António Costa, Roberta Metsola, Ursula von der Leyen: ecco il trio di attacco dell’Unione europea. Ad essere realisti: l’argine alle minacce che vengono da fuori e da dentro. Questo è il succo del discorso programmatico della rieletta Ursula von der Leyen alla guida della Commissione.
Le minacce esterne sono presto dette. Da febbraio 2022 la Russia di Putin da socio in affari, specie della Germania, è divenuta la nemica della democrazia e delle libertà, per una sorta di salto logico dall’aggressione in atto all’Ucraina all’aggressione potenziale all’Europa tutta. La Cina è classificata come avversario strategico, una zona grigia tra il concludere gli affari insieme e il correggere il tiro quando gli affari vanno a solo vantaggio della controparte. Il balzo verso l’ostilità si consumerebbe se Pechino sostanziasse l’assedio a Taiwan.
C’è poi una minaccia che non può essere definita tale, siamo amici e alleati inossidabili da troppo tempo per parlarne, e viene da Washington. Ha il nome di Donald Trump, il vecchio Presidente che si appresta a diventare il nuovo. Sempre che i sondaggi e le aspettative sempre più diffuse dicano il vero. E d’altronde la salute cagionevole del Presidente Biden, nonché la sua titubanza fra l’insistere e il lasciare, lascia il campo democratico scoperto ed espone qualsiasi candidato alternativo, persino la vagheggiata quanto riluttante Michelle Obama, alla mercé del rivale.
Roberta Metsola torna sullo scranno più alto di Strasburgo, grazie a un voto plebiscitario. A dimostrazione che il suo essere donna, maltese, Popolare giova al reincarico quanto la sua sagacia nel guidare l’Assemblea.
La nomina di Costa è affare interno al Consiglio europeo, consegna ai Socialisti e Democratici una carica mai da loro avuta. L’incarico si riempie di contenuti in funzione della personalità di chi lo copre e dello spazio che i Capi di Stato e di Governo dei Ventisette gli lasciano. Occorre una buona dote di mediazione per muoversi fra il rango del protocollo e l’efficacia dell’azione politica.
Ursula von der Leyen, tedesca e Popolare, torna al Berlaymont sulla scorta di un voto largamente maggioritario. Vota per lei il fronte europeista di Popolari, Socialisti e Democratici, Liberali, cui si aggiunge all’ultimo il Gruppo dei Verdi. Quest’ultimo è conquistato alla causa dal discorso ambientalista della Presidente. I primi cento giorni del mandato saranno esercitati a favore del Green Deal. Non è più “New” come nel primo mandato per essere rimodulato a favore delle categorie sociali più colpite dalla transizione ecologica.
Votano contro i Gruppi alle estremità dello schieramento parlamentare. Fa notizia il rifiuto di ECR e, al suo interno, di Fratelli d’Italia, dopo che in Consiglio europeo la Presidente Meloni si era astenuta sulla designazione di Ursula.
Colpisce nella dichiarazione stampa del capo delegazione FdI il richiamo al “peso delle nazioni” quando Ursula assegnerà i portafogli dei Commissari. Nel linguaggio interno la parola Nazione sta rimpiazzando quella di Paese. In seno all’Unione non si menzionano le Nazioni ma gli Stati membri. Questa è la dizione corretta, l’Italia dovrebbe esserne orgogliosa in quanto Stato membro fondatore della Comunità e depositaria dei Trattati di Roma. L’essere in minoranza in un passaggio cruciale non rispecchia la nostra tradizione e, senza falsa modestia, il nostro blasone.
Il modo per recuperare ci sarà al momento, appunto, della ripartizione dei portafogli in seno al Collegio e nell’attuazione del programma. Nelle dichiarazioni della Presidente, l’azione sarà improntata alla tutela dei comuni valori fondanti. Una loro interpretazione involutiva è possibile. Va contrastata per rinvigorire il senso di appartenenza presso i cittadini: verso il patriottismo europeo.
Il Primo Ministro britannico, in accordo con il Re, vorrebbe riallacciare i rapporti con l’Unione. Non il ripudio del recesso, ma la collaborazione costruttiva in settori fondamentali quali la sicurezza e la difesa. La sua lettura dei fatti internazionali è ampiamente vicina alla nostra, ci sarebbe lo spazio per l’intesa specie lungo il classico asse britannico-francese. Anche Londra guarda a Washington.