La crisi dell’informazione è il prodotto di cause differenti che, pur essendo la somma di vicende diverse, hanno concorso al verificarsi di essa. Tra le tante possibili ipotesi di indagine, ritengo di dover qui esaminare l’aspetto del reclutamento dei nuovi giornalisti ed il ruolo delle, cosiddette, testate “social” nella incubazione di essi.
La diffusione delle notizie per mezzo della Rete, che si caratterizza per la sua rapidità e capillarità ha, però, determinato, come effetto collaterale (forse non voluto, ma particolarmente preoccupante e dannoso), la totale mancanza di elaborazione critica del dato, più chiaramente della notizia. Rispetto ad essa i “social” determinano, quasi naturalmente, il sorgere di contrapposizioni, non valutano i fatti, ma, come tifosi, i cronisti si pongono sulle opposte curve, per il pro o per il contro, senza una approfondita analisi della notizia e senza nessuna seria valutazione di sintesi di essa. Di fronte alla velocità della circolazione della fonte si è completamente dimenticato il metodo, che sempre deve essere alla base del pensiero umano. Il sillogismo, in virtù del quale vanno esaminate la tesi e la antitesi, va attuato con il necessario approfondimento e con le dovute verifiche, portando alla sintesi, necessariamente critica, della notizia, che deve fornire ai lettori tutti gli elementi per consentire loro il formarsi di un proprio consapevole e libero convincimento e non dare luogo ad una, poco ponderata reazione emotiva.
Tale stato di cose, nato nel mondo dei “social”, ha modificato anche le abitudini, in precedenza più prudenti e riflessive, della carta stampata, dando vita ad un giornalismo gridato, di impulso e non di inchiesta, privo, troppo spesso, della verifica delle fonti e non in grado di fornire la chiave di lettura delle contrapposte tesi.
Alla ricerca si è preferita la strada, più semplice, ma poco professionale, della fabbrica degli scandali, prodotti da notizie false e/o approssimative, non verificate, fatte proprie solo per ragioni di parte, per dar vita a sterili polemiche, nella sola speranza di vendere, poiché la notizia gridata fa più presa e cassetta di quella ragionata.
Al riguardo viene, sistematicamente, disatteso il diritto di replica e quello di correzione, pur normativamente previsti e tutelati.
In buona sostanza si è sacrificata la fondamentale funzione dell’informazione, di natura oggettiva, sull’altare di scelte di campo più vicine alle logiche del tifo esasperato che a quelle della analisi ragionata e meditata dei fatti.
Anche la politica è stata coinvolta da questo modo di operare, o forse lo ha provocato con una commistione, sempre più confusa e confondente, tra dato politico di parte e conseguente mancata valutazione giornalistica di natura critica. Si è, troppo spesso, preferita la fabbrica del fango al pacato ragionamento posto in essere sulla base della verifica di ogni dato giunto all’attenzione dello operatore dell’informazione.
La libertà di pensiero costituisce elemento essenziale per la crescita democratica; tuttavia, essa deve essere realizzata alla luce di una consapevole ed equilibrata informazione.
In definitiva la carta stampata dovrebbe evitare di inseguire radio, tv e social, sul piano della approssimazione e della becera polemica, anche perché tale, poco sana, abitudine finirebbe per marginalizzare, come sta già accadendo, la stampa tradizionale fino a condurla a posizioni di irrilevante e tardiva retroguardia sul fronte della informazione.
Recuperando il valore del giornalismo nel rispetto di uno sforzo di sintesi delle notizie e di verifica critica di esse, evitando di seguire tesi preconcette, spesso basate su inveritiere e parziali posizioni di comodo, prodotte ad arte, dalla politica e dalla economia, la carta stampata può tornare ad essere l’elemento trainante della crescita democratica del Paese.
Va riscoperto, da chi ha un maggior tempo di elaborazione dei dati, il valore del giornalismo di inchiesta, in grado di aprire le menti e di dar vita, in talune circostanze, a veri e propri rivolgimenti del pensiero, delle abitudini e dei comportamenti.
Solo questa seria ed indifferibile presa di coscienza, priva di falsi alibi, da parte degli operatori dell’informazione, farà uscire la stessa dalla crisi in cui, da tempo, si dibatte.
Soltanto operando in questa direzione ci si potrà augurare la ripresa della vendita dei giornali perché il loro prodotto sarà diverso e migliore di quello rinvenibile nei “social”, materiale quest’ultimo privo di verifica e di ponderata meditazione, che non produce crescita democratica, ma “decrescita” per nulla “felice”.