Come si prepara il Parlamento europeo alle prossime elezioni del 2024 e quali strategie sta mettendo in atto per portare i cittadini a votare alle prossime consultazioni? Lo chiediamo a Carlo Corazza che da quattro anni dirige l’ufficio di rappresentanza in Italia del Parlamento europeo ed è funzionario delle istituzioni europee dal 1994 dove è stato tra l’atro membro del gabinetto di Emma Bonino quando era Commissaria europea e portavoce di Antonio Tajani quando era presidente del Parlamento europeo.
Qual è il ruolo del Parlamento europeo e perché i cittadini dovrebbero votare per eleggere i suoi membri il prossimo anno?
Quando i cittadini andranno a votare il prossimo anno lo faranno soprattutto perché vogliono un’Europa più politica e meno burocratica. Infatti dopo il Trattato di Lisbona chiunque osservi attentamente le dinamiche politiche a livello europeo sa che tutti i giochi si fanno anche con le famiglie politiche europee, e il loro luogo naturale di confronto è il Parlamento. Il Parlamento infatti è un grande legislatore ed è una delle due camere che è determinante per approvare qualsiasi cosa, che approva norme che di fatto si applicano al primo mercato mondiale, e per questo è molto rispettato, anche se forse meno conosciuto di quanto meriterebbe, però è uno dei grandi attori del mondo globale. Per esempio In questa legislatura il PE ha fissato una agenda politica molto ambiziosa e ha preso delle linee politiche giuste e importanti non solo nel caso del Next generation EU, ma anche nel caso dell’Ucraina, parlando di adesione dell’Ucraina all’UE già il giorno dopo l’invasione, ma anche sull’invio di armi, sul tribunale contro i crimini di guerra per Putin etc. E in questo momento il Parlamento sta dando la linea anche sul green deal, nel senso che sta approvando dei pacchetti di normative molto ambiziose. Non a caso in questi giorni uno dei tormentoni della politica europea è l’eventuale spostamento dell’asse di maggioranza verso il gruppo ECR (il groppo dei conservatori europei a cui aderisce Fratelli d’Italia), togliendo il ruolo di ago della bilancia al gruppo Renew (il gruppo liberale), e questo proprio perché il PE è una delle due camere determinante per approvare qualsiasi cosa a livello europeo.
In questo quadro quali sono le aspettative del Parlamento sulla partecipazione al voto?
Noi speriamo di fare meglio di 5 anni fa e arrivare a più del 50% di partecipazione, ma sarà difficile anche perché alcuni paesi hanno storicamente tassi di astensione molto alti anche per le elezioni politiche nazionali, anche se quelle europee saranno elezioni tanto importanti almeno quanto quelle politiche nazionali.
A me sembra che ci sia molta voglia di partecipare anche se non una sufficiente conoscenza della posta in gioco, quindi il nostro primo compito è quello di cercare di mobilitare i cittadini spiegando quali sono i temi su cui si gioca la partita delle prossime elezioni europee: dal green deal al digitale all’innovazione ma anche il futuro dell’Europa e come costruire una unione della difesa per la sicurezza e quindi come costruire una politica estera decisa a maggioranza qualificata. Sono cose che possono interessare tutti i cittadini a condizione che qualcuno gliele spieghi e li informi per questo prepariamo una campagna di informazione che utilizzi tutti i mezzi possibili a cominciare dai social media ai partenariati con i media, come quello che già abbiamo con la RAI e speriamo di avere anche con altre televisioni, giornali. Useremo anche dei testimonial, perché questo è molto importante per cercare di convincere i giovani a partecipare di più e perché per avvicinarsi ai giovani serve chi sappia parlare il loro linguaggio. Per esempio il 9 maggio abbiamo presentato un progetto insieme a Klaus Tudor Laurini uno Youtuber, un influencer che ha centinaia di migliaia di followers, molto amato dai ragazzi e anche appassionato di Europa che ha presentato un suo filmato di un’ora girato al Campidoglio, luogo simbolo dove sono stati firmati i Trattati di Roma con delle immagini incantevoli e una musica molto bella.
Anche se non si parla più molto di Italexit, quale peso avrà secondo lei l’euroscetticismo?
L’italexit è una cosa da opposizione, sarebbe come dire uscire dalla NATO, in realtà noi siamo in una cornice che tutela la nostra sovranità e i nostri cittadini e questa cornice è l’alleanza atlantica e l’Unione europea. Ovviamente ogni visione è legittima e nessuno dice che l’Europa non fa errori ma a me sembra che nessun partito di governo si sognerebbe di pensare seriamente di uscire da questo quadro e questo non solo in Italia ma in tutta l’Unione europea.
