Nel centenario della nascita, la lezione di Don Lorenzo Milani, nato a Firenze il 27 maggio 1923 da famiglia colta e facoltosa, è più che mai attuale. Personalità complessa, non riducibile ai tanti aneddoti che si raccontano sulla sua figura, continua ad emozionare chiunque si avvicini ai suoi scritti e al suo pensiero.
Aveva 31 anni, quando nel 1954 il priore fu inviato a Barbiana, in una povera canonica dove non c’era acqua né luce e nemmeno la strada per poterci arrivare. Un posto desolato dove Don Lorenzo decise di impiantare per i ragazzi del Mugello una scuola aperta tutto l’anno, sette giorni su sette. Una scuola per gli ultimi, per quei figli dei contadini analfabeti che venivano sistematicamente discriminati dalla scuola pubblica: su dieci figli di contadini, otto venivano bocciati.
Don Lorenzo aveva capito come quei ragazzi, costretti ad aiutare nei campi e a badare alle pecore, fossero destinati ad uscire presto dalla scuola di Stato, senza saper leggere e scrivere. Privati del loro diritto all’istruzione e della parola non avrebbero mai potuto avere voce in capitolo come cittadini, come cristiani. Per questo occorreva prendersene cura, aiutandoli ad impadronirsi degli strumenti basilari del sapere. In primo luogo la parola: « dare tutti gli usi della parola a tutti » perché «la parola ci fa uguali».
Per Don Milani i poveri sanno cosa dire, ma non hanno la parola; ecco che l’arte dello scrivere diventa un generatore di idee e si realizza nella scrittura collettiva. Proposta dal pedagogista francese Célestin Freinet e diffusa in Italia dal Movimento di Cooperazione Educativa, la tecnica didattica dello scrivere insieme aiuta i ragazzi a trovare le parole per esprimersi e comunicare. Mario Lodi, maestro di Vho di Piadena (CR) in visita a Barbiana, racconta a Don Milani che nella sua classe si scrive insieme. « Caro Maestro, la ringrazio d’averci proposto quest’idea perché me ne son trovato bene » scrive Don Lorenzo al maestro, e perfeziona a tal punto l’idea da lasciarci insieme ai suoi ragazzi quel capolavoro di scrittura collettiva che è la Lettera a una professoressa.
Pubblicata nel maggio del 1967, poco prima che Don Milani morisse, la Lettera diventerà ben presto il manifesto pedagogico del ’68 e farà riflettere sulla necessità di riformare il sistema educativo, dando il via alle battaglie per la scuola che sfoceranno nelle grandi riforme degli anni settanta. Da allora nulla più sarà come prima. La scuola si aprirà alla partecipazione democratica e alle istanze sociali di integrazione e inclusione dei ceti più deboli perché « se si perde loro, la scuola non è più la scuola. E’ un ospedale che cura i sani e respinge i malati. Diventa uno strumento di differenziazione sempre più irrimediabile».
Ecco che, per ridurre le disuguaglianze, la scuola dovrà dedicare maggiore attenzione ai più deboli perché « non c’è ingiustizia più grande che fare parti uguali tra diversi » e occorrerà « dare di più a chi ha di meno ». Così Don Milani mostra quanto gli stessero a cuore tutti i suoi ragazzi. «Se si vuole amare Dio bisogna amare le persone», affermava. Ma il suo amore era capace anche di durezze. La sua proposta pedagogica è infatti rigorosa, incisiva e sempre tesa all’eccellenza, alla ricerca della perfezione. Per questo richiede una dedizione completa, un tempo e una pazienza che si possono comprendere solo alla luce di quel “ I CARE” scritto a grandi lettere sulla porta dell’aula di Barbiana.
Si vede così quanto la scuola di Barbiana sia distante dal presunto “donmilanismo” di cui è stata accusata. Don Lorenzo voleva che quei ragazzi diventassero adulti responsabili, cittadini sovrani consapevoli delle loro scelte, dando loro non nozioni ma strumenti per lo sviluppo dello spirito critico.
Oggi siamo consapevoli di quanto la scuola sia ancora lontana dall’aver realizzato l’uguaglianza delle opportunità formative e quanto occorra fare per contrastare la dispersione scolastica e la povertà educativa. Possiamo raccogliere la sfida di Don Lorenzo Milani perché a Barbiana si è realizzata la più famosa esperienza di pedagogia popolare e la Lettera, tradotta in tutto il mondo, la racconta.