La domenica una sezione ritorna per terminare la macabra operazione, ed eliminare le ultime tracce bruciando i corpi ancora visibili e aprendo una fossa comune.
643 persone persero la vita, tra cui la signora Lucia Miozzo uccisa con sette dei suoi nove figli. La famiglia era venuta dal Veneto a lavorare nelle campagne locali nel 1927 spostandosi più volte in vari borghi. Probabilmente dal 1942 lavorava in una fattoria situata in una frazione di Oradour. Due figlie riuscirono a sfuggire al massacro.
Il Generale De Gaulle decise di conservare le rovine di Oradour e di costruire un nuovo borgo poco distante. Una scelta molto giusta. Le immagini parlano da sé, si visita in silenzio, meditando sull’orrore vissuto da quelle povere persone.
La crudeltà delle SS è resa ancora più terribile sapendo che tra di loro c’erano anche degli Alsaziani, cittadini francesi da secoli, ma annessi al Reich con l’armistizio del 1940 insieme alla Lorena. Alcuni erano volontari per combattere insieme ai Tedeschi ma la grande maggioranza erano stati incorporati di forza.
Camminando verso il cimitero, nella Cripta del Memoriale, si trovano tanti oggetti della vita quotidiana recuperati tra le rovine. Carte d’identità, giocattoli, passeggini, e numerosi orologi fermi all’ora del massacro.
Uscendo dalle rovine per ritornare al mondo attuale, e voltandosi ancora una volta a guardare questo cancello che le protegge ci si rende conto di quanto è importante far conoscere Oradour-sur-Glane, agghiacciante testimonianza della barbarie nazista.
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Oradour n’est plus qu’un cri
Et c’est bien la pire offense
Au village qui vivait
Et c’est bien la pire honte
Que de n’être plus qu’un cri,
Nom de la haine des hommes
Nom de la honte des hommes
Le nom de notre vengeance
Qu’à travers toutes nos terres
On écoute en frissonnant,
Une bouche sans personne,
Qui hurle pour tous les temps.
Jean Tardieu, Oradour
Foto dell’autrice