“Da regina a imperatrice”: questa, per Politico, l’evoluzione di Ursula von der Leyen. La presidente della Commissione europea presenta al Parlamento europeo la sua nuova squadra: lei ne emerge come ‘donna forte’ in un insieme di collaboratori che ha meno spessore di quello precedente, fatto di suoi fedelissimi e di neofiti, il profilo di alcuni dei quali non è particolarmente impressionante.
La ‘Uvdl 2’, meno zeppa di ex premier ed ex ministri della ‘Uvdl 1’, saprà gestire i dossier decisivi ma divisivi del prossimo quinquennio? La democrazia minata da democrature illiberali, i migranti, la sicurezza in un tempo di guerre, il cambiamento climatico? E saprà reggere il timone dell’Unione mentre i Paesi guida, la Francia e la Germania, vivono una crisi politica e altri Paesi fondatori, l’Italia e l’Olanda, conoscono sbandamenti sovranisti?
I primi test: Ucraina e migranti
I primi test sono già arrivati, sull’Ucraina e i migranti. Giovedì 19 settembre, il Parlamento europeo ha votato a larga maggioranza (425 sì, 131 no, 63 astensioni) una risoluzione non vincolante, in cui afferma che l’Ucraina deve essere in grado di colpire obiettivi militari legittimi in Russia e che, quindi, le attuali restrizioni all’uso dei sistemi d’arma occidentali vanno abolite. Fin quando restano in vigore, “l’Ucraina non può esercitare pienamente il suo diritto all’autodifesa e rimane esposta ad attacchi contro la popolazione e le infrastrutture”.
Il voto crea divisioni nei gruppi parlamentari e nelle delegazioni nazionali. Gli eurodeputati italiani sono per lo più contrari alla risoluzione, con qualche distinguo nel Pd e in FI. L’Italia, del resto, come altri Paesi, è contraria all’utilizzo delle armi occidentali in territorio russo. I governi dovranno ora cercare, nel Consiglio dei Ministri dell’Ue e poi in dialogo con gli Usa alla Nato, un punto d’incontro.
La risoluzione chiede il rispetto degli impegni assunti dai 27 con l’Ucraina in materia di armamenti e munizioni e di “mantenere ed estendere la politica di sanzioni contro la Russia, la Bielorussia e Paesi e entità non appartenenti all’Ue che forniscono alla Russia tecnologie militari e a doppio uso”, fra cui l’Iran e la Corea del Nord. E la pace? Qui siamo al minimo sindacale: c’è l’invito ai governi “a lavorare per ottenere il più ampio sostegno internazionale possibile all’Ucraina e per individuare una soluzione pacifica al conflitto”.
Fronte migranti, i recenti passi della Germania, che ha sospeso Schengen, e dell’Olanda, che vuole potersi sganciare dal Patto Ue sulla migrazione e l’asilo, rendono ancora più difficile la definizione d’una linea europea. Il leader xenofobo olandese Geert Wilders prospetta una “mini-Nexit”, nonostante le remore di Bruxelles sulla richiesta dell’Aia.
‘Uvdl 2’ e gli errori di parallasse Draghi e Fitto
Leggere gli esordi della ‘UvdL 2’ in ottica italiana espone a due errori di parallasse, che per sintesi chiameremo Draghi e Fitto. Il primo errore consiste nel sovrastimare l’impatto del grosso rapporto sulla competitività presentato dall’ex premier italiano, ed ex presidente della Banca centrale europea, oltre che ex governatore di BankItalia, Mario Draghi. In Italia, se ne parla molto; altrove, molto meno.
La validità del rapporto non è in discussione: l’analisi è precisa, le ricette radicali e coraggiose. Ma il rischio di documenti del genere è di finire in un cassetto e di restarci, come è appena capitato all’altro rapporto di un ex premier italiano, Enrico Letta, sul completamento del mercato unico: presentato prima dell’estate, attende che il nuovo commissario al mercato interno lo legga, se vorrà farlo.
Intendiamoci! La sorte del rapporto di Draghi non è segnata: se dentro c’è qualcosa di funzionale alle priorità di von der Leyen o ai disegni di uno o più governi di peso, allora qualche input potrà essere raccolto. Anche se contro l’idea di mettere in comune il debito per stimolare la competitività dell’Europa ‘frugali’ e sovranisti hanno già alzato le barricate.
Per il Parlamento europeo, il rapporto è la base per la nuova legislatura, ma il nodo è quel che ne dirà il Consiglio dei Ministri dell’Ue: popolari, socialisti, liberali e verdi esprimono apprezzamento; a popolari e conservatori piacciono, soprattutto, le misure a sostegno delle imprese.
