Oggi l’Unione Europea si trova in un momento storico cruciale, circondata da un protratto periodo di instabilità nel suo vicinato, con un vuoto di sicurezza che si estende dall’Ucraina alla Libia. Di conseguenza, come ha sottolineato l’ex Alto Rappresentante Federica Mogherini, “in questo mondo fragile il soft power non basta: dobbiamo rafforzare la nostra credibilità in materia di sicurezza e difesa”.

Dal rifiuto del Parlamento francese di ratificare la Comunità Europea di Difesa (CED) e del fallimento del “Piano Pleven” per l’integrazione della difesa negli anni ’50 sono stati fatti nuovi passi verso una difesa comune. Con l’istituzione della Comunità politica europea (EPC) nel 1970, gli Stati membri hanno iniziato a considerare il campo della sicurezza un’area di integrazione necessaria. Nonostante le autorità nazionali si mostrino ancora riluttanti a trasferire parte della loro sovranità al livello sovranazionale, un genuino progetto di difesa dell’Unione Europea sta lentamente acquisendo consistenza. Come affermato dal ex vicepresidente della Commissione Jyrki Katainen, “la difesa europea sta accadendo”.

La difesa dell’Unione Europea allo specchio

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Al giorno d’oggi, l’UE può mostrare una struttura di difesa embrionale composta da diversi organi e strumenti operativi. La Politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC), branca della Politica estera e di sicurezza comune (PESC), è il quadro principale per l’attuazione di iniziative in materia di sicurezza, dallo spiegamento di missioni di mantenimento della pace al coordinamento delle industrie della difesa nazionale. La struttura della PSDC è guidata dall’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la sicurezza (che svolge anche la funzione di vice-presidente della Commissione) e comprende il Servizio per l’azione esterna (SEAE), come la Capacità di pianificazione militare (MPCC) più alcuni Organi preparatori del Consiglio per gli Affari Esteri (FAC) come il Comitato militare (EUMC).

Nel contesto della PSDC, l’Agenzia per la difesa (EDA) è la principale piattaforma per l’integrazione delle capacità militari nazionali. L’agenzia prepara e attua piani di sviluppo per rafforzare la cooperazione europea in materia di armamenti, rafforzare la tecnologia di difesa e la base industriale (EDTIB) e promuovere un mercato europeo delle attrezzature per la difesa competitivo. Inoltre, nel dicembre 2017, l’Alto Rappresentante Mogherini ha inaugurato la cooperazione strutturata permanente (PESCO), un quadro per perseguire l’integrazione strutturale dell’industria europea della difesa. All’interno della PESCO sono stati adottati un totale di 34 progetti PESCO tra cui un Comando Medico Europeo, un Centro di Competenza per le Missioni di Addestramento, un Cyber ​​Rapid Response Team e un Veicolo Corazzato da Combattimento.

Accanto all’integrazione dell’industria della difesa, la PSDC sviluppa sempre più una propria procedura di gestione delle crisi. Attualmente l’Unione Europea sta effettuando 6 operazioni militari e 10 missioni civili per un totale di 5000 persone schierate. Ad esempio, l’EUCAP Sahel Mali ha addestrato 13.000 soldati locali, la missione navale EUNAVFOR “ATALANTA” contribuisce a ridurre significativamente la pirateria nel Corno d’Africa mentre la Missione navale IRINI è impegnata a contrastare il traffico di armi e di esseri umani nel mediterraneo.

I recenti sviluppi della PSDC

Negli ultimi mesi si sono verificate importanti novità nell’ambito della difesa europea, che denota il raggiungimento di un nuovo stadio di cooperazione ma soprattutto un dimostrato interesse degli stati membri per ulteriori sviluppi.

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Nell’ambito della PSDC, è stato recentemente presentato il Fondo europeo per la difesa. Questo consiste in un budget di 13 miliardi di euro per il periodo 2021-2027, con l’obiettivo di sostenere la cooperazione di progetti comuni (di almeno tre membri) quali il cosiddetto “eurodrone” (MALE RPAS) o il sistema spaziale TWISTER per l’intercettazione di missili ipersonici, programmi ai quali prende parte l’Italiana Leonardo spa. Interessante è anche il progetto per agevolare la mobilità militare sulle strade d’Europa, in modo da spostare più velocemente i mezzi dove necessario ed al quale partecipano anche gli Stati Uniti.

Inoltre, la politica di cooperazione rafforzata, disciplinata dagli articoli 20 del TUE e 326-334 del TFUE, ha permesso a 14 Stati membri di lanciare l’iniziativa del “First entry force”, un battaglione tattico europeo da 5 mila soldati per reagire rapidamente alle crisi future.

Infine, il Consiglio “Affari Esteri” dell’Unione ha istituito l’European Peace Facility (EPF), uno strumento finanziario per fornire materiali, infrastrutture o assistenza nel settore militare, compreso addestramento al combattimento e attrezzature militari. Siccome l’articolo 41 TUE prevede che nessun budget europeo possa essere utilizzato per operazioni aventi implicazioni militari, l’EPF viene finanziato in formula “off-budget”, ossia da contributi annuali degli Stati membri. Questo strumento potrebbe presto vedere il suo primo impiego per assistere il governo del Mozambico a combattere l’insorgenza jihadista di Al-Shabaab che attanaglia il nord del paese.

Ulteriori sorprese infine potrebbero arrivare nei prossimi mesi, data la recente proposta tedesca di eliminare la votazione all’unanimità in seno al Consiglio, rendendo più facile adottare le decisioni in materia di politica estera e di difesa.

 

Verso una vera integrazione?

Questi progetti risultano essere fondamentali nel contesto di protratta instabilità nel quale oggi ci troviamo. In particolare, la costruzione di una difesa comune efficiente potrà condurci verso la tanto agognata “Autonomia strategica” per dare maggiore risalto ai nostri interessi nell’arena globale. Come ricordato recentemente dall’Alto Rappresentante J. Borell durante il suo viaggio nel sud-est asiatico: “Se vogliamo essere un attore geopolitico, dobbiamo anche essere percepiti come un attore politico e di sicurezza nella regione, non solo come un partner per la cooperazione allo sviluppo, il commercio o gli investimenti”.