Khiva è considerata la porta d’ingresso dell’Uzbekistan occidentale, tappa fondamentale sulla Via della Seta strategicamente posizionata lungo le rotte commerciali ed è oggi uno dei patrimoni archeologici e storici più grandiosi dell’Asia Centrale. Ha visto la sua prosperità crescere grazie al commercio di merci e di schiavi, ma non si può parlare di Khiva senza cercare di capire un po’ della sua storia, che riconduce al leggendario stato di Khorezm. L’origine leggendaria della città fa risalire la sua costruzione all’epoca del figlio maggiore di Noè, Sem, che diede l’ordine di scavare il pozzo Hewvakh (visibile ancora nella città vecchia) intorno al quale sarebbe cresciuta la città.

Nel X secolo Khiva è descritta come un importante centro commerciale sulla Via della Seta, tutte le carovane in transito vi sostavano e vi era un costante afflusso di uomini, animali e merci. Nei suoi caravanserragli sostavano i cavalieri provenienti dalle steppe e i mercanti che attraversavano i deserti, accomunati dall’attività del commercio di schiavi e di ogni genere di oggetti.  Lo stato di Khorezm in quel tempo era la sede di tutte le tribù nomadi uzbeke e Khiva nel 1598 divenne ancor più importante assumendo il ruolo di capitale del Khanato, dopo che precedente capitale, Urgench, era stata distrutta da un’ inondazione del fiume Amu Darya. Leggendo le descrizioni dei viaggiatori del passato vediamo Khiva descritta come una città rigogliosa, con giardini e alberi ovunque nel periodo del massimo splendore del Khanato intorno alla metà del 1600. Un sogno per chi arrivava da uno spietato deserto, ma nella metà del 1800 viene raccontata come una città in decadenza, nota solo e soprattutto per essere il secondo mercato degli schiavi dell’ Asia Centrale dopo Bukhara. La sua indipendenza venne piegata dalle truppe dello zar nel 1873, quando Il territorio fu annesso alla Russia, ma l’ultimo Khan regnante fu liquidato solo nel 1919 e Khiva divenne la capitale della nuova Repubblica popolare sovietica di Khorezm. Dal 1924 questi territori divennero una parte del moderno Uzbekistan ma la città di Khiva fu in gran parte abbandonata dopo la presa di potere dei Bolscevichi, che preferivano soluzioni abitative in calcestruzzo, più consone al futuro socialista, e molte delle caratteristiche costruzioni di argilla andarono in rovina, finché alla fine degli anni sessanta si iniziò ad attuare un piano di restauro intensivo e si cominciò a riproporla come Città Museo. In realtà gli edifici della città che vediamo oggi non sono antichi come appaiono. La maggior parte di essi risale al 1800, addirittura il minareto Islam Khodia, decorato da cinture orizzontali di mosaico smaltato blu scuro, bianco e verde, con i suoi 57 metri il più alto di tutto l’ Uzbekistan, è stato ultimato addirittura nel 1910.  Ma gli edifici in argillae terra essiccate, che conferiscono a tutta la città l’inconfondibile colore marrone chiaro, fragili e bisognosi di frequenti manutenzioni, sono stati conservati e ricostruiti nel tempo riprendendo le forme originarie, e il segreto degli architetti è stato quello di mantenere lo stesso stile nei secoli, senza introdurre elementi di novità mutuati da stili o culture stranieri o più moderni.

Khiva è racchiusa in una forma rettangolare da mura in mattoni lunghe oltre 2.200 metri, con il camminamento merlato sulla parte superiore che anticamente era percorribile anche a cavallo.  Nelle sue mura si aprono quatto porte (darvaza = porta), una per lato : Ata-darvaza a ovest, Palvan-darvaza ad est in direzione del fiume Amu-Daria, Tash-darvaza a sud verso il deserto Kara-Kum, Bahcha-darvaza a nord, sulla strada per Urghenk.  Passeggiando per le strade perfettamente lastricate in pietra di Itchan Kala (la fortezza interna) sembra di camminare in un altro tempo, i suoi minareti meravigliano, i colori suggestivi delle piastrelle vetrificate stupiscono per la varietà di colori e motivi. All’interno della città è un susseguirsi senza soluzione di continuità oltre 300 monumenti storici tra abitazioni, moschee, madrase, mausolei e minareti. Di giorno non ci si può sottrarre al fascino della città e delle sue accuratissime decorazioni eseguite secoli fa, di notte ci si lascia sorprendere dall’ atmosfera unica creata dalle sapienti illuminazioni che trasportano in un tempo lontano.

