«La libertà non ha deviato verso il male in un colpo solo, c’è stata un’evoluzione graduale, ma credo si possa affermare che il punto di partenza sia stato la filantropica concezione umanistica per la quale l’uomo, padrone del mondo, non porta in sé alcun germe del male, e tutto ciò che vi è di viziato nella nostra esistenza deriva unicamente da sistemi sociali erronei che è importante appunto correggere.».
Così Solženicyn descriveva nel 1978 nel famoso discorso di Harvard Un mondo in frantumi la parabola del mondo moderno.
Ai primi del Novecento un altro scrittore, Robert Hugh Benson, aveva narrato nel suo Lord of the World l’avvento di un nuovo ordine mondiale dove il governo era retto da una figura carismatica, che in nome dei principi umanitari e della pace universale aboliva ogni differenza di ideologia e di fede in una sorta di nuovo culto totalitario.
La questione della libertà
Il legame tra lo scrittore britannico e il grande autore russo non è soltanto negli elementi comuni tra visione profetica e lettura storico-filosofica della modernità, ma soprattutto nell’idea di libertà: la libertà è una conquista graduale di mete progressivamente raggiungibili, valide per tutti, quindi universali, oppure nasce dalla capacità di giudicare la realtà secondo la totalità dei fattori che la compongono e quindi è inevitabilmente differente da stereotipi sociali sempre mutevoli fatalmente espressione del potere dominante?
La libertà è strettamente connessa alla capacità critica ma, nella nostra società, l’informazione che quella capacità dovrebbe tenere desta fa in modo che, sempre secondo Solženicyn, «anche senza bisogno della censura, viene operata una puntigliosa selezione che separa le idee alla moda da quelle che non lo sono, e benché queste ultime non vengano colpite da alcun esplicito divieto, non hanno la possibilità di esprimersi veramente né nella stampa periodica, né in un libro, né da alcuna cattedra universitaria».
Abbiamo così visto, negli ultimi due anni, i limiti di un’informazione libera in almeno due occasioni di dibattito pubblico, sulla pandemia e sulla guerra russo-ucraina, nelle quali personalità di rilievo del mondo scientifico e accademico o politici in disaccordo con i propri governi sono stati derisi se non addirittura additati come campioni della disinformazione e nemici dell’interesse pubblico, come avvenne anche con Solženicyn al suo arrivo in Occidente.
L’inganno del potere e la perdita dell’identità
L’arroganza del potere non è quindi esclusivo appannaggio delle società autoritarie ma anche delle società liberali, quando pretendono di definire come valori universali diritti non condivisi, e dei governi, quando avallano decisioni di politica estera o salute pubblica inappellabili, spesso senza la verifica dei parlamenti nazionali e con un’opinione pubblica plasmata dai media.
Come scrisse anche Havel dal carcere il 21 agosto 1982 alla moglie Olga «viviamo in un’epoca in cui c’è un allontanamento generale dall’Essere: la nostra civiltà, fondata sulla grande impennata della scienza e della tecnica […] trasforma l’uomo, suo fiero creatore, in uno schiavo dei suoi bisogni di consumo, lo frantuma in funzioni isolate, lo dissolve […] nel mondo», mondo nel quale c’è «una crisi di responsabilità umana» […] «una crisi di identità umana».
Questo straniamento dell’uomo che nasce da un apparente complesso di superiorità porta a una perdita di identità in nome di un razionalismo che elimina tradizioni e valori culturali e dischiude le porte a un nuovo totalitarismo.
La speranza del futuro
Il 2 giugno 1980 Giovanni Paolo II all’Unesco, in un’ampia allocuzione sulle responsabilità della cultura, del potere politico e finanziario che tendono a imporre i propri modelli alla società, ma soprattutto rivolgendosi agli scienziati, chiedeva loro: «Mostratevi più potenti dei più potenti del nostro mondo contemporaneo! Decidetevi a dar prova della più nobile solidarietà con l’umanità: quella che è fondata sulla dignità della persona umana. Costruite la pace cominciando dal fondamento: il rispetto di tutti i diritti dell’uomo, quelli che sono legati alla sua dimensione materiale ed economica come quelli che sono legati alla dimensione spirituale e interiore della sua esistenza in questo mondo».
Anche il pensiero dei padri dell’Europa non è un umanitarismo senza radici, che lascia l’uomo esposto al ricatto del potere, politico o economico, ma una visione nella quale la volontà dei popoli, attraverso l’identità delle Nazioni che la costituiscono e la vitalità democratica dei parlamenti e dei governi, è in grado di affermare, nei comuni valori, l’unità nella diversità delle esperienze, in un continente in pace, unito e prospero.
La storia del Novecento insegna che la speranza è in uomini che amano la libertà più della propria vita e che costituiscono quella variabile incognita capace di cambiare, più della forza delle armi, il corso degli eventi.
Immagine di apertura: Silenzio in un mondo assordante, foto di Peter Hermann, Unsplash