Oggi vogliamo parlarvi dell’artista polacco Wilhelm Kotarbiński, il cui nome prende una strada nel centro di Kyiv e che in Ucraina è chiamato “artista kyivano”. Il suo nome è strettamente associato a Kyiv, perché qui trascorse quasi 30 anni della sua vita, partecipò alla decorazione della famosa cattedrale di San Vladimiro e un gran numero delle sue opere si trovano nelle collezioni statali e private di Kyiv. Per fatti interessanti dalla biografia dell’artista, ci siamo rivolti a una persona che da molti anni fa le ricerche sulla sua vita e sul suo lavoro ed è in grado di distinguere a prima vista l’opera originale del maestro da un falso, il cui numero è in costante crescita. Iryna Medved
Wilhelm Kotarbińskii (1848-1921) fu un pittore di origini polacche, rappresentante del tardo accademismo, modernismo e simbolismo “da salotto”. La sua biografia collegava in modo fenomenale diverse capitali europee contemporaneamente: Varsavia, Roma e Kyiv. Inoltre, come spesso accade a cavallo delle epoche, l’opera dell’artista conobbe varie trasformazioni di stile: accademista nel periodo “romano”, a Kyiv è già pittore del modernismo e del simbolismo. Nacque in Polonia nella famiglia di un nobile povero e all’età di 20 anni vinse in Varsavia una borsa di studio dalla locale Società Zachęta del Patrocionio delle Belle Arti. Ci si aspettava che andasse a studiare pittura a Monaco di Baviera, ma scelse Roma e visse nella Città Eterna per 17 anni. Kotarbiński, come molti giovani artisti, arrivò a Roma povero e sconosciuto. Qui diventò libero frequentatore dell’Accademia di San Luca. Uno dei suoi primi indirizzi a Roma è Via Margutta, 5, tra la Piazza del Popolo e la Piazza di Spagna. Qui lo ospitò un altro giovane polacco, uno dei più grandi accademici polacchi, Henryk Siemiradzki, un ardente patriota e sostenitore della Polonia libera, nato nel territorio della moderna Ucraina.
A Roma, dopo i primi anni da fame, il nostro artista si stabilì in Via di S.Basilio accanto alla famosa Cripta dei Frati Cappuccini nella Chiesa di Santa Maria della Concezione dei Cappuccini, poi si trasferì in via di S. Nicola di Tolentino nei pressi di Piazza Barberini. L’allegra “colonia polacca” fece del Café Greco il suo quartier generale (lì si possono ancora trovare i ritratti di alcuni rappresentanti della diaspora pittorica polacca). Reporter e semplici viaggiatori polacchi consideravano loro dovere descrivere la vita dei “coloni” a Roma, i loro piccoli laboratori, pieni di dipinti da cima a fondo, in cui si potevano trovare tessuti, figure impagliate e un finto scudo, frutti o una coda di cavallo.
Dal punto di vista dell’autore di questa pubblicazione, questo era il periodo in cui la pittura dell’artista era al suo meglio. Il giovane Wilhelm fu influenzato dal famoso austriaco Hans Makart, noto per lo splendore e la luminosità dei colori, dallo spagnolo Mariano Fortuna, noto per il suo brillante approccio alla composizione, morto giovane a Roma, e dal già famoso connazionale Siemiradzki. Inoltre, si può dire che in un modo o nell’altro, ma le conoscenze e l’esperienza romane hanno accompagnato l’artista per tutta la sua vita e hanno dato alle sue opere la scintilla necessaria che un viaggiatore porta nei grigi giorni feriali da lontane città magiche. Kotarbiński portò da Roma anche le sue idee, composizioni e uno straordinario stile di colorazione dell’autore, che entusiasmò i contemporanei con la sua combinazione di sorprendente luminosità e intensità delle macchie di colore su uno sfondo di toni nuvolosi e terrosi.
