Il 24 settembre 1863 papa Pio IX inaugurava, a sud di Porta Portese e del porto di Ripa Grande, il Ponte di Ferro: un ponte ferroviario sul Tevere, a campata centrale mobile, che avrebbe consentito di prolungare la linea Civitavecchia-Roma, avviata quattro anni prima, fino alla nuova stazione centrale di Roma a Termini, attiva dal febbraio 1863.
Significativamente la nuova infrastruttura viene chiamata «Ponte dell’Industria».
Sette anni dopo Roma viene conquistata dai Piemontesi e annessa al Regno d’Italia per diventarne la capitale.
La città papalina è relativamente piccola (la sua popolazione supera di poco i 200.000 abitanti) e sonnolenta, necessita di trasformazioni profonde. Si tenta così di avviare un processo di modernizzazione per adeguare Roma al suo nuovo ruolo e avvicinarla alle altre capitali europee, caratterizzate da un livello di industrializzazione assai più avanzato.
Per lo sviluppo delle attività produttive si individua la zona del Testaccio e l’area immediatamente a sud compresa tra le mura Aureliane, il Tevere e la Via Ostiense. Determinante nella scelta la presenza del fiume, del porto, della ferrovia e del nuovo ponte, un insieme infrastrutturale che avrebbe tra l’altro facilitato l’approvvigionamento di materie prime e di merci.
Il Piano Regolatore del 1883 accoglie e consolida tali indicazioni. La costruzione del nuovo Mattatoio (1888-1891) proprio ai piedi
della collina del Testaccio favorisce la nascita di nuove attività produttive, che si espandono successivamente verso l’Ostiense, a ridosso o appena fuori dalle mura. Ancora oggi nel nome di strade quali Via delle Conce e Via dei Conciatori resta la memoria di quei laboratori dove si trattavano le pelli scartate dalla lavorazione della carne.
La destinazione dell’intero quadrante Ostiense a zona industriale e di servizi strategici per la città viene definitivamente sancita dalla giunta Nathan con l’approvazione di un nuovo Piano Regolatore nel 1909. Nell’arco di pochi anni si avviano e si realizzano grandi opere e insediamenti imponenti: le nuove officine per la produzione del gas della Società Anglo-Romana (1910), il nuovo Porto fluviale (1912), i Magazzini generali (1912), la centrale Montemartini (1912), il Consorzio agrario cooperativo (1919), i Mercati generali (1921), la linea ferroviaria Roma-Ostia (1924).
Lo sviluppo dell’Ostiense in polo industriale è sostenuto e incoraggiato anche dal “Comitato Pro Roma Marittima”, nato con l’obiettivo di sostenere lo sviluppo di quest’area specifica con investimenti ed infrastrutture, e di collegare Roma al mare per un suo rinascimento economico e produttivo. Il Comitato era stato fondato all’inizio del secolo da Paolo Orlando, ingegnere di origine genovese, consigliere comunale a Roma ed assessore con delega per l’Agro Romano dal 1907 al 1920, nel 1934 senatore del Regno. Una figura di grande interesse che ebbe un ruolo fondamentale nella bonifica della campagna romana e nella costruzione di Ostia.
Orlando ritiene che la nuova prospettiva di sviluppo di Roma sia nella proiezione della città verso il mare. Già nel 1896 aveva elaborato un progetto per un porto di approdo sulla spiaggia di Ostia e un canale di navigazione, parallelo al Tevere e lungo 25
chilometri, che avrebbe collegato il porto ai dock commerciali da costruirsi presso la basilica di San Paolo; il nuovo bacino mercantile al Valco di San Paolo, servito anche da uno scalo ferroviario, avrebbe dovuto avere una larghezza di 63 metri e una profondità di 8 metri e mezzo, sufficienti per il pescaggio e il passaggio a doppia fila dei piroscafi. Forse per il costo ingente dell’opera, pari a 59 milioni di lire dell’epoca, né il porto né il canale navigabile furono mai realizzati. Il regime fascista lasciò cadere le priorità sull’Ostiense preferendo concentrare sforzi e innovazioni progettuali sull’E42 (oggi EUR) e individuando per lo sviluppo industriale di Roma una nuova direttrice orientale lungo la Via Tiburtina.
Nonostante questo, sulla collina tufacea che domina la Via Ostiense e l’ansa del fiume adiacente si costruì, a partire dal 1920, la borgata-giardino della Garbatella, una delle realizzazioni più riuscite di edilizia popolare a Roma: originariamente battezzata Concordia, fu pensata per la classe operaia che avrebbe dovuto lavorare nel nuovo porto fluviale.
La convinzione di Paolo Orlando era che Roma non dovesse “rimanere inoperosa capitale politica, ma divenire capace di (…) dar vita a quell’industria e a quei commerci che sono necessari a costituire la base economica di una grande e popolosa città”.
Come sappiamo, e a differenza di altre grandi metropoli europee, Roma non ha vissuto una duratura stagione industriale. Nello scontro tra due diversi modi di concepire lo sviluppo della città, chi vedeva in Roma la capitale prevalentemente burocratico-amministrativa ha prevalso sui fautori di un suo sviluppo moderno e quindi anche produttivo.
E così molte delle strutture realizzate all’inizio del XX secolo nell’area Ostiense furono abbandonate per trasformarsi in elementi di archeologia industriale.
L’impalcatura ferrea del Gazometro – montato negli anni ’30 dalla società Ansaldo di Genova e dalla tedesca Klonne Dortmund, a lungo il più grande d’Europa con un’altezza di 89,10 metri e un diametro di 63 metri – è ormai diventata il landmark del quartiere.
La Centrale Montemartini, che ha acceso le prime luci elettriche dell’illuminazione pubblica delle strade di Roma, dopo una completa ristrutturazione da parte di Acea è stata trasformata in spazio espositivo e dal 1997 accoglie una selezione di sculture e reperti archeologici dei Musei Capitolini.
Per quanto riguarda invece il complesso dei Magazzini Generali del Porto Fluviale, i suoi edifici, restaurati a partire dagli anni ’90 dal Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco con un intervento di recupero considerato esemplare, sono oggi sede dell’Istituto Superiore Antincendi e vengono utilizzati per l’insegnamento, la formazione e l’informazione sulle scienze della sicurezza e della prevenzione.
Molte altre aree e strutture devono ancora essere recuperate in questo settore della città che Carlo Travaglini ha definito «straordinario laboratorio di trasformazioni urbane, un’area strategica per lo sviluppo e la modernizzazione di Roma nel XXI secolo ed anche un terreno di riflessione culturale e progettuale particolarmente impegnativo». L’auspicio è che avvenga presto.