Credo che non esista nessun essere umano che non sappia che cos’è; che non sia costretto a farlo, più o meno, durante tutta la sua vita e che non incontrerà Qualcuno\a che glielo farà per programmare la sua eternità.
Il bilancio sarà poi più o meno complesso a seconda della vita che si conduce, dell’attività che si svolge: dal più semplice dei bilanci famigliari, al più complesso dei bilanci di una multinazionale, di uno Stato, di un Paperon de’Paperoni dell’internet.
La cosa appare abbastanza semplice, perché praticamente si tratta di calcolare a quanto ammontano le disponibilità e, conseguentemente, quanto si può spendere.
Tecnicamente, credo, che si usino ancora i termini “attivo e passivo”: sostanzialmente le due cifre debbono avvicinarsi se vogliamo dormire sereni.
Ovviamente le cose si complicano, in un crescendo rossiniano quanto maggiori sono le cifre in gioco e quanto maggiore è il divario fra “attivo e passivo”.
La nostra norma fondamentale vuole che lo Stato assicuri l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenuto conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico, e degli insormontabili paletti di legittimità posti all’indebitamento.
Così è se si vuole operare nella piena legittimità costituzionale.
Detto in parole povere, si tratta di cercare di far pareggiare entrate e uscite.
Nel rispetto dei principî dettati dalla normativa costituzionale, sarà poi la legge ordinaria a delineare le tecnicalità relative alla legge di bilancio, per assicurarne l’equilibrio e, ove necessario, la legittimità del debito.
Fino al 2012 la previsione costituzionale era piuttosto sempliciotta : “Le Camere approvano ogni anno i bilanci e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo. …… Con la legge di approvazione del bilancio non si possono stabilire nuovi tributi e nuove spese. Ogni altra legge che importi nuove o maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte.”.
Qualunque brava massaia è in grado di tradurre entrambi i testi: se non ci sono i soldi, non si fà!
A partire dall’esercizio finanziario 2014 è poi entrato in vigore il principio del pareggio di bilancio dello Stato; altra normativa ha riguardato gli enti locali.
Il bilancio pluriennale 2023\25 dello Stato è quello pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’ultimo giorno dell’anno scorso : attivo 672.251 milioni di euro; passivo 872.904 milioni di euro; mancano 200.653 milioni di euro.
Io non sono in grado di parlare di cifre simili, ma non posso non chiedermi se l’articolo 81 della Costituzione – alla luce di queste cifre mostruose – è veramente rispettato da Governo e Parlamento.
È pacifico che nell’ultima decina d’anni la situazione economica del Paese è precipitata : non possiamo ignorare che – per fare un solo esempio, ma forse il più drammatico in assoluto – la realtà del trattamento economico del Personale ospedaliero ha determinato una crisi irreversibile dei servizi di sanità : medici ed infermieri appena possono “emigrano” verso condizioni economiche più dignitose, di talché in Italia l’assistenza sanitaria è ridotta nelle condizioni che ben conosciamo e subiamo. La soluzione non è certo quella di importare “schiavi” da sfruttare al loro posto o di tentare coi gettoni.
Come si è visto, il vigente articolo 81 è un po’ più tecnico del vecchio testo, e immagina un equilibrio “spese\entrate” in funzione dell’andamento del ciclo economico.
Immaginazione che consente anche di indebitarsi, ma, “previa” autorizzazione delle Camere al verificarsi di eventi eccezionali.
E qui cominciano i problemi: perché, se non ci sono problemi riguardo alle spese per assicurare genericamente la vita del Paese, come ci si dovrebbe regolare – tanto per fare un esempio di questi giorni – per le spese di una inopinata situazione di guerra?
Non credo che una guerra possa rientrare nel gioco “delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico”.
Più verosimilmente potrebbe rientrare nell’ipotesi del “verificarsi di eventi eccezionali”.
E qui – ad onor del vero – i problemi interpretativi si complicano un po’, perché, se è vero che (a parte quell’attimo di “pax Augusta”) la guerra ci ha fatto sempre compagnia, postarla tout court come “evento eccezionale” appare, a mio sommesso avviso, discutibile.
È molto più facile annoverare il covid fra gli “eventi eccezionali”, e cavarsela alla grande con la Corte dei Conti, che risolvere il problema della classificazione della guerra, ai fini contabili.
Comunque, è innegabile che – facendo prevalere, evidentemente, una buona dose di senso pratico – abbiamo superato il problema contabile della guerra, riducendola a mero argomento di polemica partitica.
In questo periodo pare che il covid si stia ripresentando: ma stavolta, non essendo più “evento eccezionale”, potremmo considerarlo “fase avversa del ciclo economico” ed accollarci legittimamente il debito necessario per farvi fronte, oppure no?
Purtroppo non possiamo lasciare ai posteri l’ardua sentenza, perché le esigenze della salute pubblica debbono essere soddisfatte “pronta cassa”, magari prima che si verifichi un’altra ecatombe.
A questo punto spero che sia legittima una riflessione, che vuole essere meramente giuridica, a proposito dell’indebitamento che, inevitabilmente, dobbiamo assumere per far fronte al fenomeno migratorio.
Sull’indebitamento risultante in bilancio, i numeri del 2023, fra salvataggi ed ospitalità, stando al ginepraio di cifre del Ministero degli Interni, inciderebbero per oltre cinque miliardi di euro.
E allora possiamo proclamarci rispettosi del dettato costituzionale se non è ben chiaro quale categoria contabile (fasi alterne del ciclo economico oppure eventi eccezionali) consentirebbe di porre in bilancio tale indebitamento?
Quando si tratta di verificare il rispetto della Costituzione la “chiarezza” deve essere l’unica guida.
Foto di apertura di Kevin Schneider da Pixabay