Attivismo elettorale, scelte discutibili, sondaggi – e test: l’ultimo in Portogallo – preoccupanti, nell’ottica dell’integrazione: l’Unione europea è in fermento, presa in un vortice di iniziative politiche ed economiche verso il voto (tra il 6 e il 9 giugno) per il rinnovo del Parlamento europeo e il rinnovo (tra l’estate e l’autunno) di tutte le cariche istituzionali per il quinquennio 2024/’29.
L’ultima trovata è l’impegno a dare 7,4 miliardi di euro di aiuti all’Egitto, un Paese sotto la ferula d’un generale golpista, Abdel Fattah al-Sisi, mandante morale dell’assassinio di Giulio Regeni e protettore degli esecutori materiali. Che cosa non si fa per tenere lontani dalle patrie “sacre sponde” i migranti, quelli che Donald Trump, sodale politico dei peggiori leader europei, considera “animali”.
E che cosa non si fa per acquisire voti che vengano buoni quando il Parlamento europeo dovrà dare la sua investitura al nuovo presidente della Commissione europea per il quinquennio 2014-2029, ruolo cui Ursula von der Leyen s’è già candidata con l’avallo pesante del Partito popolare europeo.
Domenica scorsa 17 marzo, UvdL, scortata da alcuni pochi leader europei, fra cui il premier belga Alexander De Croo, e la premier italiana Giorgia Meloni, ha suggellato con al-Sisi un accordo per frenare l’immigrazione dall’Egitto, da dove, ora, non parte quasi nessuno. L’Ue fornirà 7,4 miliardi di euro di aiuti fino al 2027 per rilanciare l’economia e contribuire a gestire i flussi di migranti. Giuseppe Acconcia critica su Huffington Post la mossa, notando che “l’Ue va alla corte di al-Sisi, che non è più come ai tempi di Regeni, ma è peggio”.
L’Ue torna alle scelte, elettoralmente magari redditizie, ma devastanti dal punto di vista sociale e dei diritti umani, degli accordi con la Turchia perché si tenga i profughi siriani in accampamenti lungo il confine o di quelli – tutti italiani – con la Libia, perché blocchi la partenza dei barconi (senza troppo curarsi di torture ed estorsioni cui i migranti fin lì giunti sono esposti). E l’Ue avalla l’illusione che patti come quelli con la Tunista e adesso con l’Egitto siano un freno all’emigrazione (e non, piuttosto, un aiuto a regimi repressivi e autoritari).
Da quando è in campagna per un secondo mandato alla guida della Commissione europea, cioè almeno dalla scorsa estate, von der Leyen, forte adesso dell’investitura del Ppe, fa scelte che sembrano essenzialmente finalizzate non a portare avanti l’integrazione, ma piuttosto ad assicurarle il consenso necessario a essere confermata. Eppure la concorrenza non è particolarmente agguerrita: i socialisti candidano l’attuale commissario agli Affari sociali, il lussemburghese Nicolas Schmidt, e i verdi scelgono due eurodeputati, la tedesca Terry Reintke e l’olandese Bas Eickhout; i liberali s’astengono, puntando a portare a capo della diplomazia europea la premier estone Kaja Kallas. Conservatori e sovranisti studiano come diventare influenti sulle scelte dell’Unione: cosa che, nell’attuale legislatura, è loro raramente riuscita.
Nei discorsi programmatici, von der Leyen dice che l’Ue deve mantenere la sua democrazia “sana e sicura”, mentre la Russia rielegge con un plebiscito Vladimir Putin a un quinto mandato e gli Usa rischiano di rimandare alla Casa Bianca l’imprevedibile e inattendibile Donald Trump, uno che mette il suo ego sopra ogni cosa.
I sondaggi danno in ascesa i sovranisti di Marine Le Pen in Francia (ma non quelli della Lega loro alleati in Italia) e i conservatori di Meloni in Italia (ma non i loro alleati in Polonia e Spagna). L’esito del voto in Portogallo promuove la destra, senza troppo penalizzare i socialisti, ma vede, soprattutto, un balzo in avanti dell’estrema destra. E, in Germania, i neo-nazisti di AdF vengono ‘stoppati’ dall’avanzata di un nuovo partito di sinistra guidato da Sahra Wagenknecht. Queste, almeno, alcune proiezioni di Europe Elects per Euractiv.
In Italia, la partita delle europee non si gioca per coalizioni, ma è un ‘tutti contro tutti’, specialmente un ‘Lega contro Fratelli d’Italia’, perché si prevede che i rapporti di forza del 2019 fra i due partiti siano rovesciati. Così, il leader della Lega Matteo Salvini antagonizza le mosse di Meloni: esclude, ad esempio, un voto per UvdL, mentre Meloni coltiva l’amicizia con l’ex ministro della Difesa tedesco.
Salvini insiste “per una maggioranza senza i socialisti” in Europa (e, fin qui, Meloni ci può stare), ma spara anche ad alzo zero contro il Ppe e von der Leyen, soprattutto per quelle che definisce “politiche folli pseudo-green” – la nuova frontiera negazionista delle scelte ambientaliste alimentata dalle proteste contadine -. Come se un pianeta arido e torrido giovasse all’agricoltura.
La frenesia elettorale non favorisce scelte a medio e lungo termine, ma porta a pecette sui migranti, l’energia, il clima; e riduce la prospettiva dell’Unione della Difesa, che le guerre alle porte rendono attualissima, a un’Unione dell’industria degli armamenti. Nel sostegno all’Ucraina, si leggono venature di stanchezza: da una parte, le scaramucce di retroguardia dei coltivatori polacchi contro l’import di cereali ucraini; dall’altra, le fughe in avanti del presidente francese Emmanuel Macron, che evoca l’eventualità di presenze della Nato in Ucraina (gli altri leader occidentali frenano; Putin, neo-rieletto, avverte che sarebbe la Terza Guerra Mondiale, un conflitto nucleare).
Sul fronte delle iniziative europeiste, di buona volontà, anche se prevedibilmente di scarso impatto, c’è in Italia un appello di federalisti ai partiti perché candidino nelle loro liste almeno un cittadino europeo non italiano ma residente in Italia. Nell’appello, il gruppo di federalisti spiega: “L’obiettivo è di contribuire a rafforzare i legami fra i nostri Paesi nel comune interesse di tutti noi cittadini europei. Una personalità che sia residente ed abbia operato nel nostro Paese mostrando competenza e spirito di collaborazione sarà sicuramente in grado di promuovere azioni di comune progresso e reciproca comprensione all’interno dell’Unione”.
È già successo in passato e anche di recente. Jiri Pelikan, protagonista della Primavera di Praga, ed il politologo francese Maurice Duverger furono eletti a Strasburgo in liste italiane rispettivamente nel 1979 e 1984 il primo e nel 1989 il secondo. E, nel 2019, Sandro Gozi, attualmente presidente dell’Unione europea dei federalisti e del Gruppo Spinelli dell’Assemblea comunitaria, venne eletto in Francia.
Scelte del genere sarebbero significative soprattutto nella prospettiva di un Parlamento europeo “chiamato a svolgere un ruolo fondamentale nella prossima legislatura, valutando come procedere alla riforma dei trattati dell’Unione in senso sempre più unitario”. Ma non è affatto detto, anzi non pare proprio, che abolizione dell’unanimità, rafforzamento dell’Unione politica e creazione dell’Europa della Difesa siano le stelle polari delle campagne elettorali delle forze politiche in Italia e altrove nell’Ue.
Foto di apertura: “The plenary chamber of the European Parliament during the European Elections” del European Parliament licenza CC BY 2.0.