Come al solito, anche su questo orrendo delitto, come per gli altri gravi fatti di cronaca, si sono sfogati i talk show, soprattutto quelli più trash, come il programma di Rete 4, condotto da Del Debbio. E vero che è necessario assicurare la pluralità delle voci e delle opinioni, ma il cittadino comune che ascolta, affoga in una confusione che, alla fine, lo induce a rifugiarsi nelle solite grandi e confortevoli semplificazioni.
Si chiede l’opinione dell’U.C.O.I.I. (Unione delle Comunità Islamiche d’Italia), che, lo si voglia o no, rappresenta una grande parte delle comunità islamiche che vivono nel nostro paese. Il rappresentante di questa associazione afferma che il Corano proibisce i matrimoni combinati, e certamente non autorizza l’uccisione di una figlia. Ma altri partecipanti al talk show, politici e giornalisti, ma anche persone di fede islamica, ribattono che non si può credere a quelli dell’U.C.O. I.I, perché in realtà parlano con la voce dei fratelli musulmani, che sono un gruppo integralista, fautore dell’Islam politico. Sarebbero quindi ipocriti e manipolatori. Sfugge però a tutti questi critici che tutte le religioni annoverano rappresentanti e predicatori che sono ipocriti e manipolatori.
Quando lavoravo in Israele ricordo bene che sul più importante giornale del paese venne pubblicata la foto di un signore che usciva dalla porta di un palazzo, in jeans e con un cappellino da baseball.
C’era però accanto un’altra foto, dello stesso signore, ma tutto vestito di nero, con cappello e treccine. La didascalia recitava “al rabbino … piacciono le prostitute russe”.
Non me la prendo certo con gli ebrei osservanti, ma noi cristiani non siamo certamente da meno. Per tutti vale però il principio “fate come vi dico, non come faccio”. Se un prete dice ai ragazzi, ma soprattutto alle ragazze, che non possono fare sesso prima del matrimonio, viene giudicato forse un po’ rigido. Se invece lo dice un imam musulmano, lui è un retrogrado oscurantista.
Queste realtà non mi meravigliano, perché gli esseri umani continueranno a vedere la pagliuzza negli occhi altrui ignorando la trave che è nei loro. Quello che mi ha molto meravigliato invece è il numero degli esperti del Corano e del mondo islamico, dei quali fa parte persino l’onorevole Santanchè. In un mondo dove uno vale uno tutti sanno tutto, e i conduttori di talk show invitano – sempre i soliti – a parlare di tutto. Molti di quei politici e giornalisti non hanno mai camminato per le città e per i deserti di quel mondo, o hanno scritto dotti reportage dalle suites dei grandi alberghi ove soggiornavano. Io ho ancora la sabbia dei loro deserti nei risvolti dei pantaloni e conosco le famiglie e le comunità dei più lontani e difficili di questi paesi. Per questo continuo a provare tristezza, non per l’impreparazione di molti rappresentanti dei media, ma per l’ignoranza della battaglia di ogni giorno di tantissimi ottimi musulmani che si ribellano a tradizioni ancestrali, e che per questo sono costretti a subire discriminazione e violenza, oppure cercano di emigrare da noi, pensando che nei nostri paesi verranno loro garantiti libertà e diritti.
Comunque, nella gara fra ipocriti, non saprei a chi attribuire la medaglia d’oro.
Perdonaci Saman per non averti saputo difendere, ma soprattutto per aver capito così poco come poterti aiutare. E, ancor peggio, di fare così poco per aiutare le altre centinaia di Saman che vivono tra noi.
Le migliaia di stranieri, di diversi, che raccolgono pomodori e frutta nei nostri campi ci servono, ma solo per le braccia che mettono a nostra disposizione. Quanto sono pagati, come vivono, la loro salute e la loro istruzione non interessano a nessuno, anche se neppure i populisti più agitati hanno più il coraggio di affermare che ci rubano il lavoro.
Comunque sia, non mi sembra molto importante che una piccola ragazza pakistana – che voleva essere italiana – sia stata uccisa dalla sua famiglia per un’interpretazione fuorviante del Corano, oppure per orrende ancestrali tradizioni. Lei è morta perché non era più nessuno. Nessuna comunità di riferimento, nessun gruppo di esseri umani che la considerassero una di loro. Si è ribellata, con incredibile coraggio, ad una prevaricazione inaccettabile, rifiutando il mondo dal quale proveniva – e forse accettando addirittura la morte – senza però che noi italiani avessimo fatto qualcosa per accoglierla fra noi, per difenderla, non solo con la polizia e tribunali, ma includendola realmente fra tutti quei ragazzi e ragazze che rappresentano il nostro futuro.
Del resto continuiamo ad assistere a frequentissimi femminicidi compiuti da italianissimi, e polizia e tribunali intervengono quasi sempre dopo la morte di queste tantissime donne.
Ammettiamo pure che l’uccisione di una figlia, perpetrata dall’intera famiglia, sia più orribile di un marito o di un fidanzato che uccidono la loro compagna, ma il giudizio negativo assomiglia molto allo sdegno che suscitano coloro che uccidono e mangiano un cane, mentre è normale che si uccida e si mangi un coniglio.
Ognuno ha il diritto di strapparsi le vesti per quello che gli sembra inaccettabile.
Vorrei però attirare l’attenzione di tutti sul percorso e i metodi del condizionamento e della costrizione. Ho personalmente assistito alla guerra che una madre, benestante e laureata, ha fatto contro il ragazzo che la figlia aveva deciso di frequentare. E non si trattava di principi religiosi o etici, ma soltanto del censo del ragazzo, e cioè dei soldi. Un’avvocatessa di successo, nata in una Città del nostro sud, mi ha raccontato che sin da piccola lei sapeva chi avrebbe dovuto sposare. La madre sapeva come condizionarla e manipolarla senza la violenza fisica. Per ribellarsi ha dovuto andar via dalla sua città.
Molte donne dei quartieri alti selezionano con cura le scuole e le comunità dove far vivere figli e figlie, e sospetto che non sia la cultura il motivo di queste accurate scelte. Lo ripeto: molti buoni cristiani non uccidono le figlie ribelli, ma quando mi sono lasciato scappare che questi comportamenti erano tribali, sono stato considerato pericoloso, e guardato con sospetto.
Nessuna comunità umana è indenne da questo pericoloso percorso di condizionamento e costrizione, soprattutto verso le ragazze, anche se l’Erasmus ha dato un fondamentale contributo alla loro libertà di scelta.
Perdonaci Saman, non perché i carabinieri sono arrivati troppo tardi, ma perché nessuno si è preoccupato che non potessi andare a scuola, che non potessi uscire di casa. Come tanti altri nel mondo, neanche noi italiani riusciamo a costruire una società dei diritti e della dignità, che si occupi di tutti, non solo per difenderli dalla violenza, ma per affermare un rispetto della donna e della diversità che è l’unica cosa che caratterizza una società democratica di esseri umani.
Saman, pochissimi hanno detto che tu sei stata una coraggiosissima ribelle, una fantastica ‘fanatica della femminilità’, come Joumana Haddad, la scrittrice libanese, che nel suo grande libro “Ho ucciso Sherazade” parla proprio delle donne come te.