Sfortunatamente, sono rimaste pochissime opere del periodo “romano” lungo diciassette anni di Kotarbiński, anche se sappiamo per certo che lavorò molto duramente. Alcune si salvarono perché la società Zachęta, che pagava il pensionato al giovane artista, obbligò tutti i suoi borsisti a portare le opere alle mostre a Varsavia. Alcuni grandi dipinti “romani” furono acquistati in quel periodo e si trovano solo nei musei. La sua opera più famosa di quegli anni, “Ecce Homo”, esposta tra i dipinti dei maggiori artisti europei in occasione dell’inaugurazione del Palazzo delle Esposizioni di Roma nel 1883, è stata identificata due anni tramite un’incisione in una pubblicazione polacca attribuita ad un altro artista. Purtroppo, dopo una vendita fatta in fretta ad un’asta romana qualche anno dopo l’esposizione trionfale, il suo destino rimase sconosciuto.
Sappiamo relativamente poco della vita di Kotarbiński a Roma, le ricerche su questo periodo devono ancora avvenire, e finora tutte le informazioni sono limitate alle memorie di uno degli amici dell’artista e a due articoli dell’autore di quei periodi, raccolti letteralmente briciola per briciola. Va detto che la biografia privata dell’artista è un vero e proprio giallo per il ricercatore. Si conoscono solo poche delle sue lettere di lavoro e nessuna di quelle personali. Le memorie dei contemporanei descrivono una persona esteriormente piacevole, di buon carattere e socievole, ma estremamente chiusa. Nel suo lavoro e nelle recensioni critiche delle mostre, vediamo la sua energia, amor proprio, intelligenza, desiderio di distinguersi e allontanarsi dagli schemi. Dal poco che si è riuscito a scoprire, si può dire che, nonostante la sua vulnerabilità e il particolare fervore polacco, era una persona piuttosto sensata nelle conoscenze e nella comunicazione. La sua cerchia personale di persone vicine era estremamente piccola e non includeva tutti i colleghi. L’influenza di tre donne è chiaramente visibile nella vita di Kotarbiński: sua madre, Leokadia Wejsflog, polacca con radici tedesche; la moglie, Katarzyna Kotarbińska, nata Korżeniewska e l’amica Emilia Prakhova (a quest’ultima vengono costantemente attribuiti sentimenti romantici, ma più probabilmente si trattava di una buona e sincera amicizia tra due persone) . Ancora qualche amico e basta.
Con due di questi amici intimi, i fratelli Svedomski Aleksandr e Pavel, entrambi pittori, Wilhelm fu invitato a Kyiv. Ciò accadde dopo che nel 1886 a Roma arrivò il professore di antichità Adrian Prahov incaricato di supervisionare il dipinto della grande cattedrale di San Vladimiro a Kyiv.
Invitò i tre artisti a partecipare a questi lavori, e a prima vista ciò è stato sconcertante. Il fatto è che era bizzarro vedere gli accademisti e gli artisti “da salotto”, “decorativi”, in una chiesa conservativa di rito ortodosso. Ma questo è solo a prima vista. Il XIX secolo portò un confronto globale tra il “vecchio” e il “nuovo” capitale. Mentre la nuova borghesia conquistava il mondo con la macchina a vapore, il vecchio capitale aristocratico cercava di aggiornarsi. Così è nata una tale vasta narrativa del classicismo come lo storicismo, che ha regalato all’Europa molte belle storie. Lo zarismo russo, al picco della sua auto-presentazione, avanzò un progetto infrastrutturale chiamato stile neobizantino. In particolare, con i soldi dello Stato è stata avviata la grandiosa costruzione di enormi edifici ecclesiastici a Mosca, Varsavia e Kyiv.
Kyiv ha svolto un ruolo speciale qui poiché ha aperto opportunità per la legittimazione delle pretese dell’impero alla successione storica dall’antico stato della “Rus”, poiché era Kyiv la sua capitale spirituale, storica e culturale. I primi ambasciatori e artigiani della Seconda Roma – Bisanzio – giunsero qui nel IV secolo, ed era necessario mostrare il legame tra i tempi e la nascita di una nuova civiltà.
