«Sapere o ignorare sono forme simmetriche di salvezza». Questa affermazione è punto di partenza del libro di Lorenzo Tosa Vorrei chiederti di quel giorno. In libreria da gennaio, narra il doloroso percorso dell’autore alla ricerca della verità sulla figura di suo padre Bruno. Una mattina di primavera di quasi 40 anni fa, Bruno Tosa aveva accompagnato all’asilo Lorenzo e suo fratello, di poco più grande. Nel pomeriggio dello stesso giorno Bruno morì suicida gettandosi da un ponte di Genova, la loro città.

A maggio è uscito Quando muori resta a me, di Zerocalcare. Altro percorso alla ricerca della verità sul padre, premesse certo meno tragiche ma sempre motivate da un bisogno di salvezza. Con il personalissimo linguaggio della graphic novel dell’autore, in gran parte attraverso un viaggio nel paese delle Dolomiti di origine del padre. E paradossalmente in compagnia del padre stesso.

Il tema della ricerca del padre è antichissimo, oggetto di miti classici, presente nelle Sacre Scritture e nelle letterature di ogni tempo. Ma vorrei riferirmi in primo luogo a due autori non lontanissimi, per poi aggiungere qualcosa sui recenti libri sopra menzionati.

 

Federico Fellini

In una famosa intervista al fondatore di Repubblica, Federico Fellini indicò i due suoi film che più lo convincevano: La dolce vita e Otto e mezzo. Girati attorno ai quarant’anni di età del grande regista, con una forte componente autobiografica. L’attore protagonista in entrambi i casi è Marcello Mastroianni, e in questi giorni ricorrono i 100 anni dalla nascita. Si chiama ancora Marcello nel primo film, un reporter di vita mondana; nel secondo film si chiama Guido, un regista in crisi. Uno stesso attore nei due film anche per il padre del protagonista: Annibale Ninchi, attore bolognese di teatro. Il padre è presente in scene di grande intensità.

Fellini sul set de La dolce vita, Wikimedia Commons

Le ricordo brevemente. Nel frastuono della via Veneto de La dolce vita un collega avverte una sera Marcello: “è arrivato tuo padre”. Sembra una grande notizia per Marcello, che si mette subito a cercarlo. Lo trova amabilmente seduto al tavolino di un bar, è naturale presentargli meglio il collega. La situazione è simpatica, si parla del più e del meno, il padre esprime il desiderio di terminare la serata in un locale più vivace, di quelli che a Roma vale la pena di visitare. Si va quindi in un locale notturno, poi a casa di una bella signora, ma qui il padre ha un malore. Al mattino, sentendosi meglio, il padre vuole assolutamente ripartire. Non accetta l’offerta di Marcello di fermarsi, per essere sicuro di star bene, ma anche per cogliere l’occasione di parlare, di stare un po’ insieme. Ma il padre vuole andare subito alla stazione, prende da solo un taxi per non perdere il primo treno del mattino.

Il padre in Otto e mezzo appartiene alla dimensione onirica. Guido è andato a trovarlo al cimitero, nel sogno il padre esce dalla tomba e dice poche parole: “Il soffitto qui è troppo basso, lo volevo più alto, è brutto. Puoi pensarci tu, Guido? … eri così bravo a disegnare”. Appare un altro visitatore … “Il Commendatore, ma come, si è disturbato!” Poi, rivolgendosi al commendatore: “Come va, come va questo figliolo?”. E al silenzio del commendatore aggiunge: “Non va!”. Guido vorrebbe stare con il padre, parlare, ha molte domande, ma non si può, non c’è tempo. E poi c’è la madre, che ha tanto sofferto …

 

Walter Veltroni

Il titolo Ciao di un libro pubblicato da Walter Veltroni nel 2015 si riferisce alla prima parola pronunciata dal padre in un incontro immaginato. Walter Veltroni perse il padre nel 1956, quando aveva appena compiuto un anno. Vittorio Veltroni, scomparso a 37 anni di età, era un noto giornalista e cronista. Entrato in RAI nel 1937, il suo nome è legato a significativi eventi dell’epoca. Per menzionarne solo alcuni, la visita di Papa Pio XII al Quirinale nel 1939, la vittoria di Bartali al Tour de France nel 1948, i funerali della squadra del Grande Torino nel 1949. Poi la tragedia del Polesine nel 1951, la scoperta di Mike Bongiorno, i primi anni della televisione a partire dal 1954, la direzione del primo Telegiornale.

