Mentre la riforma della giustizia italiana prende forma, sentiamo una delle opinioni che girano tra gli avvocati sugli interventi proposti e su come il loro ruolo debba cambiare nel nuovo progetto che avanza. La ministra della Giustizia Marta Cartabia sta lavorando a un disegno di legge che mira a modernizzare e rendere “competitivo” il sistema giustizia in Italia, con diverse proposte sul tavolo.
Ne parliamo con l’avvocato Marco Buscema di Udine, fondatore di Will League, che raggruppa più di 240 avvocati con studi in Italia e nel mondo.
La ministra Marta Cartabia ha affermato che uno dei pilastri fondanti del Next generation UE e della ripartenza del paese è risolvere l’annoso problema del funzionamento della giustizia in Italia. Cosa ne pensi?
Sono del tutto d’accordo, sono anni che se ne discute. Il funzionamento e i tempi della giustizia civile, penale e amministrativa sono troppo lunghi e i contenziosi hanno un costo troppo elevato sia per i privati che per le aziende. Secondo la Banca Mondiale uno degli indicatori per gli investimenti esteri sono proprio i tempi della giustizia civile: per esempio, il tempo per recuperare un credito o per risolvere una disputa contrattuale deve essere breve e “certo”.
Si deve snellire decisamente: in Germania il sistema giustizia assicura una soluzione alle controversie civili di recupero dei crediti in un terzo del tempo necessario in Italia. Dobbiamo allinearci.
Tra l’altro sono tra i sostenitori dell’idea che la lentezza della giustizia non dipenda dalla magistratura, ma dal fatto che ogni giudice abbia un carico eccessivo di casi, che per lo più sul tavolo del giudice non dovrebbero nemmeno arrivare.
Si deve mirare a una deflazione del carico della giustizia con soluzioni alternative per i contenziosi bagattellari o anche non bagatellari, ma che possono trovare componimento più veloce ed efficace in altre sedi. Spesso con maggiore attenzione ai reali interessi delle parti, su cui il magistrato talvolta non può incidere essendo per legge tenuto a rimanere nell’ambito del “petitum”, cioè di quanto richiesto dalle parti del giudizio.
Quindi trovi interessante che la ministra Cartabia voglia dare ampio spazio alla risoluzione alternativa alle controversie, quali la mediazione nel settore della giustizia civile e nelle controversie con le pubbliche amministrazioni? È una soluzione attuabile e risolutiva?
Mi chiedi se è attuabile: la risposta è sì. Risolutiva: un altro sì. Non si può assolutamente prescindere da tale approccio, dando più spazio e più forza alla mediazione. Più che puntare alla sua obbligatorietà, mi baserei su un approccio “premiale”, offrendo maggiori incentivi fiscali a chi intraprende la mediazione e a chi aderisce: scaricare dalle tasse tutte le spese della procedura invece dell’attuale 50%. Questo potrebbe indurre un sempre maggior numero di persone o aziende “chiamate” in mediazione, ad aderire con spirito positivo. Si potrebbe anche prevedere maggiori conseguenze processuali per la parte chiamata che non aderisca: l’attuale meccanismo non funziona, in quanto di fatto non vi è alcuna conseguenza in fase di contenzioso per la parte che non aderisce, anche se la legge prevede che il giudice possa tenere conto di tale comportamento.
Anche per le controversie con la pubblica amministrazione la mediazione potrebbe essere un’ottima soluzione, preservando il funzionario da possibili responsabilità – e il disegno di legge, infatti, prevede una sorta di “scudo” per tali casi. Ma in più si potrebbe introdurre – anche in questo caso – un meccanismo premiale per il funzionario che, tramite l’accordo di mediazione, abbia evitato all’ente i costi, le lungaggini e la incertezza di un giudizio amministrativo o civile, che sia. L’introduzione della mediazione, inoltre, porterebbe a un maggior dialogo con gli enti pubblici, che spesso è difficoltoso, e che invece dovrebbe diventare strutturato e basato sulla competenza e la capacità di ascolto reciproco, sempre nel rispetto delle norme vigenti.
In conclusione, ritengo che il diritto all’azione giudiziaria sancito dall’art. 24 della Costituzione, potrebbe trovare una interpretazione evolutiva nella direzione della tutela dei diritti e degli interessi legittimi dei cittadini e delle imprese, non solo attraverso il rimedio giudiziario.
All’estero sono state adottate soluzioni efficaci….
Il governo della Nuova Zelanda ha istituito nel settore della giustizia civile una serie di “stanze di compensazione” per le diverse controversie: per esempio, è prevista una camera arbitrale specializzata in responsabilità medica.
L’arbitrato è facoltativo, ma viene molto utilizzato con il risultato che circa il 90% delle controversie vengono risolte in quella sede.
Tra le proposte contenute nel disegno di legge di riforma l’estensione delle udienze telematiche sperimentate durante il lockdown…
Il lockdown ha “obbligato”, anche noi avvocati, a un cambio di passo per evitare la paralisi completa del sistema durante la pandemia. Ciò ci ha consentito di uscire da una mentalità sorpassata e superare, in parte, un meccanismo che ha fatto – in parte – il suo tempo.
