Lampeggia un sogno: un lavoro tutelato nel 2022. Lampeggia per i lavoratori precari come i rider, nati con l’economia digitale, al lavoro in nome e per conto delle piattaforme Internet.
Il sogno per gli interessati è favoloso ma dovrebbe essere pane comune per tutti: salario minino, ferie e malattie pagate, indennità di disoccupazione, contributi previdenziali. È il sogno della tutela dei diritti concultati dei precari. Ma c’è anche chi non è precario ma lavora in uno stato di affanno.
La luce per i precari viene dall’Europa. Prima il Parlamento europeo ha varato una risoluzione in difesa dei lavoratori precari delle piattaforme digitali. Poi la commissione europea, a fine 2021, ha avanzato una proposta di direttiva in difesa dei precari delle piattaforme come i rider (i ciclofattorini che consegnano cibo e altri prodotti a casa dei clienti).
I rider in genere sono trattati da lavoratori autonomi e non dipendenti. Eppure i ciclofattorini svolgono una attività tipica da lavoratore dipendente: eseguono le direttive delle piattaforme informatiche. E sono quest’ultime a decidere modalità del lavoro, compensi, prezzi agli utenti. I rider da anni protestano e scioperano ma hanno ottenuto scarsi risultati in Italia e in Europa.
Ora la musica può cambiare. La commissione europea vuole correre ai ripari. Il vice presidente della commissione Valdis Dombrovskis ha sottolineato: «I lavoratori delle piattaforme digitali devono avere lo stesso livello di tutele che hanno gli altri lavoratori se svolgono lavoro dipendente». Non solo. La commissione europea ha accolto il suggerimento del Parlamento di Strasburgo: deve essere la piattaforma informatica a motivare (non il lavoratore precario) l’esistenza di lavoro autonomo e non dipendente. È un bel passo avanti per tutta la galassia di precari che svolgono una attività subordinata e tuttavia sono considerati lavoratori autonomi.
Il nuovo fenomeno è enorme e in grande espansione. I calcoli della commissione europea danno un quadro dell’importanza crescente delle piattaforme digitali. In Europa operano circa 500 piattaforme Internet: danno lavoro a ben 28 milioni di persone. Di queste, 5,5 milioni sarebbero classificate erroneamente: farebbero cioè il lavoro di un dipendente pur avendo un contratto da lavoratore freelance, o viceversa.
Ma la Commissione ha posto anche il delicato tema dell’organizzazione del lavoro: ora l’incarico di lavoro è trasmesso tramite un algoritmo sui telefonini dei rider, degli autisti dei taxi di Uber, degli altri lavoratori (come traduttori e disegnatori). La commissione europea ha previsto il controllo umano dell’algoritmo sia per i liberi professionisti sia per i lavoratori dipendenti. Lo scopo è di impedire prevaricazioni digitali: evitare a delle formule informatiche di decidere il carico di lavoro, la valutazione dell’impegno, la distribuzione degli incentivi.
Le grandi società titolari delle piattaforme in genere non l’hanno presa bene. Vedono l’aggravio dei costi per 4-5 miliardi di euro, minacciano di chiudere e di licenziare. Ma il mercato del lavoro smistato e distribuito dalle piattaforme fa affari, è in fortissima espansione anche per il Covid. Basta destinare una parte dei profitti ai salari e si risolve il problema.