La nuova cattedrale, concepita nel XIX secolo come parte della grande costruzione infrastrutturale dell’impero, era, dunque, l’incarnazione di queste rivendicazioni politiche, nonché delle rivendicazioni allo status di principali eredi del grande principe di Kyiv Vladimiro I, il battezzatore di Rus. E i pittori “romani” invitati (simbolici “artigiani romani”) avrebbero dovuto portare nella decorazione pittorica la nota necessaria dell’infrastruttura imperiale e dello spirito dell’antichità. Come vediamo, queste pretese di successione storica sono ancora accompagnate dalla richiesta di annegare nel sangue la “Madre delle città russe” [come i russi amano chiamare Kyiv]. Naturalmente, per la Cattedrale di San Vladimiro oggi, come per tutti i monumenti dell’architettura di Kyiv, rimane il rischio enorme di essere distrutta dai bombardamenti dei “pretendenti all’eredità”.
Com’era Kyiv che vidi il nostro viaggiatore polacco allora, nel 1886? Kyiv era una città del tutto atipica che sembrava la vera capitale di uno stato europeo, sebbene non lo fosse legalmente. Sembrava presentabile e prospero. L’energia del nuovo tempo ha portato brillantezza e innovazione, un rinnovamento radicale del paesaggio urbano. Kyiv pubblicava i propri giornali, anche in ucraino e polacco, venivano eretti interi quartieri con magnifici esempi di architettura, le antiche chiese venivano restaurate.
Vorrei menzionare che prima di iniziare i lavori nella Cattedrale di San Vladimiro, il professor Adrian Prakhov supervisionava il restauro dei mosaici e degli affreschi nelle antiche cattedrali di Kyiv. I pittori-restauratori si recavano a Ravenna e Venezia per vedere i mosaici originali degli antichi autori bizantini. Questi lavori gli sbalordivano. La loro citazione e ripensamento di queste opere a Kyiv si rivelò altrettanto notevole.
Creando lo spazio interno della nuova cattedrale, non era necessario solo osservare i dogmi classici. I pittori dovevano affrontare una sfida quasi biblica: versare il vino nuovo in otri vecchi senza rovinarli entrambi.
Nella Cattedrale di San Vladimiro Wilhelm Kotarbiński realizzò circa il 40% dei dipinti. Fondamentalmente si tratta di dipinti laterali che aggiungono una sorta di infrastruttura classica al quadro generale. Come se in un tessuto, dove la trama viene realizzata dalla censura della Chiesa e l’ordito dallo stile neobizantino e dall’eclettismo, fosse necessario aggiungere un filo trasversale di pittoresca architettura accademica, senza la quale l’idea non può essere assemblata. Come risultato del decennale lavoro, la Cattedrale di San Vladimiro è una delle perle e dei biglietti da visita della nostra città, che ancora oggi stupisce e attira gli ospiti di Kyiv. Lo status religioso e artistico della Cattedrale è molto elevato e la sua iconografia viene successivamente utilizzata in altre chiese dell’Ucraina. Oltre agli affreschi nella Cattedrale di San Vladimiro e in alcune altre chiese ucraine, Kotarbiński dipinse i palazzi dove ora si trovano il Museo Nazionale Taras Shevchenko e il Museo Nazionale d’arte Bohdan e Varvara Khanenko. Mentre lavorava agli affreschi si verificò un evento personale importante nella vita di Wilhelm. Sposò l’amore della sua vita, Katarzyna, e non tornò mai più a Roma, stabilendosi nella tenuta di sua moglie a Kalsk (nella moderna Polonia). La storia d’amore dell’artista ricorda la storia dei cigni. Katarzyna aveva sei anni più di Wilhelm, erano cugini di terzo grado. Non gli fu permesso di sposarla in gioventù a causa della sua stretta relazione dal punto di vista del cattolicesimo, e partì per Roma, e lei divenne la moglie di un altro. Si incontrarono di nuovo molti anni dopo, quando Kotarbiński divenne un artista famoso e Katarzyna una ricca vedova. A volte mi sembra che Wilhelm Kotarbiński abbia lasciato Roma proprio a causa di sua moglie, e non per lavorare nella cattedrale. Si sposarono nel 1889, quando lui aveva 41 anni e lei 47, e vissero fino al 1913 circa. Secondo i documenti d’archivio, la tenuta di Kalsk è passata in mano a un altro proprietario, apparentemente al figlio di Katarzyna. Questo significa che molto probabilmente era deceduta.