Una trappola può essere il fatto che il documento di Draghi, accanto a considerazioni valide e condivisibili, si presta a una lettura ‘negazionista’ del problema del cambiamento climatico. L’ha già fatta la premier italiana Giorgia Meloni: parlando alla Confindustria, promette di rivedere “il disastroso” Green Deal europeo, basato su “un approccio ideologico” e che rischia “di portare alla deindustrializzazione”. Nelle stesse ore, parlando a Long Island, Donald Trump faceva credere al suo uditorio di inutili idioti che il pianeta si sta raffreddando e che tutta ‘sta storia del riscaldamento globale è una fanfaluca.
Il secondo errore sta nel credere al racconto governativo del ruolo attribuito al commissario italiano Raffaele Fitto, cui spetta una delle sei vice-presidenze – l’Italia ne ha sempre avuta una, tranne che nell’ultimo esecutivo, dove però aveva il portafoglio più pesante, l’economia. Di concreto, Fitto ha ben poco in mano, a parte la gestione del Recovery Fund, che in italiano si scrive Pnrr e che è materia essenzialmente italiana, essendone l’Italia di gran lunga la maggiore beneficiaria.
Pur avendo come vice-presidente il coordinamento della coesione e delle riforme, Fitto dovrà sempre coordinarsi coi commissari competenti sulle singole materie – quello dell’economia è un osso duro, il lituano Valdis Dombrovskis –, che non riferiranno a lui, ma direttamente a UvdL. La presidente ha certamente tenuto conto delle riserve di socialisti, liberali e verdi sull’assegnare un potere eccessivo all’esponente di un partito fuori dalla maggioranza europeista.
L’esultanza governativa per le sue deleghe appare, dunque, eccessiva. Nell’opposizione, c’è chi dubita delle credenziali europeiste del neo vice-presidente e chi come Alessia Morani scrive argutamente sui social: “Assistiamo al paradosso di un commissario alla coesione che in Italia sostiene lo spezzatino istituzionale dell’autonomia differenziata. Surreale!”.
‘UvdL 2’: cifre e volti della nuova Commissione
Lasciamo in un canto screzi e ritardi che hanno segnato l’allestimento della nuova Commissione: lo slittamento d’una settimana della presentazione al Parlamento europeo è una quisquiglia; le beghe slovene per la sostituzione di un commissario in corsa pure; i lai di UvdL perché le donne sono meno di quante lei auspicava anche. E i tira e molla con l’Italia per le deleghe a Fitto ricalcano quelle con molti altri Paesi.
L’unico fatto saliente, che mostra che von der Leyen vuole gestire questa sua seconda Commissione da ‘padre padrone’, è la fulminea conclusione della ‘querelle’ con Thierry Breton, che esce di scena dall’alba al mattino e lascia il posto all’ex ministro degli Esteri francese Stéphane Sejourné, per cui il presidente Emmanuel Macron ottiene, senza colpo ferire, le attribuzioni desiderate, industria e tecnologia.
Politicamente, la composizione dell’Esecutivo conferma la svolta al centro delle istituzioni europee, con il Ppe che, oltre alle presidenze di Commissione e Parlamento, ha pure 14 commissari su 27. Ci sono cinque liberali, quattro socialisti e quattro membri di partiti fuori dalla maggioranza europeista dell’Assemblea Ue, l’ungherese, il ceco, lo slovacco e l’italiano.
Undici donne e sedici uomini, nuovi portafogli come la delega per il Mediterraneo e quella, un po’ vuota per ora, per la Difesa. “Ogni membro è uguale agli altri”, ricorda von der Leyen. Ma, come nella fattoria di Orwell, qualcuno è più uguale degli altri: balza agli occhi il peso della spagnola Teresa Ribera, socialista, primo vice-presidente, che ha ambiente e concorrenza, materia in cui Bruxelles ha un potere enorme. Molto forte il trio baltico, con Kaja Kallas, ex premier estone, liberale, a capo della diplomazia europea, vice-presidente e presidente del Consiglio dei Ministri degli Esteri, il lettone Dombrovskis, Ppe, all’Economia e il lituano Andrius Kubilius, pure Ppe, alla difesa.
Adesso, i commissari designati devono affrontare l’esame del Parlamento. Secondo Politico, alcuni di essi rischiano la bocciatura, ma fra i più esposti non vi sarebbe Fitto: nel dargli le deleghe, UvdL ha già tenuto conto dei malumori di socialisti, liberali e verdi per un suo ruolo eccessivo. I cinque più a rischio di essere impallinati sarebbero l’ungherese, per avversione generalizzata al premier Viktor Orban, e il maltese, per povertà di curriculum, oltre che, per scandali pregressi, la belga, che pure è un ministro degli Esteri, la bulgara e la slovena.