Era il 458 a.C. e la repubblica dei Romani si trovava in forte difficoltà nella guerra con gli Equi. I senatori Romani andarono ad incontrare un patrizio, Lucio Quinzio Cincinnato, per chiedergli di diventare il Dictator in quella difficile situazione. Lui accettò quell’incarico e vinse la guerra. Tito Livio ci dice che ritornò a fare il contadino, come aveva fatto prima di quella carica. Cincinnato non era diventato Dictator con un colpo di stato, ma aveva assunto un ruolo previsto e regolato dalle leggi della Res Publica. Nella storia spesso le repubbliche e le democrazie hanno fatto ricorso a uomini forti, anche se non sempre secondo procedure legali esistenti.
A seguito dei sommovimenti popolari del 1968 i cittadini francesi richiamarono il generale de Gaulle. In altri casi, come dopo gli attentati delle Torri Gemelle, ai capi di Stato sono stati accordati poteri straordinari, che hanno dato origine a molto criticate “legislazioni speciali”.
Dove voglio arrivare?
Dovremmo riflettere sull’assetto della democrazia in Italia, ma non solo in Italia. Il presidente Giorgio Napolitano si trovò innanzi ad una gigantesca crisi del debito, alla quale i responsabili delle istituzioni non apparivano in grado di rispondere. Mario Monti non fu un Dictator, ma certamente non fu l’espressione del Parlamento e in pratica si sostituì alla funzione decisionale dell’organo che rappresenta la sovranità in una democrazia.
La pandemia ha rappresentato una situazione di crisi anche più grande di quella economica e, se si deve a Renzi la caduta del governo giallo-verde è a Sergio Mattarella che l’Italia deve la nomina di Mario Draghi, un altro Dictator. Livio ci racconta che Cincinnato fu definito “Spes unica imperii populi romani” e non si potrebbe dire lo stesso di Mario Draghi? Poco rileva se Monti ci sia piaciuto, e cosa possiamo pensare della gestione Draghi: sta di fatto che molti, politici e intellettuali, sottolineano che i due presidenti del Consiglio non fossero rappresentanti di partiti presenti in Parlamento né fossero stati eletti dai cittadini. E questo è vero, incontestabile, anche se l’affermazione di questi critici non è spesso accompagnata da ulteriori considerazioni analitiche.
Una gran parte degli italiani sembra fare affidamento su Draghi, ma perché?
Certamente è un uomo credibile, non solo per la sua preparazione e il suo curriculum, ma per la sua riconosciuta capacità di rispondere ai grandi problemi provocati dalla pandemia e soprattutto perché moltissimi italiani lo ritengono qualificato per la gestione dei fondi messi a disposizione dall’Unione Europea.
Però è indubitabile che il presidente del Consiglio si stia concentrando quasi esclusivamente su questi due aspetti, guardandosi bene dal trattare dei temi più tipicamente politici, come i migranti, l’omofobia, la cannabis o l’eutanasia.
Dal canto suo il Parlamento non decide nulla di veramente importante, di veramente politico per il paese. I politici, tutti i politici, o approvano l’operato di Draghi oppure si riducono ad affermazioni astratte, volte soltanto ad acquisire o mantenere il consenso.
Il PD ha lasciato cadere il problema dei migranti e ha messo nel cassetto il disegno di legge Zan. Salvini chiede le dimissioni della Lamorgese e strilla contro la riforma del catasto, ma la ministra rimane al suo posto e la riforma del catasto passa.
L’evidente difficoltà del Parlamento e la sua visibilissima perdita di ruolo, che giustamente generano preoccupazione, sono dovute ad alcune importanti cause, forse strutturali.
In primo luogo il crollo dei partiti ideologici della storia italiana. Chi votava per De Gasperi o per Togliatti, intellettuale o analfabeta, sapeva per quale modello di società stava votando. Oggi quelli che ancora si chiamano partiti sono l’aggregazione di piccoli capi tribù, che pensano soprattutto alla loro posizione di potere e tentano di conservarla attraverso una comunicazione che mira solo al consenso, senza offrire visioni o strategie.
Il Movimento 5 stelle era apparso come una reazione, una rivolta, contro l’inefficacia dei pouvoirs en place. La ‘spinta propulsiva’ si è presto spenta perché i politici del movimento rischiano di far ritorno al campicello di Cincinnato (ma molti parlamentari dei 5 stelle neanche ce l’avevano un campicello). Inoltre, disobbedendo a Grillo, hanno cominciato a parlare con quei media che sono i servitori obbedienti di quei pouvoirs en place.
In questa situazione una gran parte dei cittadini non crede più al Parlamento, e non crede più che con le elezioni si possano scegliere uomini in grado di operare un cambiamento. L’astensionismo alle elezioni amministrative in corso, soprattutto nelle periferie, conferma il diffuso mantra che ‘chiunque comandi, nulla cambierà per i più dimenticati’. Si può certamente dire che i recenti disordini e l’assalto alla CGIL siano stati pilotati da una destra estremista (fascista o meno) ma essi nascondono qualcosa che si dovrebbe invece analizzare, molto meglio.
Esiste un mondo crescente di delusi, frustrati e arrabbiati: è urgente rilanciare quanto prima una politica di vicinanza ed attenzione verso questo mondo. Sono gli stessi dei Gilet Gialli in Francia e di quelli che hanno assalito il Congresso americano. Le crisi di moltissime imprese, Alitalia, Embrago, Whirlpool, Ilva e Stellantis di Melfi, sono destinate ad alimentare questa giustificata delusione e rabbia. La politica del nostro paese si accorge solo ora dei devastanti effetti di quella globalizzazione economica alla base delle delocalizzazioni. La politica è giustamente sotto accusa e la sua istituzione principale, il Parlamento, è la vittima naturale.
In queste situazioni di crisi la storia ci mostra la dimensione dei rischi. Sono queste crisi delle democrazie parlamentari che hanno prodotto Hitler e Mussolini. Alla fine la confusione e l’insicurezza spingono i cittadini a cercare uomini forti e, come sempre mostra la storia, è spesso molto difficile – se non impossibile – sapere da dove verranno questi uomini forti. Salvini e la Meloni non ci fanno paura, ma dietro di loro potrebbero nascondersi tentazioni molto più forti.
I dittatori che vediamo oggi come Erdogan e Putin non tornano ai loro campicelli dopo aver salvato la nazione.