La tecnologia ci è stata “amica” e senz’altro deve fare parte in modo definitivo del nostro bagaglio: sì alle udienze “in remoto” quando la presenza dei legali risulta “inutile”, in quanto ciascuno dei legali di parte ha difeso, formulato eccezioni, fatto richieste istruttorie, insomma difeso il proprio cliente, tramite gli scritti depositati nel fascicolo telematico. Un esempio lampante è il caso in cui le parti si siano accordate per chiedere congiuntamente un rinvio dell’udienza, in quanto pendono trattative: questo può essere fatto tranquillamente in remoto.
Naturalmente devono essere salve le ipotesi in cui, invece, la presenza degli avvocati e anche delle parti, quando previsto dal codice di procedura civile, e il confronto di persona con il magistrato siano insostituibili. Comunque le udienze in remoto o effettuate tramite lo scambio di note scritte, consentirebbe agli avvocati, ai magistrati e alle parti una netta accelerazione del giudizio e anche un abbattimento dei costi, evitando le trasferte degli avvocati, per dirne una.
Credo, quindi, alla innovazione nella tradizione: un forte legame con il patrimonio di cultura legale non viene messo in discussione dall’utilizzo di moderne tecnologie, cambia solo il modo e deve cambiare il nostro approccio, il nostro “sentire”. Parlo per me e per gli avvocati in genere.
In questa importantissima fase e per il futuro quale deve essere il ruolo dell’avvocato? Se cambia tutto ma non cambia l’avvocatura, ci potrebbe essere un problema…
L’avvocato e mi ci metto io per primo, deve cambiare mentalità, superando quella “voglia di contenzioso”, che tuttora lo permea in molti casi, anche quando i motivi del contendere potrebbero essere superati con altri mezzi, anche negoziali e di confronto tra legali e le parti.
La mia opinione è che l’avvocato dovrebbe diventare sempre più un consulente della parte per guidarlo in una efficace tutela dei suoi interessi, superando l’ottica del «causa che pende causa che rende» perché, tra l’altro, ciò non corrisponde più alla realtà, soprattutto per quelle che io chiamo “studi boutique”, cioè i piccoli studi legali, che sono la stragrande maggioranza.
Occorre stringere un’alleanza tra legali, fatta di confronto, scambi di idee e competenze, interazioni, condivisioni di best practise per migliorare la qualità dell’assistenza fornita. L’altro avvocato non è un “nemico”, ma casomai e solo in extremis un avversario, ma in termini di lealtà e trasparenza.
L’avvocato è una figura molto importante, che deve valorizzare il proprio ruolo di baluardo dei diritti, sentendo l’orgoglio di appartenenza. Lo spirito di appartenenza si coltiva solo con lo scambio, la conoscenza, la collaborazione con colleghi esperti dei diversi settori di specializzazione, che sono già numerosi, ma che non potranno che aumentare con i nuovi settori in cui il diritto dovrà trovare soluzioni innovative e al passo con i tempi. Penso a “squadre” di legali, che forniscono consulenza in team ai propri clienti, rimanendo imprenditori di sé stessi, non con una logica mercantile, bensì di competenza e skill. Con questo approccio l’utilizzo delle moderne tecnologie – anche di comunicazione – sono fondamentali.
Collaborazione, scambio di esperienze, lavoro in team tra avvocati di diversa formazione: è così che vedi il futuro dei legali?
Faccio una provocazione: una nota multinazionale americana sta creando negozi nel settore della vendita al dettaglio degli alimentari, che non prevedono la presenza di operatori: si entra, si sceglie e acquista senza interazione con altri esseri umani.
Chi andrebbe in uno studio legale dove non ci siano avvocati, ma in cui – per dire – il cliente possa lasciare in un box la propria domanda e poi riceve la risposta senza interagire con il professionista? Sinceramente non la trovo una ipotesi percorribile! Quindi l’uso della tecnologia non deve essere portato all’estremo, ma essere utilizzato in modo utile agli interessi del cliente.
Non dimentichiamo che la parola avvocato viene dal latino advocatus, dal verbo che significa chiamare a sé: io chiamo l’avvocato perché desidero che stia dalla mia parte, mi tuteli e noi non possiamo perdere questo spirito di servizio, senza essere snaturati.
L’avvocato deve utilizzare la tecnologia senza dimenticare, ma anzi continuando a valorizzare al massimo il rapporto umano, l’empatia, la capacità di ascolto del cliente per individuare la strada da percorrere insieme, mettendo a suo servizio la propria conoscenza, da aggiornarsi continuamente.
Da ultimo, vorrei sottolineare come l’utilizzo intelligente della tecnologia potrà far nascere nuove figure professionali nel settore legale, come il social media manager o il marketing manager, a cui l’avvocato dovrà rivolgersi sempre più spesso perché lavorino in affiancamento con lo studio.
E’ necessario un deciso cambio di passo e di mentalità. Siamo pronti?
Mi viene da dire no, in generale no. Ma noi avvocati ci stiamo rendendo conto che dobbiamo cambiare profondamente e velocemente. Pur rimanendo fiero della propria indipendenza, l’avvocato comprende sempre più che la tecnologia se usata correttamente crea libertà non la riduce, apre la possibilità a scambi e collaborazioni in tutto il paese e anche all’estero.
Sei ottimista per il futuro dell’avvocatura…
Certo: senza ottimismo ed entusiasmo non si può cambiare!