Siamo però ancora alla fine dell’Ottocento, e questo è un periodo felice per il nostro artista. È ricco, molto ricercato/richiesto. Ha lo status di una star. Dipinge le case dei padri della città, prende una parte attiva nell’organizzazione della vita artistica di Kyiv, nell’apertura del Museo Civico di Antichità e Arti nel 1899. Da emerita personalità può riposare sugli allori pur rimanendo un artista da decorazione dei saloni, per non parlare dei guadagni, ma è proprio adesso che il lavoro di Kotarbińskii sta subendo una sorprendente trasformazione. Inaspettatamente “ve ne va/passa” dalla pittura alla grafica, inizia i suoi esperimenti nell’arte moderna e alla fine si afferma come autore di tele simboliche.
Nel suo periodo “kyivano”, Kotarbiński arriva coraggiosamente al limite della rappresentazione della realtà. La sua arte sembra cercare di evitare la paura della morte introducendo alcuni simboli-conduttori tra i mondi. Nei suoi dipinti appare l’emozione della primavera o dell’autunno, la rappresentazione dell’idea che sia plastica e movimento, e non solo una forma accademica, che possono trasmettere nuovi significati dell’immagine. Anche l’apparente incompletezza e approssimazione delle opere, caratteristica di questo autore, appare molto confortevole nella nuova maniera di dipingere, soprattutto nella grafica.
Immagini stratificate, sottili e velate su trame simboliche e drammatiche conquistano il pubblico. Queste opere sono molto simili nella tematica ai preraffaelliti inglesi o agli artisti del “Circolo Romano”. O ai malinconici e sentimentali tedeschi che vennero nella calda e coloristica/pittoresca Roma e trasferirono le loro fantasie gotiche e il romanticismo dei filosofi tedeschi in un ambiente antico e in una forma accademica classica.
Queste storie eccitano le menti ancora oggi. Nel 1905 i dipinti di Kotarbiński furono stampati in centinaia di tirature sotto forma di cartoline a portata anche delle persone più povere. Ora i filocartisti raccolgono collezioni di cartoline con i dipinti dell’artista. Su queste cartoline muoiono costantemente belle ragazze, volano nell’aria anime ultraterrene, si affliggono amanti infelici. I contemporanei del maestro a volte erano curiosamente pratici e lasciavano gli auguri di buon compleanno sul retro della foto di qualcuno che veniva strangolato. Ma ai nostri tempi, gli aggettivi “mistico” e “misterioso” sono saldamente attaccati all’artista su Internet. Anche le trame delle cartoline hanno trovato le loro nuove storie (lontane dall’originale della mitologia o della poesia del XIX secolo).
Non resta che raccogliere lo spirito e scrivere l’ultima pagina della vita di Wilhelm Kotarbińskii. La più triste. Il suo lungo viaggio terminò a Kyiv nel 1921. Un artista anziano e malato fu lasciato solo in un albergo semivuoto di Kyiv occupato da soldati rivoluzionari [questa volta dopo la rivoluzione del 1917]. Katarzyna era ormai morta e la sua tenuta fu espropriata dalle autorità sovietiche, tutti i dipinti dell’artista gli furono tolti e portati via. Kotarbiński trascorse l’ultimo anno della sua vita nell’appartamento dei suoi amici di Kyiv: la vedova del professor Prakhov, Emilia, e dei suoi figli.
Il figlio di Emilia Prakhova scrisse nelle sue memorie che sembrava che la morte apparisse la mattina a Kotarbiński e giocasse con lui a scacchi (l’artista era un appassionato giocatore di scacchi). L’ultimo giorno il maestro disse che la morte aveva vinto e dunque accadrà oggi. E così fu.
L’artista, che nel periodo sovietico fu dimenticato in quanto borghese e non necessario alla “nuova arte”, ora è nuovamente amato e richiesto. Lo cercano, lo comprano e lo falsificano. Pertanto qualsiasi nuovo materiale non farà altro che aumentare la gloriosa storia di quest’uomo straordinario, che ha unito città europee così lontane con la sua biografia.
Foto di apertura: Tiro con l’arco. Acquarello, carta. 49x202cm. 1895. Galleria d’arte nazionale di Kiev // Wiki, dominio pubblico