Luogo comune: le sale teatrali, dai tempi del Covid, non sono mai state affollate come in questa stagione 2023-2024? Affollate sì, ma di cosa? Di scarsissima qualità. Con il teatro inteso solo come sede fisica, come cornice dello spettacolo e non come quadro/contenuto. Si può stimare Marco Travaglio per le sue battaglie su Il Fatto, ma vederlo replicare in palcoscenico le querelle che alimenta quotidianamente sulla propria testata o, per un pubblico più vasto, in televisione, vuol dire solo trasformare una visione e una missione in un overdose di contestazioni. Tutto meno che teatro in senso letterale. Pensavamo che non avremmo fatto in tempo a vedere tanti attori dilettanti di vasta popolarità riempire i cartelloni richiamando persino il tutto esaurito. Ha buon gioco il Teatro Argentina quando, riesumando un testo di 13 anni fa di Lucia Calamaro (nel teatro nulla si crea e nulla si distrugge, tutto si imita e si ripropone), chiama a recitare (parola grossa!) Concita Di Gregorio. Si può definire: efficace operazione mediatica oppure bieca strumentalizzazione del successo televisivo. C’è un efficace proverbio milanese che qui riproponiamo in italiano: “Pasticcere, fa il tuo mestiere!”. Ed è un bel pasticcio quando la guida Mirko Baldassarre ci propone l’improbabile sfida Michelangelo/Raffaello al Teatro Ghione. Quando i palinsesti teatrali si riempiono di cover. La PFM che rifà De Andrè è in realtà la cover di stessa. Ma vanno forte anche i replicanti dei Pink Floyd, di Rino Gaetano, di Franco Califano. No, grazie, a quel prezzo preferisco comprarmi un disco o un compact e gustarmi l’originale a casa mia. È la popolarità che contribuisce a staccare i biglietti della Siae e a coagulare incassi. E un pubblico di bocca buona cede alla lusinga, sedotto dalle bretelle rosse di Federico Rampini, dagli anatemi di Odifreddi, dal Gramsci riesumato da Gad Lerner.
Il finto teatro, per sopravvivere, scimmiotta la televisione che a sua volta imita il cinema in una commistione di generi che fa storcere la bocca ai puristi delle divisioni. Quelli che apprezzano un Pirandello o un Pinter non contaminati da ibridismi di maniera. Cicli e ricicli per strappare qualche biglietto in più al botteghino. Per la verità c’è anche chi, nel restyling, se la cava con dignità. Esempio: Barbara De Rossi, ripudiata da Mediaset, ha trovato nella commedia leggera una sorta di comoda scorciatoia dando discreta prova di attrice. Poi c’è il ripiego sui comici e la loro Stand up Comedy.
Non sono tutti Lenny Bruce, ma come non inchinarsi di fronte a Maurizio Battista che, con la sua comicità di grana grossa e da bar, riempie i teatri? Grandi incassi e costi limitatissimi. Non ci sono scenografie né costumi né compagnie. C’è un comico che al massimo si avvale di contributi video e di ritagli di giornale. Poi sta a lui mantenere viva e alta la tensione per due ore. Ovvio notare che questo trend ha le sue contropartite. Perché rende la vita difficile a centinaia di attori di sicuro mestiere che si trovano di fronte a una concorrenza nel merito sleale e non hanno alcuna arma per rispondere a questa controffensiva condotta con mezzi impropri. Del resto, i direttori artistici dei principali teatri nazionali mettono l’accento sul direttore più che sull’artistico perché devono soprattutto far quadrare i conti. E su questo versante non guardano troppo per il sottile.