Un tempo il kaiser Guglielmo II Hohenzollern, negli ultimi anni Angela Merkel. La forza della Germania ha sempre suscitato grandi timori in Europa. Giulio Andreotti fece una visita di Stato nella Repubblica federale tedesca poco prima del crollo del Muro di Berlino nel 1989. Al tavolo dei giornalisti improvvisamente si accese una dura discussione presto degenerata in rissa. I giornalisti della Germania Ovest e di quella Est, dopo un attimo di esitazione, si allearono nonostante le contrapposizioni ideologiche e malmenarono gli altri colleghi. Andreotti commentò sarcastico: «Amo tanto la Germania che ne preferisco due!». Successivamente lo statista democristiano, sette volte presidente del Consiglio, rilanciò più volte il concetto anche dopo la riunificazione tedesca, avvenuta fortunatamente in modo pacifico.
Angela Merkel, 67 anni, dal 2005 ininterrottamente cancelliera, è molto amata dai concittadini. Europeista, pragmatica, infaticabile, coscienziosa. Decisa ma con uno stile di basso profilo: fa la spesa al supermercato da sola, va in vacanza a Ischia e in Alto Adige con il marito. Veste con abiti sempre dello stesso taglio («Sono una dipendente, del mio popolo, del governo e non una modella»). Ha avuto la straordinaria abilità di dissolvere le paure europee verso la supremazia tedesca. Nello stesso tempo ha trasformato la Repubblica federale nel baricentro politico dell’Europa compensando il progressivo indebolimento della Francia.
Ora gli occhi sono puntati verso le elezioni politiche tedesche del 26 settembre: la Merkel non ha voluto più candidarsi. Per il Parlamento e la cancelleria correrà Armin Laschet, 60 anni, delfino della Merkel, governatore del Nordreno-Westfalia. Armin Laschet, però, sembra una candidatura debole, colleziona gaffe. Non è detto che riesca a sedere sul trono lasciato vuoto dalla Merkel. Armin Laschet, da gennaio presidente dell’Unione cristiano democratica (Cdu), il partito centrista della Merkel, è un europeista convinto, un cattolico sociale, ma è un uomo tutto da sperimentare sul piano nazionale ed internazionale. Non è detto che riesca nella difficilissima impresa di succedere alla Merkel anche se la cancelliera gli ha lasciato un’ottima dote elettorale. Difatti nei sondaggi elettorali la Cdu-Csu perde quota: ad agosto è scesa a poco più del 20% dei voti da quasi il 30% di giugno.
Il capolavoro politico di Angela Merkel porta la data di giugno 2020: sconfisse l’egoismo nazionalista. Con coraggio un anno fa fece autocritica, capovolse il tradizionale no tedesco al debito comune europeo per aiutare i paesi più deboli dell’Unione europea (in testa l’Italia) a superare il dramma del Covid-19. Fece appello ai principi di solidarietà e agli stessi interessi della Repubblica federale. La cancelliera propose «un atto straordinario di solidarietà» verso le nazioni più colpite dalla pandemia. Aggiunse: «È nell’interesse tedesco» salvare la Ue e l’euro anche pagando un costo verso i paesi mediterranei considerati delle “cicale”.
Riuscì a convincere gli elettori tedeschi a mettere mano al portafoglio. Convinse anche i tradizionali alleati del nord Europa, i cosiddetti paesi “frugali”. Tre palle finirono in buca contemporaneamente: 1) la commissione europea approvò il Recovery Fund (la scommessa è soprattutto sulla riconversione verde dell’economia), un piano di ricostruzione post Covid finanziato con il debito comune; 2) i severi parametri per l’euro furono sospesi; 3) la Bce (Banca centrale europea) varò un nuovo programma di massicci acquisti di titoli del debito pubblico.
La cancelliera ha governato con equilibrio la formidabile forza economica della Germania unita. Per ben 16 anni ha guidato la Repubblica federale tedesca. Ha eguagliato il primato del cancelliere Kohl e battuto quello di Adenauer. Ha conseguito un risultato eccezionale: ha accresciuto l’influenza politica tedesca, prima quasi inesistente, parallelamente al suo predominio nell’economia europea. Ha cercato di non incutere paura ai suoi alleati europei ancora inconsciamente traumatizzati dal ricordo del sanguinoso espansionismo nazista.
Ha superato tre micidiali crisi: 1) la Grande recessione internazionale del 2008; 2) l’ingresso nella Repubblica federale nel 2015 di oltre 1 milione di migranti siriani in fuga dalla guerra; 3) il boom elettorale dei sovranisti di estrema destra nei lander orientali, un tempo parte importante della Germania comunista.
In politica estera è riuscita a conciliare l’inconciliabile: ha conservato il tradizionale buon rapporto con Mosca senza però rinunciare a difendere i dissidenti russi e i paesi dell’Europa orientale intimoriti da Vladimir Putin; ha rafforzato l’alleanza con gli Stati Uniti di Joe Biden difendendo l’autonomia d’azione della Germania (e i suoi interessi economici) verso la Cina. In Europa, dopo la Brexit, ha cercato di percorrere la strada della tradizionale alleanza con la Francia, ma di fronte alla debolezza di Emmanuel Macron ha puntato molte carte su Mario Draghi. Con il presidente del Consiglio italiano, ex presidente della Bce, ha trovato importanti intese soprattutto sulle risposte sanitarie ed economiche da dare al Coronavirus. I prossimi mesi ci diranno chi si siederà sul trono vuoto della Merkel.