Sono stati forse i 2000 chilometri di distanza a farci più volte percepire qualche elemento di speranza. Fin dal febbraio 2022, la speranza nella forza di resistenza dell’Ucraina, del suo rendere impossibile il progettato assedio di Kiev. E dopo la speranza nella convergenza dell’occidente contro l’invasione russa. Più recentemente, la speranza nell’evidente indebolimento di Putin, con la vicenda della grottesca “marcia su Mosca” dell’armata Wagner guidata da Evgenij Prigozhin.
Ultimo importante elemento di speranza è stata la visita a Mosca, nei giorni 28-30 giugno, del Cardinale Zuppi, inviato del Papa nella difficilissima missione. I suoi due incontri con il consigliere di Putin per gli affari di politica estera, Yuri Ushakov. Quello con Maria Lvova-Belova, commissario della Federazione Russa per i diritti dei bambini. Poi con il Patriarca Kirill, di Mosca e di tutta la Russia. E ancora con i vescovi cattolici della Russia, nel corso di una concelebrazione nella cattedrale della Madre di Dio, a Mosca.
Come sottolineato nei comunicati ufficiali, una visita finalizzata alla “individuazione di iniziative umanitarie, che possano aprire percorsi per il raggiungimento della pace, e in vista di ulteriori passi”.
Certo, sia l’enfasi sugli aspetti umanitari che il lasciare sullo sfondo le speranze di prospettive di pace, possono apparire addirittura deludenti. Come il fatto che non vi sia stato un incontro diretto con Putin, né con il ministro degli esteri Lavrov. Ma l’attuale iniziativa della Chiesa di Roma nei confronti della guerra in Ucraina è oggi nel mondo il più concreto contributo per una costruzione che vada oltre la logica del confronto militare.
Una costruzione che non può non richiedere tempo, pazienza, cultura, umanità. E anche il cercare di recuperare alcune forze morali fondamentali, tra quelle che dopo la Seconda guerra mondiale hanno contribuito a progettare la ricostruzione europea.
Risale a Theodor Heuss, primo presidente della Repubblica Federale di Germania, e al 1950, il riconoscere che la civiltà occidentale, così come il costituendo progetto europeo, poggiano su tre colli: l’Acropoli di Atene, il Campidoglio di Roma, e il Golgota, e che i tre colli devono costituire un unico riferimento. La foto qui accanto ritrae Theodor Heuss insieme al cancelliere Konrad Adenauer, uno dei padri fondatori dell’Europa del secondo novecento, forse la più significativa edificazione della ricostruzione postbellica.
La visione di Theodor Heuss concretizza dunque nei tre colli di Atene, di Roma, e di Gerusalemme la base dell’Occidente e dell’attuale Europa. Una visione che viene di tanto in tanto ricordata dal gesuita Padre Ottavio De Bertolis, ben noto predicatore, attuale Cappellano dell’Università Sapienza di Roma. Lo scorso 29 giugno, in occasione della solennità liturgica dei Santi Pietro e Paolo, Padre De Bertolis ha evidenziato come nella figura di San Paolo si realizzi la più antica sintesi dei valori rappresentati dai citati tre colli.
San Paolo, cresciuto e formatosi nella grande città anatolica di Tarso, all’epoca centro culturale ellenistico in qualche modo erede di Alessandria, predicherà a lungo in Grecia, parlerà ad Atene, scriverà in greco le sue tredici Lettere, diverse per le comunità cristiane costituite nella penisola ellenica. Cittadino romano per nascita, indirizzerà ai Romani la più lunga e forse la più importante delle Lettere, alle Tre Fontane di Roma troverà la morte. Apostolo delle Genti, diffonderà il cristianesimo in quelle aree del Mediterraneo che rappresentavano l’Europa dei suoi tempi. San Paolo, conclude Padre De Bertolis, anticipa di quasi venti secoli la sintesi di quei valori culturali e spirituali già presenti nell’antichità e che saranno a fondamento della costruzione europea a partire dalla seconda metà del Novecento.
Tra i brani scritti da San Paolo, il più famoso è certamente l’Inno alla carità, contenuto nella Prima Lettera ai Corinzi. Forse una delle pagine più alte dell’intera storia della letteratura. Leggendo le parole di San Paolo sulla carità, sembra che veramente molto del suo contenuto sia stato portato e sia stato presente nella visita a Mosca del Cardinale Zuppi.
Un celebre libretto di commento all’Inno alla carità paolino, scritto nel XIX secolo dal predicatore evangelico Henry Drummond, portava il titolo La cosa più grande del mondo.
Sembra proprio che sia la carità, la cosa più grande del mondo, ciò che il Cardinale Zuppi ha portato nel paese più vasto del mondo. Nella Grande Russia, che da più di un secolo rivendica un ruolo di riferimento per pretese operazioni salvifiche a carattere mondiale. Dalla guida nella rivoluzione e nell’internazionale comunista, fino all’attuale ideologia di ravvisare in Mosca il destino della Terza Roma. Per la restaurazione morale di un mondo dissoluto dalla decadenza della civiltà occidentale.
Il viaggio del Cardinale Zuppi a Mosca è tappa di un’opera difficilissima. Di fatto una seconda tappa, preceduta dalla missione a Kiev del 5 e 6 giugno. E seguita da una terza tappa, il recentissimo viaggio del Cardinale Zuppi a Washington dal 17 al 19 luglio, sempre come inviato di Papa Francesco. L’incontro alla Casa Bianca con il Presidente Biden conferma che l’apertura del canale internazionale di dialogo voluto dalla Chiesa di Roma, e basato sulla “mediazione umanitaria”, è ora una certezza.
Immagine di copertina di Russia, Mosca, Cremlino. Uso gratuito pixabay.