Walter immagina dunque di trovare un giorno il padre Vittorio sul pianerottolo di casa. Dopo il saluto che dà il titolo il libro, il padre entra in casa e si inizia a parlare di alcuni dei momenti più significativi della sua vita. A partire da quelli di lavoro, e di essi sono conservati in casa di Walter documenti, fotografie, testimonianze illustri. Poi quelli più personali, come l’incontro con la moglie Ivanka, madre di Walter e di suo fratello Valerio. Poi il racconto della malattia, che porterà Vittorio alla prematura morte.

In più punti dell’immaginario colloquio, Walter evidenzia come vari aspetti del proprio temperamento siano riconducibili al padre. La ricerca del buono delle persone, il fastidio per tutto ciò che è urlato, la voglia di stare in squadra, di scherzare, di prendere in giro, …

 

Lorenzo Tosa

Giornalista, scrittore, blogger tra i più seguiti. Più di 600.000 followers su Facebook, e sono tra questi: quotidianamente leggo i suoi sintetici commenti su politica e attualità.

Classe 1983, Lorenzo Tosa attorno ai suoi quarant’anni decide di ricercare il senso della vita del padre Bruno, conclusa drammaticamente a 33 anni di età. Sono molte le persone che potrebbero raccontargli qualcosa, alcune non facili da raggiungere. Ma Lorenzo non vuole tralasciare alcuna possibilità. Sottotitolo di Vorrei chiederti di quel giorno è Vita e morte di un ragazzo che era mio padre.

Bruno Tosa studiò al liceo artistico, poi architettura, contribuendo a Genova a fondarne il collettivo. Negli anni ‘70 fu militante di Lotta continua, con grande coinvolgimento. Specchiandosi nelle notizie raccolte sul padre, Lorenzo scopre che alcuni suoi tratti peculiari sembrano essere passati a lui. Dal non tornare indietro una volta scavalcata una linea, alla capacità di avere in modo naturale amiche donne. Gli ultimi anni di vita di Bruno furono assai tormentati, sembrava aver bisogno di sostegni che non riusciva a trovare.

Poi la macchinina blu. Il modellino di Fiat Uno che Bruno Tosa aveva regalato ai suoi due figli il giorno prima di morire. Il nonno Teresio aveva voluto assicurarla alla lapide di Bruno con qualche giro di scotch, nel cimitero della famiglia in Piemonte. Era un modo per far sapere a Bruno che i suoi figli continuavano a pensare a lui. Periodicamente nonno Teresio cambiava lo scotch. Poi la salma di Bruno fu trasferita in un’altra tomba, più grande. Il nonno Teresio non fece in tempo a trasferirvi anche la macchinina blu. Sarà Lorenzo a portarvene un’altra. Augurandosi che qualche bambino – magari di cinque anni come il suo piccolo Ludovico – possa staccarla di nascosto dai suoi genitori. Per giocarci, e continuare a farla vivere.

 

Zerocalcare

Attivista, intellettuale, fumettista geniale e di fama internazionale, anche Zerocalcare è classe 1983, e arrivato ai quarant’anni scrive sul padre. Quando muori resta a me narra di un lungo e sofferto percorso. Per capire, chiarire dubbi, elaborare inquietudini. Guardando indietro non solo alla sua vita, ma anche a quelle del padre e dei suoi predecessori.

Chi conosce l’opera di Zerocalcare sa che il padre è Genitore 2. Nei precedenti libri la sua presenza è occasionale. Non paragonabile a quella della madre, Genitore 1, che tende a sovrapporsi al famoso armadillo, coscienza ufficiale di Zero. Il padre è tutt’altra cosa, un personaggio simpatico, con un’individualità ben distinta, ma apparentemente meno influente della madre.

