“Allo spuntar del giorno ci trovavamo nelle paludi Pontine, che non hanno quel triste aspetto comunemente descritto dai romani”. Così scriveva quasi 200 anni fa Goethe, mostrando di non disprezzare il paesaggio. Un paesaggio forse romantico, ma scarsamente produttivo, per non dire della zanzara malarica che imperversava seminando morte e desolazione.
Bisognerà attendere gli anni trenta del ‘900 per assistere, con la Bonifica, alla modernizzazione economica della zona. Una Bonifica definita integrale perché intervenne su tre livelli: quello sanitario, con la lotta alla malaria; quello l’idraulico, con il prosciugamento di 72000 ettari; e infine quello agricolo, con l’appoderamento di circa 26.000 ettari.
Le paludi tanto romantiche quanto mefitiche lasciarono il posto a una città-territorio, composta da cinque nuove realtà urbane, quattordici borgate rurali, cinquemila nuovi poderi e dagli antichi insediamenti dei Comuni nei monti Lepini.
Dopo la guerra tutto cambiò. Fu ridefinita la vocazione del territorio, favorendo lo sviluppo industriale indotto dall’intervento della Cassa per il Mezzogiorno. Un periodo di sviluppo impetuoso, che ebbe termine nei primi anni novanta con il declino del comparto industriale, non compensato dall’incremento del terziario e dell’artigianato. A resistere nel tempo è stato il solo comparto chimico-farmaceutico e un’agricoltura di qualità, con il settore dell’edilizia a consumare tutta la possibile cubatura e anche oltre (al punto da riversare sul mercato un’offerta di molto superiore alla domanda). Tutto ciò ha portato a una crisi sistemica, a tutt’oggi irrisolta nonostante importanti investimenti pubblici intervenuti negli ultimi 30 anni.
Sarà dunque il caso di interrogarsi per bene su cosa fare degli importanti finanziamenti europei in arrivo. Una risposta c’è già pronta, confezionata e per di più all’insegna della sostenibilità: poiché tutte le analisi indicano un futuro nel turismo e nell’agricoltura, quello che occorre è una progettazione che dia gambe forti e solide a questa prospettiva. Un obiettivo per centrare il quale bisognerà fare come nel ’29: pensare in grande. Se all’epoca si dotò il territorio di una matrice agricola e di infrastrutture che vennero poi buone come base per lo sviluppo industriale, oggi un’operazione analoga va fatta per supportare agricoltura e turismo. Due settori che, per aggiungere valore alla produzione, dovrebbero poter contare su un surplus di quantità e sulla qualità dell’acqua. Quale meglio di quella dei canali che solcano la Piana? Canali che, collegati tra loro e resi navigabili, darebbero oltretutto vita a una rete di opportunità, quali la possibilità di andare canoa, di fare escursionismo e ipotizzare percorsi enogastronomici, etc. Inoltre, una migliore qualità delle acque comporterebbe il miglioramento delle condizioni del litorale pontino, presupposto fondamentale per competere nel turismo marino. Il tutto configurerebbe un inedito paesaggio dal forte impatto per un turismo, fra l’altro, anche non stagionale.
Insomma, tutto potrebbe essere davvero predisposto perché Latina e dintorni diventino la Pianura blu che l’autore del bestseller “Canale Mussolini” Antonio Pennacchi e altri attenti studiosi di cose pontine vagheggiano da anni.
Foto di apertura