Con il Trattato di Lisbona entrato in vigore a dicembre 2009, il Consiglio europeo dei Capi di Stato e di governo – di cui è membro a pieno titolo il Presidente della Commissione europea – è stato elevato al rango di una delle sette istituzioni europee (Parlamento europeo, Consiglio europeo, Consiglio, Commissione, Corte di Giustizia, BCE e Corte dei conti), così come era stato proposto dal progetto di Trattato approvato dal Parlamento europeo il 14 febbraio 1984.
In base all’art. 15 TUE, è il Consiglio europeo che “definisce gli orientamenti e le priorità politiche generali dell’Unione europea” pur “non potendo esercitare funzioni legislative” che sono di competenza del Parlamento europeo e del Consiglio (con alcune rilevanti eccezioni che lasciano al Consiglio la pienezza del potere legislativo con decisioni all’unanimità) e con il diritto quasi esclusivo di iniziativa legislativa alla Commissione europea.
Sappiamo tuttavia che, dal 2010 in poi, il Consiglio europeo si è arrogato diritti e poteri al di là e contro il Trattato soprattutto a scapito della Commissione europea e a danno dei conclamati equilibri fra le istituzioni con il silenzio assordante del Parlamento europeo
Dal 2009 le priorità strategiche sono state definite la prima volta da Herman Van Rompuy per il periodo 2010-2014 e poi dal 2014 al 2019, e quindi da Donald Tusk per il periodo dal 2019-2024: la prima vera “agenda strategica” fu adottata nel 2014 sotto la presidenza di Herman van Rompuy con l’idea che essa dovesse imporsi non solo alla Commissione, che sarebbe stata presieduta da Jean-Claude Juncker, ma anche al Parlamento europeo appena rieletto.
Secondo la stessa logica, in cui è totalmente assente il principio della cooperazione leale e la volontà di collaborazione interistituzionale fra istituzioni indipendenti fra di loro che rispondono a diversi titoli di legittimazione, Charles Michel ha avviato già nell’autunno 2023 a Granada l’elaborazione della “agenda strategica 2024-2024” con un processo che si concluderà nella riunione formale del Consiglio europeo del 27 e 28 giugno dopo una verifica del consenso nella cena informale dei Capi di Stato e di governo del 17 giugno con la ininfluente partecipazione della Presidente (uscente) della Commissione europea Ursula von der Leyen – che non può certo prendere impegni per la futura Commissione chiamata a far approvare il proprio programma quinquennale dal Parlamento europeo prima di entrare in funzione – e con la totale esclusione del Parlamento europeo che inizierà i propri lavori il 16 luglio eleggendo il nuovo Presidente e costituirà le commissioni durante la prima sessione plenaria.
Pubblichiamo qui in allegato il progetto della “agenda strategica” con la data del 12 giugno. Preavvertiamo le nostre lettrici e i nostri lettori che essa potrebbe subire delle variazioni intorno al tavolo del Palazzo d’Europa a Bruxelles dove si riunirà il Consiglio europeo il 27 e 28 giugno quando esso sarà chiamato contemporaneamente a proporre al Parlamento europeo a maggioranza qualificata un candidato alla Presidenza della Commissione o meglio la candidata (Ursula von der Leyen) e, con il suo accordo, l’Alto Rappresentante per gli affari esteri e la politica della sicurezza (Kaja Kallas). In questa stessa occasione vi è anche con la possibilità di trovare un accordo sulla personalità destinata a presiedere per due anni e mezzo lo stesso Consiglio europeo (Antonio Costa) confermando l’intesa fra i leader popolari, socialisti e liberali. Ciò con buona pace per Giorgia Meloni, che avrebbe voluto “ribaltare l’attuale maggioranza” annullando “accordi innaturali con le sinistre”, costringendola a un difficile slalom politico fra l’accettazione dell’accordo sui “top jobs” nel Consiglio europeo e un irrilevante voto di fiducia nel Parlamento europeo in cambio di un posto di vicepresidente nella nuova Commissione europea.
Vale la pena di sottolineare che, nonostante il mancato rispetto del principio della cooperazione leale e della volontà di collaborazione interistituzionale, il Consiglio europeo invita il Consiglio, la Commissione europea e il Parlamento europeo a mettere in opera le sue priorità “rispettando l’equilibrio istituzionale e i principi di sussidiarietà e proporzionalità”, impegnandosi ad approvare il quadro finanziario pluriennale (2028-2032) in coerenza con le priorità della agenda.
Scorrendo con attenzione le tre priorità dell’agenda (un’Europa libera e unita, un’Europa forte e sicura, un’Europa prospera e competitiva) ci si rende conto che il Consiglio europeo non assume alcun impegno preciso né all’interno dell’Unione per quanto riguarda le modalità del rafforzamento della democrazia europea e il ruolo dei cittadini né al suo esterno per quanto riguarda la riforma del sistema multilaterale internazionale.
La descrizione delle politiche comuni si fonda nello stesso tempo su un inconsistente trionfalismo (come quando si afferma che in materia di difesa europea sono stati fatti “coraggiosi passi in avanti”) o su generiche prospettive per il futuro senza seri impulsi relativi agli strumenti politici, istituzionali (e meglio costituzionali) e finanziari per realizzare le priorità strategiche.
È significativo, per sottolineare l’inconsistenza delle priorità strategiche, che l’agenda abbia ignorato totalmente il tema dei beni pubblici a dimensione europea, delle risorse pubbliche europee per garantirne la realizzazione – limitandosi a citare sia per l’industria della difesa che per la competitività il ruolo della Banca Europea degli Investimenti – e della necessità di rafforzare la politica di coesione economica, sociale e territoriale anche in vista dell’allargamento ai nuovi Paesi candidati.
Infine, solo trentacinque parole sono dedicate al futuro del sistema europeo come corollario del tema della preparazione di un’Unione più grande e più forte quando si afferma che “l’Unione si impegnerà a realizzare le riforme interne necessarie per assicurare che le politiche europee siano adatte al futuro e finanziate in modo sostenibile facendo sì che le istituzioni europee continuino a funzionare con efficacia”.
Noi siamo convinti che la risposta politica più realistica alla vacuità della agenda strategica del Consiglio europeo debba essere un consistente e ambizioso patto per legislatura fra la maggioranza europeista del Parlamento europeo, escludendo i due gruppi sovranisti e le sinistre euro-ostili, e la nuova Commissione europea con la collaborazione del Comitato Economico e Sociale e del Comitato delle Regioni in vista dell’apertura di una fase costituente al fine di mutare gli equilibri istituzionali a favore di un sistema più efficiente e più democratico.