Confesso che ogni giorno di più mi sento un estraneo in questo mondo, un sopravvissuto, un alieno e mi dico vabbè succede a tutti i vecchi come me e sempre è successo. Fatti da parte. Poi leggo Diego Fusaro, non sono d’accordo su tutto ma su molto, rileggo Pasolini con la sua premonizione assai attuale sul mondo che spariva e su quello nuovo che si affacciava e rifletto, rifletto continuamente e mi trovo a dolermi e a condividere. Solo il mio connaturato ottimismo e la voglia di vivere mi distolgono.
Una cosa principale si affaccia inesorabilmente tutti i giorni: quasi tutti i nostri valori collettivi si sono disciolti come neve al sole e sostituiti dall’universale Dio che tutto ormai pervade. I soldi. Quelli che un tempo, il mio tempo e quello dei miei genitori, si usavano per vivere e per vivere il meglio possibile ma non intaccavano più di tanto la sfera dei valori condivisi. E noi figli degli anni 50 e 60 pensavamo a un mondo diverso, non certo al mondo attuale, dove c’erano pregiudizi e costumi da abbattere ma in nome della giustizia e di una nuova cultura che doveva colorare in meglio il quadro della società. Non è stato così.
Oggi tutto è Dio denaro. La politica, incapace di qualsiasi analisi, e legata indissolubilmente a fatti di gossip; oggi la Santanchè, ieri il figlio di La Russa, domani chissà. L’economia ormai inesistente ma schiava della finanza dove tre o quattro fondi danno le carte e tutti, dico tutti, dobbiamo eseguire. La politica serva della grande finanza, il giornalismo incapace di svolgere la benché minima funzione critica, gli intellettuali ormai a cicli di un quinquennio riciclati nello spoyl sistem culturale. Insomma viviamo in un grande mercato globale che ci ha assegnato il ruolo di consumatori silenziosi. E noi ci siamo adeguati. E onestamente non vedo vie d’uscita né possibili rivoluzioni culturali. Chi ha la mia età per fortuna gode degli affetti familiari e di alcuni amici, quelli di sempre, quelli che si amano. Ma fuori di questo siamo solo numeri da consumo.
Ho finito di leggere in questi giorni “Supercapitalismo“ di Robert B. Reich, ministro del lavoro durante la presidenza Clinton, e professore di Pubblica Amministrazione a Berkeley e autore di diversi libri. Lui fa una linea di confine dal dopoguerra fino alla presidenza Reagan e il dopo, il prima capitalismo democratico e il dopo supercapitalismo. Una riflessione mi ha colpito a proposito della netta diversità tra gli amministratori delegati del primo periodo e quelli attuali. I primi dovevano avere presente il bene della loro company ma contemporaneamente il bene della nazione e delle comunità che la componevano, i secondi hanno solo due padroni: gli azionisti e i consumatori e noi abbiamo due anime, come consumatori vogliamo prezzi sempre più bassi e prodotti di qualità ma come cittadini ci lamentiamo dell’abbassamento dei diritti. Le due cose non stanno insieme purtroppo e il mercato ha vinto. Il capitalismo è diventato più sensibile alle nostre richieste in quanto consumatori, ma la democrazia è sempre meno sensibile alle nostre richieste collettive in quanto cittadini. Riducendoci a macchine da consumo indotto.
Fino agli anni settanta la concorrenza era limitata e poche le grandi compagnie che si dividevano il mercato; per fare un esempio l’industria meccanica americana aveva tre grandi player, Ford, GM e Plymouth, il mercato locale aveva il suo commercio locale; poi la concorrenza ha allargato il mercato con decine se non centinaia di compagnie di tutto il mondo e, sempre per fare un esempio, il commercio locale è ora dominato da grandi catene come Wal Mart. In Europa lo stesso, i grandi produttori di automobili sono molti e di tanti paesi, il negozietto sotto casa ha chiuso ed è stato sostituito dagli shopping, quei grandi e mostruosi inferni della modernità. Ma questo non ha solo cambiato il nostro sistema produttivo e commerciale ma anche le nostre vite.
Una volta che il mercato globale ha conquistato il mondo è cambiata anche la nostra vita e le nostre prospettive future. I giovani sono in gran parte ignoranti, non conoscono la storia, non conoscono la geografia nel senso più ampio del termine, non conoscono la grande letteratura e quindi vivono del presente senza passato, non vedono il futuro, non sanno, non capiscono, non sono interessati se non al loro iphone e ai soldi per sentirsi appieno consumatori. Chiaramente sto generalizzando, conosco giovani di grande valore. Ma la società è questa. Io certamente non vedrò il mondo futuro se non quello prossimo ma credo non sarà migliore di quello che ha vissuto la mia.