Il 3 febbraio del 1871 la proclamazione ufficiale Parlamento: «La città di Roma è la Capitale del Regno». Ma 150 anni dopo, Roma, Capitale lo è davvero? Parigi, Londra, Madrid, Berlino (solo per restare in Paesi a noi più vicini, non solo geograficamente) quelle sì, sono vere Capitali: città nelle quali la nazione – mediamente – si riconosce con orgoglio e rispetto; che lo Stato cura con attenzioni speciali non lesinando mezzi; città disciplinate da ordinamenti giuridici e amministrativi che ne facilitano le funzioni, ne fanno efficaci vetrine del Paese agli occhi del mondo.
Ma Roma, invece? Lo sappiamo, Roma, in quanto Capitale, non è mai entrata davvero nel cuore di tutti gli italiani. Per ragioni storiche, in primo luogo: difficile riconoscersi in una sola città -per quanto grande e gloriosa- per gli abitanti del Paese dei mille campanili. Difficile, nel corso di questi 150 anni, amare Roma per gli anticlericali risorgimentali che la identificavano con il Papa del “non possumus” e del “non expedit”. Difficile, per molti antifascisti nel dopoguerra, appassionarsi alle sorti di quella Roma che Mussolini aveva strumentalmente esaltato con la pretesa di farne il cuore di un improbabile, rinnovato impero fascista.
E poi, le antipatie diffuse per la città sede di una politica troppo spesso sentita come lontana, di una burocrazia avvertita come ostile, di traffici inconfessabili all’ombra delle istituzioni. Fino a quello slogan “Roma ladrona” risuonato perfino dentro il Parlamento (quasi come se fossero colpa di Roma e dei romani le malefatte di lestofanti che a Roma vengono da tutta Italia solo per compiere i loro magheggi).
Mettiamoci anche le responsabilità dei romani, non sempre capaci in questi 150 anni di accreditarsi come città-guida e di esprimere la migliore delle classi dirigenti… Sia come sia, è così che una Capitale “malamata” è rimasta una Capitale “dimezzata” e per molti versi una città snaturata. Gravata da funzioni specialissime che lo Stato le attribuì designandola Capitale, Roma non è stata mai dotata di strumenti sufficienti per fronteggiarle adeguatamente. Costretta a indebitarsi fin da subito per trasformare -senza peraltro riuscirci granché- in una realtà moderna e aperta al mondo una città che da secoli viveva sostanzialmente appartata, all’ombra del Vaticano.
Lo Stato intervenne sì, anche massicciamente, dal punto di vista finanziario nelle opere di ammodernamento, ma in maniera sempre insufficiente e in genere episodica, spesso poi sotto forma di prestiti al Campidoglio (debiti da restituire, quindi). Per non parlare della mancanza di comprensione e di rispetto del carattere dell’Urbe. Il Vittoriano, gigantesco, abbacinante, corpo estraneo imposto a forza nel cuore della città, oltre che alla memoria del Re Galantuomo, appare come il monumento di una cultura di prevaricazione nei confronti di Roma. Una cultura poi enfatizzata dal fascismo, all’insegna delle demolizioni radicali per la costruzione di una Roma palcoscenico dei successi del regime. In ben altro modo avrebbero potute essere risolte le effettive esigenze di ammodernamento, di decoro e di valorizzazione della Capitale d’Italia.
Uno Stato dunque arcigno ed estraneo nei confronti dell’Urbe. Che peraltro non ha cambiato granché atteggiamento con l’avvento della democrazia. Le statistiche odierne della finanza pubblica mostrano un trattamento spesso punitivo nei confronti di Roma, mentre quasi nulla si è mosso negli anni per quanto riguarda una legislazione particolare per la Capitale.
Questa esiste, non a caso, in tutti gli altri Paesi ed è logico: il ruolo che la città capitale deve svolgere non può non richiedere un rapporto speciale con le istituzioni dello Stato (al cui servizio si colloca la capitale) e quindi norme di funzionamento diverse da quelle – peraltro spesso inadeguate – che regolano qualunque altro comune. Timidi tentativi di riforma degli anni recenti sono rimasti impantanati: tutto si è limitato all’orpello -piuttosto risibile, diciamolo – dell’insegna “Roma Capitale” sulla carta intestata del Comune (che non si deve più chiamare così) e sulle auto dei vigili urbani.
È pensabile che la Capitale di uno stato che pretende di essere grande nel mondo possa funzionare adeguatamente in queste condizioni? Ma poi, non ci si rende conto che chi paga per una Capitale inadeguata al suo ruolo è il Paese intero, ancor più che i romani?
Se i servizi pubblici della Capitale funzionano male è un problema per chi ci abita, ma lo è anche per la macchina pubblica che nella Capitale opera; lo è per le aziende nazionali e multinazionali che nella Capitale non possono non avere la loro sede; lo è per i visitatori che vengono a Roma da tutto il mondo sperando di poter godere, in condizioni degne, delle ricchezze della città.
Ancora di più: se il decoro della Capitale è trascurato, non è solo l’immagine di Roma che ne soffre, ma quella dell’Italia intera, che in Roma più che in ogni altra città, si identifica agli occhi del mondo. Firenze? sì; Venezia? certo; Napoli, senza dubbio: ma come negare che all’estero è soprattutto il nome di Roma ad esprimere l’idea di Italia? Con buona pace di tanti anti-romani in circolazione.
E non è quindi un atteggiamento follemente autolesionistico quello che porta gli italiani a non valorizzare al massimo lo straordinario “brand Roma”? Una Roma Capitale che sia davvero, sotto tutti i profili, una metropoli internazionale, nella quale efficienza, qualità della vita, sviluppo sociale corrispondano alla ricchezza culturale, al prestigio ideale, alle bellezze naturali che le vengono riconosciute, può costituire per l’Italia un traino straordinario non solo in termini di sviluppo economico e turistico, ma anche di ruolo politico e di leadership morale.
È venuto il momento di ripensare a tutto questo. È il momento che lo Stato assuma le sue responsabilità nei confronti di Roma e che la città, dal canto suo, si impegni in una radicale trasformazione: morale e politica, oltre che amministrativa. Servono leggi adeguate per una efficace governance cittadina; servono dotazioni finanziarie per la gestione dei servizi degni di una grande Capitale; serve un forte risveglio di impegno civico da parte di una popolazione che tanti anni di degrado hanno portato troppo spesso alla assuefazione e alla indifferenza.
Dopo 150 anni, Roma potrebbe diventare finalmente una Capitale compiuta.