L’anno prossimo il Brasile andrà al voto e la partita è già iniziata, l’attuale presidente, Bolsonaro, è in evidente difficoltà e gli ultimi sondaggi lo dimostrano. L’ultimo dà a Bolsonaro un modesto 24% contro oltre il 40% dell’ex presidente Lula.Bolsonaro è ben lontano dal 51 per cento che lo ha visto come il vincitore delle ultime elezioni. Milioni di voti persi e aumento di Lula: i motivi del malcontento con Bolsonaro sono tanti: disoccupazione in aumento oltre il 15%, inflazione in aumento, PIL che scende sotto il 4,5%, pandemia prima negata e poi non governata, conflitto crescente con gran parte della popolazione. Certamente il suo atteggiamento nei confronti del Covid è stato ridicolo, ma purtroppo tragico;
quattro volte in manifestazioni pubbliche ha negato l’esistenza del covid, poi ha sponsorizzato cure totalmente inefficaci distribuite a pioggia, ha ridotto le risorse del servizio sanitario pubblico. Ha lasciato molte fasce della popolazione a se stesse, ovviamente le più povere ed esposte. Ha posto il Brasile in un isolamento internazionale senza precedenti. Molte aziende straniere hanno lasciato il Paese o ridotto la loro produzione, insomma una manifesta incapacità di governare un Paese difficile e controverso come il Brasile.
Non si è curato del calo di consensi e non c’è stato alcun cambiamento nel discorso in cui ha incitato alla rottura con la democrazia, riferendosi a un supposto autogolpe.
Peraltro una parte dell’élite economica, che inizialmente condivideva gli orientamenti dell’estrema destra, molto probabilmente perché vedeva in essa la possibilità di approvare riforme neoliberiste a loro vantaggio, come quelle del CLT, dell’imposta sul reddito, le riforme amministrative, e anche quelle elettorali, già manifesta divergenze in molte decisioni di governo.
Gli enti del settore agroalimentare, ad esempio, il 30 agosto, hanno pubblicato una lettera con la quale affermavano che la mancanza di stabilità giuridica colpiva l’azienda, di conseguenza, si sono dichiarati contrari ai ripetuti discorsi su un possibile colpo pronunciato dal presidente e da alcuni suoi sostenitori.
Ma, forse, è proprio perché non è stato ancora attuato l’intero programma di riforma che il patto tra i diversi settori e il governo non è ancora crollato.
Il 7 settembre Bolsonaro, ancora una volta, si è pronunciato pubblicamente mettendo in discussione la legittimità del processo elettorale, ribellandosi ai poteri costituzionali dello Stato, alimentando le aspettative di una rottura golpista e, di conseguenza, rafforzando i così disastrosi fatti di instabilità per il Paese stesso.
In seguito ha mutato espressioni, consigliato da chi voleva evitare che la corda si spezzasse troppo presto. Ha dovuto ritrattare i discorsi antidemocratici del 9 settembre. Nonostante ciò, con un’inconfondibile dimostrazione di inflessibilità mentale, ha chiarito, dalla diretta trasmessa la notte dello stesso giorno, che la lettera, scritta dall’ex presidente Michel Temer, non rappresenta le sue convinzioni e, come se avesse bisogno per fare un esempio, ha rimesso in discussione il sistema campagna elettorale e ha fatto una battuta, a connotazione sessuale, diretta al ministro Luís Roberto Barroso.
Ora la situazione attuale sembra destinata a una radicalizzazione estrema, una sorta di nuovo bipolarismo, tra Bolsonaro e Lula e nessun ipotetico terzo candidato sembra capace di essere competitivo, ma il problema è più ampio e riguarda i brasiliani e la loro storia.
Il Brasile ha una storia di dominio e non è riuscito a creare una cultura civica nella popolazione, i brasiliani non si sentono e non sono cittadini consapevoli dei propri diritti e preoccupati del bene pubblico.
Chi aveva votato Bolsonaro non aveva una minima conoscenza della politica e della storia mondiale, non capendo che la fine sarebbe stata quella che abbiamo davanti ai nostri occhi. Anche la reazione alla corruzione politica è stata largamente superficiale; la corruzione è endemica in Brasile e vive sia nella società civile che nella politica. È un fatto culturale che solo la lotta all’ignoranza può combattere. Un Paese con enormi disuguaglianze economiche e sociali, con poche tutele sociali, in balia di un ceto medio che non sa essere cittadino. Sarebbe stato meglio se Lula avesse preferito essere a capo di una coalizione progressista con un programma autenticamente avanzato promuovendo un giovane candidato, garantendo riforme indispensabili, ma questa sembra un’utopia irraggiungibile e al momento speriamo che Lula sconfigga Bolsonaro e che Lula capisca che deve unire il Paese, sconfiggere la corruzione e avviare una profonda politica culturale.
D’altra parte, sembra importante sottolineare che i desideri sono solo un ingrediente della prassi. Il gioco è appena iniziato. La tattica del governo Bolsonaro, a quanto pare, non cambierà. Lo scenario sarà plasmato ad ogni nuova conquista dell’agenda neoliberista e, come ben afferma la giurista Carol Proner, è in corso un colpo di stato. Ci sono seimila soldati nelle istituzioni governative. Dal panorama che si va formando, non è escluso che l’intensa polarizzazione si configuri come una pseudo-motivazione per questi seimila uomini che sono già al governo, in nome dell’ordine, a moltiplicarsi lì.