Tentiamo per una volta di immaginare il dopo. Tentiamo di pensare al continente europeo, alle nostre vite, a quelle dei nostri figli e dei nipoti dopo questo enorme sconvolgimento politico, economico e sociale che il conflitto in Ucraina ha causato e sta causando con tutto il suo colossale potenziale distruttivo. Il Presidente Trump pochi giorni dopo il voto che lo ha riportato alla casa Bianca veniva visto in Russia quasi come un “uomo della Provvidenza”. Ero stato a Mosca in quei giorni e nei discorsi della gente comune la rottura degli equilibri politici a Washington veniva vista come elemento nuovo che poteva in qualche modo favorire un capitolo di dialogo con l’Occidente e la fine di una guerra oggetto ormai di attenzione solo da parte della propaganda ufficiale e dei media televisivi. Una guerra percepita nei disagi del vivere comune , quando ad esempio si interrompe il traffico aereo per incursioni di droni ucraini o la borsa della spesa si fa più esigua per la crescente inflazione o i sempre più frequenti lutti si manifestano nelle famiglie per la perdita di congiunti al fronte.
Ma Putin e Trump non potevano trovare facilmente linguaggi comuni. Nella visione del Presidente americano , l’ancoraggio di Kiev all’Occidente e comunque l’aspirazione dell’Ucraina ad entrare nella NATO era in qualche modo sacrificabile sull’altare di una “ nuova partnership globale” con la Russia che in qualche modo erodesse l”amicizia storica” con Pechino, andatasi cementando in questi anni di conflitto.
Per Putin il rapporto con Washington, un rapporto che ha riscoperto e proposto Trump, è una nemesi storica. Putin con la sua storia politica esemplifica la riscossa dei russi dopo “il decennio delle umiliazioni degli anni ’90 ” patite ad opera dell’Occidente . A partire dal celebre discorso di rottura alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco nel 2007 , il Presidente russo ha dato la stura a quel revanscismo che covava da tempo nella società russa . Ha interpretato il desiderio di rivalsa della maggioranza dei russi, quel misto di frustrazione ed orgoglio nazionale che è finora gli è valso l’appoggio della maggioranza della popolazione.
Ma entrambi hanno per ora fallito i loro obiettivi. Il rapporto di Putin con Xi è sempre molto saldo e recenti dichiarazioni del Ministro degli esteri cinese Wang Yi, che ha escluso la possibilità che la Russia possa perdere la guerra perché ciò andrebbe contro gli interessi strategici della Cina, dimostra come Pechino continui a godere di una rendita di posizione dal conflitto in Ucraina. Aumenta la dipendenza e la sudditanza dell’economia russa dal grande spazio economico cinese e gli USA si mantengono in qualche modo impegnati su scenari (Ucraina, Medio Oriente e Golfo Persico ) senza essere in grado di aumentare la pressione sulla regione del Pacifico . Trump ha ondeggiato tra impegno e disimpegno in Ucraina , non ha allontanato Putin dall’alleato e grande sponsor Xi , lasciandogli peraltro ampio spazio di manovra in Ucraina.
Putin non è pero’ riuscito ad ottenere una “Caporetto” dell’armata ucraina in una delle tante aree del vastissimo campo di battaglia, né l’auspicato ricambio dell’attuale dirigenza ucraina compattamente ostile a Mosca . Segnali di stanchezza anche dei russi (oltre che degli ucraini) per uno sforzo bellico che non è più compreso sono evidenti e la stessa propaganda del Cremlino è meno insistente , quasi a fare dimenticare , almeno nelle grandi città, il conflitto. L’”operazione speciale” di liberazione delle popolazioni di lingua russa del Donbass da un regime nazista secondo la definizione degli strateghi del Cremlino si è invece gradualmente trasformata in una guerra di aggressione della Russia all’Ucraina ed ora in un lungo conflitto di logoramento , senza delle finalità precise e senza la possibilità per il Presidente russo di ricorrere alla coscrizione obbligatoria, che inevitabilmente creerebbe ampio malcontento nella popolazione .
L’immobilismo politico e diplomatico dell’Europa è una realtà evidente e si arriverà primo o poi ad una cessazione delle ostilità. Forse l’esito potrebbe essere disastroso: una soluzione coreana con gli eserciti attestati lungo una linea provvisoria di demarcazione che manterrebbe inevitabilmente un latente stato di tensione nel continente . Questa è una possibilità concreta perché sfiducia tra le classi dirigenti, livore e pregiudizi sembrano costituire la caratteristica prevalente. La Russia ha peggiorato in maniera forse irreparabile – almeno fino a quando a Mosca governerà Vladimir Putin – la già deteriorata immagine di quel grande Paese. Pare remota la possibilità che con gli attuali assetti della Commissione UE, saldamente controllati dai Paesi dell’area Nord Orientale , possa riprendere un dialogo a tutto campo con la Russia come avveniva solo pochi anni fa . La Russia è tornata a far paura ma nell’epoca della Cortina di ferro c’erano strumenti politici e diplomatici di dialogo e controllo trai due blocchi stabiliti con gli accordi di Helsinki del 1975 e l’Europa occidentale poteva contare sul solido ombrello americano. Trump ha messo le classi dirigenti europee bruscamente di fronte alle loro responsabilità e gli automatismi nella difesa dei Paesi NATO previsti dall’articolo 5 del Trattato transatlantico non sembrano più pienamente garantiti.
