Per dare letture non banali al voto americano, aiuta forse una frase di Aleksandr Dugin, teorico della destra russa ed autorevole esegeta del Cremlino: “Gli americani volevano qualcuno come Putin, capace di sconfiggere il deep state depravato e satanista”.
Cosa intende Dugin per “deep state”? Intende la consorteria dei poteri non istituzionali che condizionano l’agenda del futuro, a prescindere dalle strategie politiche degli Stati.
Cinico paradosso, posto che l’artefice principale della vittoria di Trump è Elon Musk, Re Assoluto di un inaudito potere tecnologico e finanziario globale. Chi più di lui può rappresentare il “deep state”? Non certo le star di Hollywood e le regine dei social mobilitate da Kamala Harris, il cui effetto sul popolo è stato insignificante, come era prevedibile.
Ma la narrazione vincente è questa, in America e altrove: larga parte del popolo, impaurito e impoverito nelle sue aspettative, ad essa si affida. La Storia si ripete.
La globalizzazione senza regole – sostenuta con superficialità e messianica fiducia dalle Amministrazioni Democratiche, Clinton in primis – anziché far crescere la democrazia politica e la libertà economica nel mondo, ha prodotto l’indebolimento dei ceti medi in Occidente e fatto crescere il potere di pochi oligarchi. I quali oggi indirizzano e galvanizzano il popolo contro il “Potere”, quello tradizionale delle democrazie liberali, sapendo bene di essere loro il vero “Potere” nuovo. Che prescinde dalla “Politica” intesa come missione di guidare il popolo secondo saggezza e giustizia.
Una perversa narrazione che aveva però bisogno di una maschera per dissimulare il suo vero volto: la transizione alla “post democrazia”. Aveva bisogno di uno strumento di “distrazione di massa”.
Ecco la ragione delle parole di Dugin: deep state “depravato e satanico”.
Si inalbera il vessillo dei “valori tradizionali” (peraltro non praticati affatto nella vita pubblica e privata dai personaggi in questione, anzi), con venature “religiose” che rasentano l’eresia.
Ha detto Trump, dopo il fallito attentato: “Dio mi ha salvato per fare grande l’America”.
Al catechismo ci insegnavano che la Provvidenza ha ben diverse categorie di intervento nella storia. Ma tant’è. Questa è l’aria che tira. Altro che Papa Francesco con le sue encicliche ed il suo magistero per un “nuovo umanesimo”!
E Putin, mentre continua imperterrito la sua guerra di aggressione all’Ucraina, ha dichiarato: “È in atto una lotta per un nuovo ordine internazionale”. E, qualche mese fa: “La democrazia liberale è finita”.
Trump ha ricevuto la benedizione dell’indegno Monsignore cattolico Viganò; Putin quella del Patriarca Ortodosso di Mosca Kirill, che ha santificato la guerra in Ucraina come forma per difendere i valori della “civiltà cristiana”.
I massacratori di Hamas e i terroristi di Hezbollah hanno quella dei capi fondamentalisti islamici. I coloni estremisti israeliani in Cisgiordania quella di molti rabbini ebraici ultraortodossi.
Il sonno della politica genera i mostri del nazionalismo e dell’integralismo violento.
Essi sono tuttavia la maschera (attrattiva per larga parte del popolo) di una inedita e pervasiva strategia di concentrazione del potere politico, tecnologico, finanziario ed economico, che usa l’esca identitaria per i suoi scopi e si organizza ormai su scala globale, col mantra del “nemico”, interno o esterno. La Storia si ripete, appunto.
Molti politici e governanti, in Italia ed in Europa, sono felici di questa svolta trumpiana degli Stati Uniti. Come chi ballava serenamente sul Titanic mentre l’iceberg era in arrivo. Pensano forse che, nello sfacelo della democrazia occidentale, basta accovacciarsi come un cane fedele al banchetto dei nuovi potenti. Si sbagliano di grosso. Il nuovo assetto del mondo che si profila non è cosa per pavidi, se ancora si vogliono far crescere i valori della migliore storia dell’Occidente, pur nella piena coscienza dei nuovi paradigmi della Storia.
Per l’Europa, in particolare, è il tempo di uno scatto in avanti. Costoso, difficile, complicato fin che si vuole: ma di importanza vitale per il suo futuro democratico, sociale ed economico.
L’Europa non può essere fuori dalle trattative per la fine della guerra in Ucraina (secondo il principio di una pace giusta per chi è stato aggredito); non può non essere garante del futuro dei molti Paesi dell’Est che – dopo aver scelto i valori europei – rischiano di essere riassorbiti nel neo-imperialismo russo; non può non essere protagonista della costruzione dei nuovi equilibri nel Mediterraneo e nel Medio Oriente; non può non farsi promotrice di una strategia di lungo periodo verso l’Africa, ben oltre i flebili progetti del cosiddetto “Piano Mattei” del governo italiano. E non può non cercare una sua via da protagonista nei molti campi indicati nei rapporti di Mario Draghi e di Enrico Letta, recentemente presentati e sostanzialmente snobbati da molti governi della UE.
Diversamente, l’Europa non esisterà più come entità geopolitica. Con tutto ciò che questo comporta su ogni piano: quello della libertà e della democrazia e quello della competitività economica compresi.