Allo stesso tempo in Italia e in Europa si contrastano due modelli, quello di un’Europa federale con un tipo di integrazione che vede la centralità del Parlamento europeo, le decisioni a maggioranza qualificata, una sovranità europea e quindi un sovranismo europeo in cui gli Stati esercitano una sovranità, lavorando insieme con delle procedure e delle deleghe di competenze. Mentre l’altra visione è quella di una Europa confederale, un’Europa che fino ad ora non ha funzionato molto bene, in cui gli Stati si tengono gelosamente le proprie competenze, dicono di voler lavorare insieme per un’Europa dei cittadini e probabilmente lo fanno in buona fede; però poi nei fatti la storia dell’integrazione europea dimostra che laddove gli Stati mantengono la loro sovranità, quindi mantenendo tra il resto il voto all’unanimità e il diritto di veto, ci consegnano un’Europa che funziona molto meno bene. Lo vediamo in tanti settori, dal fisco dove abbiamo visto proliferare i paradisi fiscali a danno del mercato interno, alla creazione di posti di lavoro, all’immigrazione, dove non riusciamo a gestire una crisi migratoria cominciata nel 2011, fino alla politica estera dove siamo davvero poco efficaci e dove c’è sempre uno Stato che mette il veto magari per negoziare altre cose.
Ma l’Europa per funzionare deve avere un equilibrio tra l’interesse generale europeo e gli interessi nazionali ma se l’interesse nazionale è sempre determinante alla fine questo equilibrio si rompe, perché da una somma di interessi nazionali è molto difficile trovare una sintesi e quindi alla fine ci perdiamo tutti.
In questo contesto l’Italia come si sta muovendo?
In Italia non si è ancora veramente aperto un dibattito sul futuro dell’Europa, mentre per esempio sappiamo già che la Germania e la Francia sono favorevoli alla maggioranza qualificata anche sul fisco o sulla politica estera. Da quello che ne so io, anche l’Italia potrebbe aderire e avere una visione favorevole alla maggioranza qualificata, ma su questo la Premier non si è espressa sul tipo di riforma. In passato aveva manifestato una visione confederale più che federalista europea ma in ogni caso il governo italiano sta collaborando molto bene con le istituzioni europee. E c’è una chiarissima volontà di collaborare pur sapendo che le idee dei partiti che sono al governo hanno idee diverse, nel senso che sicuramente Forza Italia, facendo parte della famiglia del PPE ha una visione molto più federalista di quella di Fratelli d’Italia o della Lega che magari si identificano di più con un modello di Europa delle Patrie, meno entusiasti di un progetto federale.
Sono tutte impostazioni legittime che non impediscono comunque al governo italiano di lavorare con la Presidente della Commissione del Parlamento o del Consiglio europeo, non solo sul PNRR ma anche su tanti altri dossier, anche se alla fine è giusto che i cittadini possano decidere alle prossime elezioni europee che tipo di Europa li convince di più.
A proposito di PNRR si parla molto di ritardi e modifiche, che impatto può avere tutto questo sulla campagna per le europee e comunque sul futuro dell’Europa?
In effetti sul PNRR italiano si gioca una partita importantissima che riguarda il futuro dell’Europa, perché questo programma è uno strumento eccezionale che è stato fortemente voluto dal Parlamento europeo perché era il modo per evitare che si disgregasse il mercato interno e la coesione sociale e territoriale davanti ad un evento eccezionale come la pandemia. Se non avessimo creato un fondo apposta avremmo avuto Stati con capacità fiscali in grado di uscire dalla crisi di aiutare le imprese, sospendere i mutui e aiutare i cittadini ed altri con dei debiti insostenibili e comunque il bilancio europeo uguale all’1% del PIL europeo non sarebbe stato sufficiente a aiutare ad uscire dalla crisi sia ad affrontare quelle sfide che restano i cambiamenti climatici la rivoluzione digitale, l’innovazione etc.
Quindi avere fatto un debito europeo è stata la risposta giusta ma questo debito non deve servire solo per uscire dalla pandemia perché adesso ci troviamo di fronte ad altre sfide come ad esempio l’aggressione russa all’Ucraina e quindi la necessità di andare rapidamente verso una Unione europea della difesa con costi insostenibili che nessuno Stato da solo può garantire. Ci vorranno investimenti colossali in intelligenza artificiale, nello spazio nella cyber sicurezza. Inoltre abbiamo un problema di transizione energetica dove dobbiamo investire secondo i calcoli della Commissione 280 miliardi all’anno e anche questo non si può fare a livello dei singoli Stati quindi c’è bisogno almeno per queste due cose di un bilancio che vada ben al di là dell’1%.
Per questo abbiamo bisogno del sistema del Next generation che è di finanziare il debito europeo, da restituire a partire del 2028 a dei tassi molto bassi – perché la Commissione europea gode della tripla A – e finanziato in futuro da risorse proprie che correggono diseconomie come il meccanismo di compensazione del carbonio alla frontiera o lo scambio di emissioni è lo schema che noi dobbiamo perseguire.
E’ chiaro che se l’Italia fallisse nell’utilizzare questi fondi, I paesi che ci stanno in questo momento garantendo questo prestito e le future risorse proprie si porranno delle domande sull’utilizzo in futuro di questo tipo di strumenti.
In ogni caso al momento il Ministro Fitto si sta muovendo benissimo, perché è legittimo che l’Italia chieda più flessibilità o l’aggiustamento per tanti progetti visto che negli ultimi due anni sono cambiati tanti parametri, con la guerra in Ucraina, il problema della sicurezza energetica e l’inflazione.
Credo che la Commissione europea sia assolutamente disponibile a trovare un accordo ma questo va fatto in un clima di serena collaborazione e per questo non c’è spazio in questo momento per crisi di euroscetticismo o per dire che l’Europa è brutta e cattiva e ci obbliga a mangiare i grilli.
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