 

Si dice che un tempo a Khiva ci fossero più di 100 moschee, a conferma dell’importanza religiosa che questa città aveva in passato. Ma la Moschea Juma ovvero del venerdì (jameh) è un edificio religioso particolare, e non ha analoghi in tutta l’Asia centrale. Originaria del X secolo, (ultima ricostruzione datata 1788) ) ha una struttura architettonica tipicamente arcaica con un soffitto piatto su 218 colonne in legno intarsiate con il motivo floreale tipico di Khiva e livellate dalle basi di pietra (ne rimangono in realtà solo una dozzina originali, nei secoli quelle ammalorate sono state sostituite con copie perfette). Entrando si ha impressione di camminare in una foresta e l’ambiente creato per la preghiera è decisamente unico. Una curiosità: tra il piedistallo di pietra e la colonna di legno è stato inserito in tempi recenti un oggetto metallico e cilindrico, al cui interno si trova della lana di cammello utile per prevenire i danni dell’umidità, impedire alle termiti di raggiungere le colonne e per assorbire in parte le scosse di un eventuale terremoto.

Tra i Mausolei senza dubbio il più suggestivo è quello di Pahlavon Makhmud,  uno dei monumenti più antichi di Khiva, che risale al 1362 ed è dedicato a un celebre maestro sufi del tempo e profeta, elevato a Santo Patrono della città. La leggenda narra che abbia aiutato un sovrano e che gli sia stato chiesto cosa volesse in cambio. Lui chiese di far rilasciare i propri connazionali in carcere tanti quanti ne potesse contenere una pelle di mucca e accettata la sua richiesta, tagliò la pelle in strisce sottili per ottenere una cintura molto lunga e con questa astuzia ne salvò molti. L’interno del Mausoleo è interamente decorato con piastrelle a fasce bianche e azzurre, il soffitto e le volte sono ornati con motivi geometrici complessi che accrescono la sensazione intensa di trovarsi in un luogo sacro.

Il Palazzo Tosh-hovli (palazzo di pietra), con la magnifica loggia a sud sostenuta da un pilastro di legno intagliato, e un grande  harem che occupa tutta la parte nord del palazzo, fu laresidenza di Allakuli Khan (detto Allakuli il costruttore perché fece erigere anche una grande madrasa, un bazar e un caravanserraglio). È spettacolare. Il primo architetto perse letteralmente la testa per non aver rispettato i tempi di costruzione, mentre il successore la conservò (non avendo dichiarato la data di conclusione dei lavori) e terminò il palazzo dopo altri otto anni, nel 1841.  Comprende 270 camere su tre corti e per le stupende decorazioni con maioliche a motivi floreali sono stati utilizzati i migliori ceramisti dell’epoca.

La Madrasa di Muhamad-Amin-khan, costruita tra il 1851 e il 1854 sotto il regno di Mohammed Amin Khan, è considerata la più grande dell’Asia centrale, e poteva ospitare 260 studenti. Da quindici anni è stata trasformata in un suggestivo hotel (vi ho soggiornato come in una favola in una delle celle che ospitavano gli studenti della scuola coranica, con balcone sul cortile interno). È grandiosa, coronata da cinque cupole agli angoli e con l’esterno interamente decorato da maioliche colorate e mattoni smaltati,

Kalta Minor

Kalta Minor

Vicino alla madrasa si erge il famoso minareto Kalta Minor con un diametro alla base di 14,2 metri, splendidamente rivestito di ceramiche colorate, nel progetto doveva diventare la torre più visibile dell’Asia Centrale e raggiungere 80 metri di altezza, ma alla morte del committente Muhammad-Amin khan, nel 1855, la costruzione fu interrotta e la torre si fermò a 26 metri. Molte leggende ammantano l’incompiutezza della sua costruzione, la più famosa riguarda il khan di Bukhara che, quando seppe della costruzione del grande minareto, fece un accordo con l’architetto che gli promise di costruirgliene uno più grande a Bukhara. Il khan di Khiva lo scoprì e buttò l’architetto giù dal minareto. Al di là delle leggende la verità più probabile è che la sua edificazione si dovette interrompere per seri problemi strutturali, ma il suo fascino resta indiscusso e ammirando la superficie interamente ricoperta da piastrelle smaltate a fasce con motivi azzurri, verdi e rossi, con una decorazione unica in tutta l’Asia Centrale, si coglie la testimonianza di uno splendido periodo. Per quanto riguarda gli abitanti di questa unica al mondo città-museo, a parte il personale quasi invisibile della madrasa-hotel magnifica in cui ho soggiornato, che si presume abitino in una zona riservata della madrasa stessa, tutti gli altri sono i mercanti di stoffe, tappeti, sciarpe, cappelli e altri oggetti turistici disseminati per tutte le vie, con cui non si può far altro che mercanteggiare e che non si sono rivelati aperti a nessun’altra conversazione. Né si può capire dove in realtà alloggino.  La vita all’interno della città sembra oggi cristallizzata al tempo del suo splendore, senza che il passare dei secoli l’abbia trasformata. È comunque una magnifica finzione che ti coinvolge e ti trattiene fuori dal tempo per tutto il periodo della permanenza. L’UNESCO ha incuso Khiva nell’elenco del suo Patrimonio culturale dal 1990 e nel 2024 è stata insignita del titolo di Città del Turismo del mondo Islamico.