In queste circostanze per l’Europa rimangono tre strade obbligate per il dopo conflitto. Tre strade che dovrebbero essere percorse parallelamente con decisione e autorevolezza: forte impulso ad una riforma istituzionale dei meccanismi decisionali europei per cancellare gli anacronistici unanimismi nell’approvazione di indifferibili politiche comuni, coordinamento e crescita di una forte deterrenza militare europea che metta al riparo i cittadini e le conquiste in ambito politico, economico e sociale maturate in decenni dal vecchio continente, apertura di un negoziato multilaterale con la Russia per la creazione di un nuovo sistema di sicurezza in Europa. Quando le circostanze politiche lo permetteranno, si dovrà negoziare con Mosca, forse con questa stessa dirigenza che governa oggi dal Cremlino. Non è più sufficiente voltarsi dall’altra parte limitandosi all’introduzione di sanzioni alla Russia e alle forniture militari all’Ucraina, in modo che i soldati di Kiev continuino ad assicurare con i loro sangue la difesa dell’Europa. Abbiamo finora tentato di riportare Putin al tavolo delle trattative con le sanzioni. Non ha funzionato. I principali leader europei devono assumere una forte iniziativa politica e diplomatica nei confronti di Mosca perché’ è ormai evidente che questa guerra non riguarda più solamente la sopravvivenza politica dell’Ucraina e la sua appartenenza alla famiglia delle democrazie occidentali ma riguarda l’Europa intera , la sua sicurezza, la credibilità’ in ambito internazionale, il futuro dei suoi cittadini. Sono questioni non più delegabili né agli alleati americani, nè agli ucraini che resistono valorosamente ad una guerra di aggressione. Le iniziative per la ricostruzione dell’Ucraina , efficacemente guidate dall’Italia nella recente conferenza internazionale svoltasi a Roma , costituiscono importanti segnali di unanime compattezza dell’Occidente a fianco di Kiev ma , sul piano concreto , rischiano di non avere seguiti di apprezzabile rilevanza fino a quando questo disastroso conflitto sarà in corso.
Che si arrivi ad una conclusione fragile e provvisoria secondo il modello coreano o ad un negoziato globale che definisca criteri di sicurezza in Europa rispondendo alle esigenze di Kiev ma anche di Mosca, le principali capitali europee dovranno comunque prendere atto di un grande mutamento in corso che dovrà’ in qualche modo essere gestito. Trump e la sua linea di politica estera nei confronti dell’Europa costituiscono i segnali concreti di un rapporto nuovo che le capitali europee dovranno definire con Washington. Da tempo non condividiamo le stesse priorità’ in ambito economico con gli USA e la guerra dei dazi inaugurata dalla nuova amministrazione americana ne sono una dimostrazione evidente. Ma questo vale anche in ambito politico: non è più un segreto che gli USA attribuiscano da anni la massima priorità agli assetti di sicurezza e delle opportunità di crescita economica all’area del Pacifico.
Sul piano economico ma anche politico l’Europa si dovrà quindi muovere senza timidezze o complessi giocando una partita a tutto campo di rinnovata partnership sia nei confronti dei Paesi del Mercosur, che in Africa , che in Medio Oriente. Ma è il dialogo Euro-Asiatico (che passa necessariamente anche da Mosca) che bisognerà anche recuperare perché è pericoloso, artificioso e politicamente oltre che economicamente controproducente riprodurre una cortina di ferro tra la Russia e l’Europa. Lo avevano capito Willi Brandt , Helmut Schmidt, Angela Merkel, Romano Prodi, Silvio Berlusconi, Jaques Chirac. Lo dovranno capire le classi dirigenti europee e lanciare – quando sarà possibile – messaggi di rinnovato dialogo a Mosca dove il dibattito tra liberali, favorevoli ad un approccio tecnocratico e di nuova apertura all’Occidente e conservatori, fedeli ad un anti-storica linea filo cinese non si è esaurito. Washington, tra mille difficoltà, si sta muovendo in questa direzione. Le principali capitali europee dovranno trovare una loro linea comune .
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