«Per la sua luce, che illumina i corpi celesti che lo circondano come una corte, per i suoi raggi, che distribuisce equamente a tutti, per il bene che porta in ogni luogo, generando vita, gioia, azione, per la sua costanza che non muta mai, io scelgo il Sole come l’immagine che può più magnificamente rappresentare un grande condottiero.»

Busto di Luigi XIV giovane, Musee Hebert, La Tronche, Isère, Unsplash

Quale frase potrebbe esprimere meglio il delirio di onnipotenza di Luigi XIV, re di Francia, che già, a soli 18 anni, di fronte al Parlamento, per attestare la sua superiorità nel legiferare aveva affermato di incarnare lo Stato stesso?

Appena insediato, al fine di arginare l’aristocrazia degli intrighi e dei veleni – questi ultimi non solo in senso metaforico -, che costituiva il maggior pericolo per l’autorità del sovrano e l’unità del Paese e sottraeva risorse alle casse dello Stato con l’ausilio di una burocrazia corrotta, intraprese la metamorfosi della Francia in uno Stato accentrato e con un governo efficiente sotto la buona amministrazione e guida finanziaria del ministro Colbert, favorendo il mercantilismo in economia. Riformò la legislazione introducendo un codice di procedura civile che sarà il fondamento anche del futuro codice napoleonico, si dotò di un onnipresente corpo di polizia per controllare ogni aspetto della vita civile, sostenne una politica estera di allargamento delle frontiere dello Stato e di espansione dell’impero coloniale francese in Nordamerica, nei Caraibi e in India, entrando in rotta di collisione con il nascente impero britannico.

Immaginò quindi Versailles, il padiglione di caccia del padre trasformato in una maestosa reggia di ineguagliabile bellezza, dove trasferì dal 1682 i suoi organi di governo, e, in uno splendido isolamento, la nobiltà francese di cui aveva imparato a temere le mire e gli eccessi. Il luogo diventerà non solo il centro del potere, ma anche una corte esageratamente dispendiosa, lo schiaffo in viso al popolo sempre più vessato da nuove tasse, il cuore dell’intolleranza religiosa, il seme della prossima rivoluzione che, nel terrore, avrebbe spazzato via le ambizioni di grandezza di un mondo, l’antico regime e le sue credenze, ridotte dalla nuova intolleranza antireligiosa al rango di superstizione.

Sophie Louisnard, Arazzo con i gigli di Francia e il Sole che sovrasta la corona, Unsplash

Oggi potremmo definire Versailles come la prima grande invenzione mediatica dell’epoca moderna. Architettura, pittura, scultura, letteratura, musica erano uniti in uno straordinario e unico messaggio simbolico al centro di ogni canale d’informazione e intrattenimento di quel tempo. Louis le Dieudonné, Luigi il dono di Dio, segnato già dalla nascita, con la progressiva e sapiente costruzione di una personalità eccezionale e la sua replicazione centinaia di volte nelle arti e nelle lettere, doveva apparire il cardine di quel regno che Racine definì «una ininterrotta serie di meraviglie».

Il re più cattolico d’Europa – tratto distintivo di diversi sovrani, da Carlo Magno a Ferdinando e Isabella a Enrico VIII prima dello scisma anglicano, quindi a Carlo V – non si era in realtà mai impegnato nell’unico confronto che allora contasse per l’Europa e la sua libertà, il contrasto dell’influenza ottomana, dopo la caduta di Costantinopoli sempre più vicina al cuore del continente. La Francia infatti non partecipò alla battaglia di Vienna nel 1683, come Carlo IX non aveva preso parte alla battaglia di Lepanto nel 1571, ma dopo aver stretto accordi economici con il sultano preferì concentrarsi nella repressione del protestantesimo in Francia con la revoca dell’editto di Nantes. Una politica che procurò danni alle finanze dello Stato, per la fuga delle famiglie protestanti insieme ai loro capitali, e lo scarsissimo apprezzamento della Chiesa di Roma, e che condusse addirittura cattolici e protestanti a unirsi nella lega di Augusta contro le mire aggressive del sovrano francese.

Il re taumaturgo – ai sovrani francesi, fin da Roberto II il Pio, veniva attribuito il potere della guarigione per via della discendenza divina della regalità, un potere che Luigi esercitava con una certa serietà -, nella seconda parte del suo regno, quando si era legato alla De Maintenon, profondamente religiosa, aveva iniziato una sorta di «conversione» personale che riportò ordine nella sua vita privata e parzialmente anche nelle scelte politiche, non sempre felici se pensiamo alla fine della libertà religiosa in Francia.

Un aneddoto ne svela però l’indomito egocentrismo. Accadde che l’umile monaca Margherita Maria Alacoque (poi santa), che riceveva dal 1673 visioni soprannaturali, il 17 giugno 1689 ebbe un’apparizione di Gesù nella quale veniva chiesto al re di Francia Luigi XIV di consacrare sé stesso e il regno al suo Sacro Cuore, per la salute della Francia e del mondo intero. Il re non aderì alla richiesta. Esattamente 100 anni più tardi, il 17 giugno 1789, i rappresentanti del Terzo Stato si proclamavano Assemblea Nazionale, col favore di parte del clero. Iniziava così la rivoluzione francese.

Icaro aveva ancora una volta volato troppo vicino al Sole: le cronache riportano che alla notizia della morte di questo monarca, che appariva più simile a un faraone egizio che a un re europeo, la Francia intera esultasse.

Immagine di apertura: NinasCreativeCorner, Galleria degli Specchi a Versailles, Pixabay