Ecco alcuni punti interessanti della Dichiarazione finale del Vertice della Nato a Washington, che celebrava nell’occasione anche il settantacinquesimo anno di vita: la riconferma della politica delle porte aperte (ogni paese europeo ha il diritto di chiedere l’adesione all’Alleanza, come statuito dall’articolo 10 del Trattato istitutivo); il riconoscimento della sfida agli interessi, alla sicurezza e ai valori dei membri dell’Alleanza da parte della Cina; la conferma del valore di una più forte difesa europea, a condizione che eviti “innecessarie duplicazioni”; la ribadita proiezione dell’Alleanza verso l’indo-Pacifico, sede di interessi per l’area euro-atlantica; la proposta per la nomina di un rappresentante speciale per il “vicinato” meridionale, che coordinerà gli “sforzi” dell’Alleanza verso il Mediterraneo e l’Africa.

Fuor dal paludato linguaggio tipico di dichiarazioni del genere, tutto questo significa: la comunità euro-atlantica si mette in posizione di confronto con la Cina, il perseguimento dei cui interessi rappresenta una minaccia per i nostri (cioè, ognuno persegue i propri interessi, ma anziché accordarsi, bisogna disconoscere quelli altrui e preconizzare un conflitto); che la difesa europea va bene, purché non si creino duplicazioni con la Nato (vale a dire che non crescerà mai, almeno in seno all’Alleanza, perché anche un solo fucile in comune fra paesi europei sarebbe una duplicazione); che la Nato, molto attenta ora, come da sempre, al fronte Est, considera il fronte Sud, pur avendone in altre parti della Dichiarazione evidenziato i pericoli, un mero “vicinato”, meritevole di un semplice coordinatore dei relativi “sforzi”; che oltre all’Ucraina potranno essere ipoteticamente invitati, in futuro, paesi come la Georgia e la Moldova, e – perché no, magari in prospettiva, dopo un possibile cambio di regime alla scomparsa di Lukashenko – anche la Bielorussia.

Si conferma quindi una Nato a sempre più evidente trazione americana e al servizio degli interessi del maggiore alleato; un alleanza dove le posizioni europee e mediterranee non avranno effettivo spazio rispetto alla proiezione verso l’Indo-Pacifico, area nella quale gli interessi “euro” vengono per decreto accomunati a quelli “atlantici”, e dove il ribadimento della politica delle porte aperte, giusto o sbagliato che sia, continua a esercitare una pesante pressione geostrategica sulla Russia, a ulteriore detrimento delle speranze di stabilità in Europa.

 

Per quanto riguarda in particolare l’Ucraina, la Dichiarazione afferma che la Nato continua a sostenerne l’”irreversibile” percorso verso l’integrazione euro-atlantica e l’adesione all’Alleanza; quest’ultima, continua la Dichiarazione, “sarà in condizioni di estendere un invito all’Ucraina per l’adesione all’Alleanza quando gli Alleati concorderanno e le condizioni saranno soddisfatte”. La Dichiarazione invita quindi la Russia a ritirarsi immediatamente dai territori occupati, la cui annessione non sarà mai riconosciuta. Con Mosca, tuttavia, la Nato manterrà canali di comunicazione atti a mitigare i rischi ed evitare l’escalation del conflitto. Ulteriori aiuti sono stati comunque accordati a Kiev, al fine di sostenerne la difesa.

Il combinato congiunto di queste ultime affermazioni sembra di fatto preconizzare che l’adesione dell’Ucraina alla Nato, per quanto irreversibile, avverrà quando gli Alleati lo vorranno all’unanimità, cioè non si sa quando o potenzialmente mai, e quando le condizioni (pace, stabilizzazione, adesione alle modalità di governo euro-atlantiche) siano soddisfatte; il che potrebbe indurre la Russia a non por mai termine alla guerra, per evitare che la nato accolga l’Ucraina. Il rituale, e irrealistico, invito alla Russia ad abbandonare i territori conquistati, viene accompagnato dall’assicurazione che i canali di comunicazione con Mosca sono mantenuti (del resto, i ministri della Difesa americano e russo si sono sentiti all’indomani del Vertice). Gli ulteriori aiuti a Kiev non sembrano in grado di invertire i destini della guerra; al massimo potranno contribuire a mantenere l’attuale sanguinoso stallo.

I testi delle dichiarazioni conclusive di un vertice sono sempre frutto di complesse e non sempre decifrabili trattative sui contenuti e sul linguaggio. Il concetto di irreversibilità dell’adesione ucraina all’Alleanza, per esempio, è certo frutto di compromesso fra chi avrebbe voluto di più, per esempio fissare una per quanto indefinita, ma riconoscibile, scadenza (molto probabilmente i baltici e forse gli scandinavi, oltre che la stessa Ucraina, che ha partecipato ai lavori). Che sia frutto di volontà condivisa e consapevole, oppure frutto dei risultati negoziali, la Dichiarazione sembra dire più o meno questo: l’Alleanza non si smuove dalle proprie posizioni (porte aperte e ritiro russo da tutti i territori, Crimea compresa); tuttavia, sull’Ucraina non è stata presa alcuna decisione definitiva, se non in senso indeterminato, e i canali di comunicazione con la Russia restano aperti. Uno scenario a partire dal quale, e nel bene o nel male, diverse cose possono accadere: la continuazione sine die della guerra, l’avvio di una nuova guerra fredda con la Russia e con la Cina, l’auspicabile (al di là dei toni verbali) apertura di negoziati per un cessate il fuoco.

Ora come ora, comunque, pur sotto l’inquietante ombra della concordata installazione in Germania, Francia, Polonia e Italia di missili a lunga gittata capaci di trasportare testate nucleari, in risposta peraltro ad analoghe misure adottate dalla Russia, nulla di nuovo vi sarà sul fronte orientale, almeno da qui alle elezioni americane di novembre; benché il perdurare del sonno della ragione perpetui il rischio di generare mostri.