Il concetto di «neo-colonialismo» viene classicamente riferito all’influenza che le nazioni occidentali, storicamente dominatrici del periodo coloniale, continuano ad esercitare sui Paesi meno sviluppati, e sottolinea come il loro potere economico, politico e culturale possa ancora influenzare le dinamiche globali, attraverso nuove forme di condizionamento e sfruttamento.
Il termine venne introdotto per la prima volta nel secondo dopoguerra da Kwame Nkrumah, primo presidente del Ghana, nel libro Neo-Colonialism, the Last Stage of Imperialism (1965), che riprende la teoria dell’imperialismo di Lenin.
Lo stesso processo di decolonizzazione ha dato inizio a molteplici strumenti di controllo geo-politico: dell’economia, attraverso istituzioni finanziarie internazionali come il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la Banca Mondiale, imponendo politiche economiche favorevoli ai Paesi più ricchi che hanno causato indebitamento e dipendenza; del commercio, per mezzo di accordi non equi, esercitando un vero e proprio sfruttamento delle risorse; della politica, con il sostegno a governi, l’interferenza negli affari interni o accordi diplomatici favorevoli ai propri interessi; della cultura, attraverso i media, l’educazione e la promozione di valori e stili di vita occidentali, senza tenere conto delle culture locali; infine attraverso interventi militari e conflitti, spesso giustificati da motivi umanitari o di sicurezza.
La recente crisi nigerina (e dell’Africa post-coloniale francese), ma in generale gli eventi in molti Paesi del Sud del mondo, dimostrano che questa politica dei Paesi sviluppati è forse arrivata ad un punto di non ritorno. Non si tratta in senso stretto di una crisi della cultura occidentale nei suoi caratteri universalmente positivi, ma del modo nel quale questa supremazia è stata esercitata, non promuovendo una cooperazione autentica con culture diverse, ma stabilendo un nuovo dominio sulla base degli interessi occidentali, detto appunto «neo-coloniale».
Si tratta quindi di Stati caratterizzati da instabilità politica e fragilità istituzionale, tribalismo, insicurezza e terrorismo, povertà e crisi alimentari, che l’influenza occidentale, lungi dal risolvere, ha spesso alimentato e approfondito, marcando la distanza da modelli ritenuti non a torto incapaci di risolvere la complessa situazione di endemico sottosviluppo da essi stessi creata.
In questa precarietà si sono inseriti da tempo il terrorismo internazionale di matrice islamica e l’influenza crescente di Russia e Cina nell’emisfero sud, dove i Paesi ex-coloniali sembrano essere sempre meno attrattivi: un’influenza militare e politica quella della Russia e dell’Islam integralista, economico-tecnologica quella della Cina.
Russia e Cina, sostanzialmente saldate da comuni interessi di contrasto all’Occidente, sono diventate quindi, insieme ad altre potenze come l’India, il Brasile e il Sudafrica, tutte caratterizzate per un forte passato anti-imperialista e anti-coloniale, il polo di attrazione di un nuovo ordine multipolare che si propone come un’autentica novità per i Paesi terzi, anche se sarà da vedersi come questo potrà essere il motore di un reale sviluppo e non una nuova egemonia su questi Paesi.
Di fatto la distanza di questi mondi con l’Occidente è così grande da rivelare una profonda incomunicabilità. Il processo di globalizzazione da solo non basta ad allontanare la reciproca incomprensione su aspetti cruciali, mettendo in discussione la visione ideale in un unico sistema economico e quindi politico.
L’unica via dell’Occidente, superata la fase critica del colonialismo e dei suoi antefatti storici, passa da una considerazione meno egocentrica delle relazioni internazionali, frutto di una pretesa illuminista che gli impedisce di accettare visioni diverse da quella del proprio sistema di valori: non solo il dialogo è così impossibile, ma ancora più in crisi è il principio di realtà e quindi la capacità di giudicare la complessa situazione odierna nella totalità dei suoi fattori, rendendo impraticabile l’unica via, quella della cooperazione nella diversità delle culture, e aprendo sempre più fronti di conflitto nelle aree di crisi.
Immagine di apertura: Gandhi guida la famosa marcia del sale (1930), Wikimedia Commons