Zerocalcare, Wikimedia Commons

Ma chi è il padre? È vero quanto il padre raccontò a Zero bambino, una sera nel tornare a casa grondante di pioggia? Se è vero, il padre è un eroe. Narrò infatti che tornava così conciato perché aveva combattuto contro il terribile mostro Merman, arrivato vicino a Rebibbia.

Ma dopo tanti anni è il caso di capire meglio. Il padre parla poco, non esprime emozioni, ha un modo di fare scanzonato. Zero parte per un viaggio insieme al padre. Destinazione Merin, il piccolo paese delle Dolomiti dove ha origini la sua famiglia. Nel libro vi sono varie pagine di intervallo, dedicate alle vicende antiche del paese, e disegnate con stile diverso.

A Merin, Zero ha conferma che nella famiglia del padre agli uomini non è concesso di verbalizzare emozioni, e ai figli certe cose non si dicono. Cresce il lui la determinazione di sapere, ma non riesce a scalfire il silenzio del padre. Apprende però la verità su una vicenda della vita del padre, e questa verità ne fortifica parecchio l’immagine. Con uno stratagemma riesce inoltre a sapere che 35 anni prima, la famosa sera del mostro Merman era stata la sera in cui i genitori decisero di separarsi. Il padre uscì di casa per prendere aria, possibilmente forza, ma prese essenzialmente molta pioggia. Per lui il grande mostro da affrontare, e che alla fine avrebbe sconfitto, non era il terribile Merman, ma la paura di non riuscire, nella separazione, ad avere un suo rapporto con Zero.

Nel viaggio di ritorno a Roma, il padre riprende la sua usuale scanzonata modalità di relazione con il figlio. Ma forse per Zero ora è tutto un po’ diverso.

 

Il gesto di Ettore

Personalmente ho perso il padre quando ero ragazzino. Non sono molte le giornate, ormai a 60 anni dalla sua morte, in cui il mio pensiero non vada almeno per un momento a lui.

Qualche tempo fa ho avuto la fortuna di partecipare ad un incontro di due giorni su Il padre ritrovato. Uno dei seminari organizzati a Todi dalla Onlus Mi fido di te e dall’USLUmbria1, a cui partecipo regolarmente da vari anni. I partecipanti vengono distribuiti in piccoli gruppi, adatti ad approfondimenti anche personali. Nel gruppo cui sono stato assegnato al seminario su Il padre ritrovato, vi fu una sorta di conclusione: il padre non basta mai.

Dello stesso seminario ricordo anche la bella relazione Il gesto di Ettore, di Chiara De Santis, filosofa e collaboratrice nei seminari di Todi. Al gesto di Ettore è dedicata l’immagine di copertina di queste mie righe. Narrato nell’Iliade, si tratta del momento in cui il generoso eroe troiano, prima di tornare in guerra, saluta il figlio bambino.

Ettore sta lasciando la sua famiglia per tornare a combattere. Si toglie l’elmo, lo poggia sul terreno. Prende dalle braccia della sposa Andromaca il piccolo Astianatte, lo bacia e lo alza verso il cielo. Rivolgendo la sua preghiera a Zeus e a tutti gli Dei: che suo figlio possa diventare migliore di lui. Che un giorno, parlando di Astianatte, si dica: “Non fu sì forte il padre”. E aggiunge, restituendo il piccolo ad Andromaca: “e il cor materno nell’udirlo esulti”.

Walter Veltroni racconta, in un capitolo del suo libro Ciao, come da bambino amava sfogliare un’enciclopedia per ragazzi. Si soffermava sulle pagine dedicate alla guerra di Troia, e (come molti) decise di stare dalla parte dei Troiani, anzi con Ettore, l’eroe alla fine sconfitto.

Lo psicanalista Luigi Zoja ha approfondito il valore del gesto di Ettore attraverso i secoli, dedicandovi un libro, ormai tradotto in una dozzina di lingue. La folgorante conclusione, che Veltroni scrive di condividere, è che “Ettore è l’immagine del padre che vorremmo avere”.

 

Immagine di copertina: Ettore saluta Andromaca e Astianatte, di Francesco Hayez, Wikimedia Commons.