Un sospiro di sollievo. I giornalisti pensionati e quelli vicini alla conclusione del lavoro hanno tirato un bel sospiro di sollievo, almeno per ora. Il governo Draghi forse ha salvato le pensioni dei giornalisti dal probabile crack dell’Inpgi, l’istituto di previdenza della categoria intitolato a Giovanni Amendola.

Giornalisti pensionati, Una edicola chiusa a Roma

Una edicola chiusa a Roma

Il disegno di legge di Bilancio per l’anno prossimo (la vecchia Finanziaria) trasferisce dal primo luglio 2022 «la funzione previdenziale» dei giornalisti dipendenti dall’Inpgi all’Inps. Il giorno del primo luglio 2022 non è casuale: per quella data era stato previsto l’esaurimento della liquidità dell’Inpgi. Tra 8 mesi i cronisti pensionati, quasi sicuramente, sarebbero rimasti senza pensione.

L’apertura dell’ombrello dell’Inps non è stata proprio una sorpresa. L’Inpgi dal 2011 colleziona pesanti deficit. Per dieci anni l’Istituto Giovanni Amendola ha resistito grazie al “tesoro” in immobili accumulato con investimenti oculati negli anni d’oro. Ma nel 2020 il “rosso” è salito a ben 250 milioni di euro e le riserve si sono ridotte al lumicino.

Tutta la galassia dell’informazione è in gravissima difficoltà per la sua scarsa credibilità e per la concorrenza di Internet. Le cause della crisi sono tante: giornali ed edicole chiusi, crollo dell’occupazione dei redattori contrattualizzati, ricorso ai precari e ai collaboratori sottopagati, boom dei  giornalisti pensionati. Le vendite e la pubblicità dei quotidiani di carta stampata, salvo rare eccezioni, sono crollate (le versioni digitali viste come il futuro non godono di buona salute). Sui periodici è caduta la “ghigliottina”, pochissimi sono sopravvissuti. Le testate con le sole edizioni online stentano ad affermarsi, le televisioni perdono colpi e ascoltatori. Così i contributi previdenziali versati all’Inpgi non sono più bastati per pagare le pensioni, l’indennità di disoccupazione, la cassa integrazione, il sostegno ai contratti di solidarietà, l’assistenza.

Giornalisti pensionati, Un giornalista scrive su un computer portatile

Un giornalista scrive su un computer portatile

Non è tutto. Gli editori, grandi e piccoli, hanno fatto un continuo ricorso ai prepensionamenti dei giornalisti anche in assenza di uno stato di crisi e il costo è ricaduto sull’Inpgi. In genere la “proprietà” (così una volta era chiamato l’editore) invece di effettuare investimenti nella qualità e nelle nuove tecnologie (in particolare nell’online) ha cercato di dare una risposta alla crisi soprattutto tagliando l’occupazione. Il risultato è stato il disastro, l’abbattimento dell’occupazione. Due dati sono illuminanti: nel 2009 per ogni pensionato c’erano tre giornalisti al lavoro, nel 2020 il rapporto è sceso a 1,53 attivi.

Il vertice dell’Inpgi, visto il crollo dell’occupazione dei giornalisti, negli ultimi due anni ha cercato una soluzione ai disavanzi tragici tentando di acquisire altre categorie di lavoratori come i comunicatori. Ma l’operazione è fallita anche per l’opposizione dei “corteggiati” a lasciare l’Inps. Così dal primo luglio 2022 scomparirà l’Inpgi, o meglio: chiuderà i battenti l’Inpgi1 (giornalisti dipendenti, in profondo deficit) mentre resterà in piedi l’Inpgi2 (giornalisti autonomi, in attivo).

Giornalisti pensionati, Quotidiani in vendita

Quotidiani in vendita

Forse i giornalisti pensionati continueranno a incassare i loro assegni senza decurtazioni (molti chiedono di tagliare i diritti acquisiti), come è accaduto in passato per altri istituti previdenziali privati come quello dei dirigenti d’azienda. Ma c’è chi chiede penalizzazioni sugli importi, come l’ex presidente dell’Inps Tito Boeri. Comunque per i giornali il futuro resta buio. Il sindacato dei giornalisti (Fnsi) da mesi ha chiesto a Mario Draghi di intervenire. Il presidente del Consiglio, per adesso, ha dato una soluzione solo al problema più urgente: il salvataggio delle pensioni.

Servono risposte strutturali a una crisi strutturale. I giornali viaggiano tra gravi difficoltà in tutto il mondo, tuttavia in Italia la stampa è addirittura sull’orlo del collasso. “TUTTI europa ventitrenta” ha affrontato più volte il tema della crisi della galassia informazione lanciando, in particolare, due proposte: 1) il varo di fondazioni formate da giornalisti e lettori con funzioni di editore (la formula ha avuto successo più volte negli Stati Uniti e in Europa per salvare testate locali); 2) l’attivazione della leva tributaria (da qualche anno va di moda l’uso dei bonus) per favorire gli investimenti ed alleggerire il costo del lavoro soprattutto nelle pubblicazioni con finalità sociali. Lo ripetiamo. Tutti i governi (Renzi, Conte uno, Conte due, Draghi) negli ultimi anni hanno spinto fortemente sul pedale dei bonus varandone di tutti i tipi: case, bebè, terme, condizionatori, vacanze, rubinetti.

È arrivato il momento di realizzare un bonus giornali. Se poi ci sono altre soluzioni ben vengano. Non si tratta soltanto di sostenere sul piano industriale e dell’occupazione un settore economico vitale ma di salvaguardare il corretto funzionamento della democrazia nella quale i giornali svolgono un ruolo cruciale. Non si è mai vista al mondo una democrazia senza o con pochi giornali. È meglio evitare all’Italia di sperimentare anche questa pericolosa anomalia, sarebbe una strada con un sicuro sbocco su un baratro. Filippo Turati rischiò la vita per la democrazia. Il leader socialista diceva: «La libertà è come l’aria. Solo quando manca senti l’asfissia che ti serra la gola». Ecco, i giornali sono un po’ come l’aria.