Il tema è sempre in primo piano. La transizione energetica in Europa continua ad occupare uno spazio straordinario. Attraversa tutte le decisioni politiche e mira a completare il processo entro il 2050. Non mancano stop & go che a volte sembrano mettere in discussione l’intero impianto del passaggio ad una nuova economia. A che punto siamo ? Cosa ci aspetta ? I paesi europei riusciranno a raggiungere gli ambiziosi traguardi che si sono dati ? Il Prof. Luigi Nicolais, scienziato di fama internazionale, già Ministro per le Riforme e l’Innovazione Tecnologica e Presidente del CNR, attuale Presidente della Società di ricerca Materias, è una fonte autorevole per capire dove stiamo andando. Lo abbiamo intervistato.
Professor Nicolais, come giudica la scelta della transizione energetica in Europa?
«Il problema è nato perché in passato non abbiamo previsto che un giorno avremmo avuto la necessità di avere fornitori diversi di gas o petrolio. Avevamo la visione di un sistema tranquillo. L’Europa aveva già avviato il progetto di transizione quando è arrivata l’invasione dell’Ucraina. Ci sono state difficoltà impreviste».
Quali sono le ragioni di queste difficoltà?
«Sono due. Una, perché ci siano finalmente resi conto che non potevamo sopravvivere soltanto con i combustibili fossili. L’altra perché tutti noi abbiamo capito che la nostra vita dipende dall’energia. Sembra una cosa ovvia, ma siccome il gas che arrivava dalla Russia ci permetteva di stare sereni, abbiamo vissuto questa condizione per lungo tempo».
Con quali conseguenze?
«Non abbiamo spinto molto affinché si incrementasse l’uso di energie alternative».
La transizione ha bisogno di ricerca e di applicazioni tecnologiche. In Italia a che punto siamo?
«Di ricerca ce n’è molta. In Italia abbiano l’Enea, in particolare, che ha fatto cose molto interessanti sull’energia solare per concentrazione, riuscendo a raggiungere temperature molto elevate. È un’ attività che dura da più di 20 anni».
E sulle altre fonti rinnovabili?
«Anche. Sui materiali per l’uso dell’energia fotovoltaica. Negli ultimi anni sono stati fatti grandi passi avanti. Prenda le celle per il solare che oggi hanno un ordine di efficienza molto più alto di quello che avevano prima».
Fotovoltaico ed eolico sono le fonti su cui puntare o no?
«Non solo. Sull’eolico c’è grande interesse. Ci sono aziende che stanno lavorando per installazioni che non siano sul territorio, ma a mare. Installazioni off shore a distanza sufficientemente elevata da non creare impatti ambientali».
L’aspetto ambientale e della qualità urbana è ciò che più interessa i cittadini. Se dovesse essere Lei a decidere cosa metterebbe al primo posto di questo passaggio epocale?
«I trasporti. Sarebbe molto interessante immaginare l’uso più massiccio dell’ idrogeno nei trasporti. L’idrogeno è un elemento che ci permette di ottenere grandi conversioni in energia e in maniera semplice. Non inquina, è disponibile in grande quantità, ma per produrlo c’è bisogno di energia».
Professore, non è che l’Unione Europea ha un programma troppo ambizioso ?
«Secondo me c’è un errore di base. Le spiego. Se pensiamo che tutta l’energia futura deve essere elettrica, dimentichiamo che nel tempo avremo una serie di problemi ambientali…»
…addirittura ?
«Si. Ogni soluzione deve avere un inizio e una fine. Se pensiamo, mi lasci dire, ‘tutto elettrico’, ci carichiamo della presenza di tante batterie per l’accumulo di energia. Quando le batterie saranno inutilizzabili cosa ne faremo ? Inoltre, per costruire una batteria occorrono elementi molto rari che si trovano in zone fuori dall’Europa, in Cina, in Africa, in Sud America. Dobbiamo acquistarle per avere apparati che funzionino».
Capisco bene o bisogna rivedere qualcosa ?
«Solo elettrico, ripeto, per me è un errore grave, di equilibrio energetico. Abbiamo bisogno di un sistema misto nel quale l’idrogeno e l’energia elettrica lavorino insieme. Un pò come i motori ibridi che si usano per le automobili».
Ma la ricerca sull’idrogeno a che punto è ?
«L’Italia non è leader in questo campo. I più bravi sono i tedeschi che hanno fatto un piano strategico sull’idrogeno. Hanno sviluppato conoscenze e prototipi sia nella produzione che nell’uso dell’idrogeno. Le celle a combustibile che utilizzano proprio l’idrogeno, sono state rese molto efficaci dalle ricerche dei tedeschi. L’Italia partecipa a queste ricerche, ma non è l’attore principale ».
L’imperativo è abbandonare le energie fossili. Ci sono poteri forti che ostacolano il passaggio alle fonti rinnovabili ?
«Sicuramente in campo ci sono anche poteri forti. Come nel Parlamento italiano, anche in quello europeo ci sono pressioni. Ma ritengo che in generale ci sia anche una forma di ignoranza».
Cioè?
«Il livello di avanzamento della transizione energetica è al 2030, 2050. Secondo me non è possibile raggiungere i traguardi stabiliti. A chi ha immaginato di fare una transizione così radicale con l’uso intensivo dell’energia elettrica avrei chiesto: ma dove si caricano le batterie per l’accumulo ? E per caricarle cosa utilizziamo ? Se utilizziamo lo stesso carburante che abbiamo usato per le automobili cosa abbiamo fatto ? Abbiamo concentrato l’inquinamento in certe zone, invece di averlo diffuso nelle nostre città».
Non è proprio il massimo…
«Esatto. Non abbiamo risolto il problema globale che abbiamo dinanzi, cioè la riduzione della CO2 in atmosfera. Secondo me quello che Le ho descritto è l’errore principale da evitare».
Professore, come ne usciamo?
«Sono errori che si commettono quando ci si ferma ad un limitato momento storico. Oggi parliamo tanto di circolarità nella produzione dei beni. Allora, quando progettiamo e realizziamo un oggetto dobbiamo chiederci quell’oggetto che fine farà quando non sarà più utilizzabile. Introducendo il concetto di riciclo, il discorso cambia, diventa globale e l’energia è parte fondamentale dell’economia circolare».
Dobbiamo lavorare per un’economia circolare. Ci vuole più istruzione e ricerca, non è così?
«Certamente. Da tempo dico che sono i settori per i quali bisogna fare politiche a venti anni, almeno. Qualunque partito vince le elezioni non deve cambiare quelle politiche. Devono essere condivise e durature per poter progredire. Altrimenti ci fermiamo».
Certamente non ce lo auguriamo. Abbiamo bisogno solo di maggiore coesione su questi temi per superare egoismi nazionalistici e sperare in un’Europa più autorevole. Ma su tutto. Non solo su energia e ambiente, prioritari a giudizio di chi scrive.